Da un discorso tenuto all'asseblea dei presidenti di sezione il 19 ottobre 2003:
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L'Associazione, quanto prima, dovrà operare una scelta assolutamente fondamentale per la sua esistenza.
Dovrà decidere se lasciare le cose come stanno, e quindi lasciarsi morire, in un futuro non poi così lontano, oppure opporsi ad una fine che sembra ineluttabile e rinascere a nuova vita.
Ma innanzitutto è importante comprendere i motivi per i quali è doveroso prendere una decisione, che, personalmente, ritengo debba essere una decisione di vita.
A ben vedere, esattamente tre anni fa, il 17 Ottobre 2000, a Roma, davanti al Senato, non abbiamo neanche perso una battaglia.
La sospensione della leva è cominciata, infatti, tantissimi anni fa quando i poteri politici e militari hanno iniziato a permettere che il “sacro” dovere di difendere la Patria si svilisse fino a ridursi ad un anno di tempo perso.
Abbiamo civilmente cercato di evidenziare a tutti i responsabili politici e militari gli errori e le incongruenze del disegno di legge che stavano approvando, abbiamo cercato di scuotere coscienze intorpidite e distratte.
Anche se il risultato della nostra azione era abbastanza scontato, abbiamo compiuto lo stesso, e fino in fondo, quello che ritenevamo essere nostro dovere: ci siamo comportati da cittadini e non da sudditi e di questo possiamo essere orgogliosi, ringraziando Beppe che ci ha guidati, incoraggiati e spronati.
Ora dobbiamo però riconoscere che la sospensione della leva, se le cose non muteranno, avrà come corollario inevitabile, anche se certamente non immediato, la fine della nostra Associazione.
Noi non possiamo permettere che ciò accada, fosse anche fra cinquant'anni, e questo non per ragioni tecniche, o sentimentali, od emotive: se la nostra fosse, infatti, un'associazione d'arma come tutte le altre sarebbe naturale, logico e scontato che seguisse il destino della struttura militare cui fa riferimento.
Noi non possiamo permetterlo perché l'Associazione Alpini è sì un'associazione d'arma, ma è anche una delle pochissime associazioni rimaste i cui soci fondano concretamente la loro vita e la loro opera su dei valori e su delle qualità che nella nostra vita quotidiana non sono più tenuti in alcuna considerazione, anzi sono normalmente disprezzati.
La nostra Associazione è il punto di riferimento, di incontro e di sostegno reciproco di uomini che hanno una concezione spirituale della vita considerata ormai fuori moda, anche se per noi è l'unica degna di essere vissuta: questa circostanza è così importante da giustificare una difesa ad oltranza dell'Associazione.
Per la stragrande maggioranza dei giovani la leva non è stata un'esperienza positiva; a noi, per fortuna, è andata diversamente.
Io, in quindici mesi, non sono riuscito ad avere neppure un istante libero, ho verificato con stupore quanto fossero lontani i limiti della mia resistenza fisica e psicologica, ho sperimentato i pregi e i difetti della vita in comunità e le responsabilità che questa comporta, ho mangiato e dormito assieme a ragazzi di ceti sociali che mai avrei avuto modo di frequentare, ho imparato la differenza fra autorità ed autorevolezza, ho sofferto e mi sono divertito, ma non sono diventato un guerriero.
Credete che se noi fossimo dei veri soldati, dei professionisti della guerra, la gente comune ci urlerebbe dietro, quando sfiliamo, “bravi Alpini”?
Gridano “bravi” perché gli Alpini, la gente, al posto di ammazzarla la aiutano a vivere, e questo, nei limiti del possibile e del lecito, anche in guerra!
Noi, in effetti, siamo un'associazione d'arma molto particolare: siamo un'associazione di uomini fondamentalmente liberi, onesti, laboriosi e responsabili che “casualmente” si sono trovati assieme per un anno della loro vita, e hanno passato questo anno a scorrazzare per le montagne, mettendo ogni giorno alla prova sé stessi, riparati da un buffo copricapo.
Ma non è la leva che ci ha fatto diventare così. Al contrario! Siamo stati noi che abbiamo fatto speciale e leggendaria la nostra leva portando in essa tutte quelle qualità che già possedevamo, almeno in embrione, prima di fare il militare, così come rendiamo speciale la nostra Associazione portando, anche in questa, tutte le nostre qualità .
