Le parole più belle, anzi quelle che con maggior efficacia hanno descritto questa tragedia, sono state pronunciate da Mauro Corona, anni 51 da Erto: l'evento ci ha scaraventati (noi ertani) in un'altra dimensione, sradicandoci dalla nostra terra e disperdentoci in mille rivoli: siamo un popolo SENZA LA MEMORIA, ecco la più grande tragedia che ci ha colpiti è stata proprio la privazione della memoria.
Io non sono poi così certo che i tecnici che hanno progettato e costruito la diga fosserro delle persone senza coscienza, ma che certamente non siano riusciti a ipotizzare un evento di quelle dimensioni, evento e modello che viene oggi, a livello mondiale, utilizzato per la valutazione degli effetti che gli invasi hanno a sul terreno circostante.
E' forse il caso di ricordare che la prima intuizione per l'utilizzo della Valle del Vajont per scopi idroelettrici è del primo dopoguerra, e che la costruzione è iniziata nei primi anni 50, all'inizio della ricostruzione post bellica quando la fame di energia era immensa (il solo impianto del Vajont avrebbe incrementato la produzione nazionale di energia idroelettrica del 20%). Da allora la tecnologia, la conoscenza in generale, le possibilità di calcolo e di verifica, sono aumentate in modo esponenziale (la sala per i calcoli topografici dell'Istituto Tecnico per Geometri di Vicenza nei primi anni settanta era costituita da una trentina di divisumma, alias calcolatrici che facevano, e fanno, le quattro operazioni fondamentali: addizione, sottrazione, moltiplicazione, e divisione).
A me personalmente da fastidio, e non sono il solo, la costruzione del mausoleo a Fortogna, in quel CIMITERO che ospita 1500 delle 2000 vittime della tragedia, quando proprio quel CIMITERO era, con le sue candide croci, il testimone più efficace dell'arroganza umana nei confronti della natura.
Consiglio la lettura di due bellissimi libri:
- "Finchè il cuculo canta" di Mauro Corona, per cogliere l'ambiente, la gente, il momento storico, la paura, il dramma, lo sradicamento, della gente del posto.
- "Il racconto del geologo che scoperse la frana" del prof. Semenza (figlio dell'Ing. Carlo Semenza) per approfondire le questioni tecniche e la successione degli eventi.
PER ME, CHE HO VISITATO LA FRANA E SONO SALITO SUL MONTE TOC SOLO NEI PRIMI MESI DI QUEST'ANNO, QUESTA TRAGEDIA DEVE RIMANERE NELLA STORIA PER RICORDARE CHE LA SUPPONENZA UMANA DEVE CONFRONTARSI, SEMPRE, CON MADRE NATURA, E CHE LE CERTEZZE DI OGGI SONO GLI ERRORI DI DOMANI.
In quanto a mausolei sono convinto che non ce ne fosse bisogno, poichè un muro di calcestruzzo alto quasi trecento metri, sovrastato da un monte disarticolato e spettrale (la frana caduta nella Valle del Vajont), siano i migliori testimoni dell'arroganza umana.
Un'ultimo appunto: se i tecnici che hanno costruito la diga erano degli inetti, come dobbiamo definire quelli che hanno progettato la "nuova Longarone"? Io che non sono un'esteta rabbrividisco alla vista di quei palazzoni, che sarebbero avulsi anche da realtà urbana milanese, ogni volta che transito lungo la statale per Perarolo e il Cadore.
P.S.: Adesso faccio l'Hellis di turno: Da tutte queste celebrazioni non sta forse nascendo un "bussinnes" TURISTICO?
Mi auguro di no, perchè questo sarebbe l'ennesimo insulto ai morti provocato dall'arroganza dell'uomo.