Noi siamo, o almeno dovremmo essere, al disopra degli stereotipi e della retorica e sappiamo quindi che frasi del tipo “il militare rende uomini” esprimono solo delle verità parziali e relative, sappiamo perfettamente che la virtù non è razionalmente insegnabile e che quindi nemmeno la leva può razionalmente insegnare le virtù civiche che le vengono attribuite.
Ma se la leva non le può razionalmente insegnare, certamente le può suggerire, proporre, simboleggiare, a tutti coloro che, ovviamente, dispongono di un terreno fertile pronto a riceverle, terreno fertile che purtroppo oggi diventa sempre più raro visto che i nostri giovani, fin dall'infanzia, vengono abituati nella famiglia, nella scuola e nella società al permissivismo, all'inesistenza di doveri ed all'inutilità del senso di responsabilità .
A 18 anni è troppo tardi per acquistare certi valori fondamentali.
Queste considerazioni spiegano perché la nostra leva ha continuato a funzionare in maniera abbastanza accettabile, contrariamente alla maggior parte delle altre.
La civiltà alpina, con le sue dure necessità , e con la sua scuola di vita appresa fin dalla più tenera età , ha messo a disposizione più terreni fertili che qualsiasi altra, innescando un circolo virtuoso: gli individui hanno portato i loro valori alla leva e la leva li ha integrati e li ha restituiti amplificati.
Cosa possiamo fare allora ?
Potremmo attendere il concretizzarsi di soluzioni volte a integrare e sostenere il “nuovo modello di difesa”, tipo Guardia Nazionale, già abbozzate in qualche disegno di legge.
Sono certo però che l'attesa si rivelerebbe troppo lunga, e le soluzioni non sarebbero all'altezza delle nostre aspirazioni.
Potremmo invece, come suggerito da molti, ritirarci in uno splendido isolamento e quindi disertare le cerimonie militari e denunciare le convenzioni relative alla protezione civile.
E' una forma di protesta sicuramente orgogliosa, ma, ritengo, controproducente.
Le manifestazioni militari sono già ormai praticamente scomparse e, per quanto riguarda la protezione civile, verremmo immediatamente rimpiazzati, sicuramente in peggio.
Credo inoltre sia impossibile ed improponibile esercitare azioni di protezione civile completamente al di fuori di una struttura pubblica di coordinamento.
Del nostro orgoglio farebbero le spese proprio quelli cui dovremmo prestare soccorso ed aiuto.
Oppure potremmo, come suggerito da altri, iniziare a fare la “guerra” al potere politico e militare, ad intensificare la nostra opera di disturbo con azioni eclatanti.
E' un progetto sicuramente ardimentoso, ma, ritengo, sconsiderato.
Fino ad ora siamo stati abbastanza fastidiosi, ma siamo stati sopportati in quanto potenziale riferimento di circa un milione di voti; se il fastidio dovesse però superare certe soglie è probabile che la sopportazione cesserebbe, ed il potere è enormemente più forte di quanto noi si possa immaginare.
Credo noi si debba prendere atto che 330.000 soci ci hanno affidato la responsabilità di far vivere e prosperare la nostra associazione, il che significa adottare un equo bilanciamento fra razionalità ed emotività .
Questo significa che, senza “rompere” con i politici od i militari, diventando sì più “sostenuti”, ma senza esagerare, dovremo cominciare al più presto ad arruolare e scegliere “per nostro conto” i nostri alpini.
L'idea è meno folle di quanto possa sembrare a prima vista.
Se ci riescono i Giovani Esploratori con dei bambini non vedo perché non lo si possa fare noi che, fra l'altro, siamo enormemente più avvantaggiati di loro sul piano logistico e del personale.
Le modalità ed i particolari del nostro arruolamento sono un problema che affronteremo in seguito, e solo se decideremo in questo senso; in questo momento dobbiamo solo riconoscere che la nostra associazione è un bene troppo prezioso per essere disperso.
So perfettamente che l'idea sarà accolta malissimo, e prevedo anche quale sarà la prima obiezione.
“Così facendo snaturiamo la nostra associazione! Non si può dare il cappello alpino, anche se con un fregio ovviamente diverso, a chi non ha fatto il militare!”
Questa è una serissima obiezione alla quale si può però rispondere che:
1. l'addestramento che daremo ai nostri alpini non sarà sicuramente inferiore a quello che abbiamo ricevuto noi;
2. l'aver fatto due soli mesi di naia alpina per poter essere iscritti all'ANA, come prevede il nostro Statuto, non significa certo aver fatto un servizio militare degno di tale nome;
3. può sembrare spiacevole, ma sopravvive solo chi si adatta, e l'ANA ha sempre dimostrato di saperlo fare se, da associazione per aiutare i reduci di guerra quale era nel 1919, è diventata la cosa completamente diversa che noi oggi conosciamo;
4. da ultimo, anche se forse è l'aspetto più importante, bisogna prendere atto che il vero meccanismo di aggregazione dell'Associazione Alpini non è costituito dall'aver fatto qualche mese di servizio militare, ma da una particolare comunanza spirituale fondata su pochi, semplici, ma fondamentali valori.
Nel tempo sono state create innumerevoli associazioni e discipline che, mascherate sotto le più svariate forme esteriori, intendono, in effetti, perseguire finalità eminentemente spirituali.
L'Associazione Alpini, senza che nessuno lo abbia progettato, e quasi senza che nessuno se ne sia accorto, è divenuta una di queste.
Ecco perché non deve morire ed ecco quindi perché i requisiti di ingresso possono essere un poco più elastici.
Cerchiamo ovviamente di sfruttare al meglio gli ultimi momenti di leva che ancora ci restano, ma cominciamo subito a proporre all'Assemblea dei Delegati di aggiungere, alla fine del 1° comma dell'art. 4, le seguenti parole: “Possono altresì far parte dell'Associazione coloro che hanno superato, con esito positivo, il corso allievi alpini organizzato dall'Associazione”.
Chi ha orecchie per intendere capirà che noi siamo assolutamente determinati a sopravvivere, che, come sempre è stato, noi siamo comunque capaci di arrangiarci.
E questo creerà sicuramente paura, perché il potere è sempre estremamente preoccupato e sospettoso nei confronti di tutto ciò che non può direttamente organizzare e controllare, delle voci fuori del coro.
Noi dovremo allora spiegare ai politici e ai militari, rassicurandoli circa la bontà delle nostre intenzioni, che se loro ritengono necessario un modello di difesa composto solo da professionisti, noi riteniamo altrettanto indispensabile che i giovani imparino almeno i primi rudimenti per difendere, se sarà necessario, sperando che mai lo sia, da un nemico o dalla natura avversa, sé stessi, la propria famiglia, la propria casa, la propria terra od il proprio pianeta.
Loro non sono più in grado di dare questi primi rudimenti e noi, nostro malgrado perché di lavoro da fare ne abbiamo già abbastanza, cercheremo di diventarne degni sostituti.
Dovremo rassicurarli spiegando loro che vogliamo continuare a rimanere gli “Alpini” di sempre, bravi e tranquilli ragazzi felici di poter mangiare, bere e cantare insieme e di aiutare tutti coloro che hanno bisogno.
Spiegheremo loro che continuiamo, e vogliamo continuare a rimanere, un'associazione d'arma, alimentata da tutti coloro che, volontari o professionisti, appartengono o apparterranno alle truppe alpine.
Ci limiteremo solo ad affiancare loro tutti quei giovani, o meno giovani, che, condividendo lo spirito e l'addestramento degli alpini, sarebbero impediti dal diventarlo a causa di una “strana” legge che continuiamo a non condividere.
Spiegheremo loro, anche se questo solo pochissimi riusciranno a capirlo, che l'Associazione Alpini costituisce un insostituibile complesso di valori etici, morali e spirituali che noi intendiamo difendere e mantenere, e per fare questo abbiamo bisogno di tutti coloro che in questi valori si riconoscono.
Oggi, che siamo all'apice della nostra forza, dobbiamo avere il coraggio di cambiare!
E allora la decisione costituirà il segno inequivocabile della nostra volontà di progredire ulteriormente nel cammino iniziato quasi un secolo fa; e ricostituiremo l'Orobica, la Cadore, la Tridentina e tutti i loro reggimenti, battaglioni e gruppi.
Se aspettassimo troppo, a declino già iniziato, il cambiamento costituirebbe solo una triste necessità di sopravvivenza.
Edo Biondo
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