http://www.paginedidifesa.it/storie/index.html
di Pagine di Difesa, dove si possono leggere anche altri contributi di nomi a noi noti...

Non si tratta di "vita vissuta" in distaccamento di guardia, ma di vita in caserma, tanto per cominciare.
Un sottotenente con l'accento veneto
--------------------------------------------------------------------------------
di Maurizio Tosi
--------------------------------------------------------------------------------
Un freddo pomeriggio di un giorno d'inverno: anno 1983. Un cancello automatico, pitturato con i colori delle mostrine che ti avevano consegnato al mattino, che si chiude alle tue spalle. "Ecco - ho pensato con una sensazione mista di sconforto e rassegnazione - ci siamo. Dovrò stare in questo posto sperduto per altri undici mesi". Destinazione: una piccola caserma in una piccola frazione in un piccolo paese, vicino al confine nord-orientale, in Friuli Venezia Giulia.
Era la seconda volta che provavo quella sensazione, avuta per la prima volta da poco più di un mese, in un'altra caserma, molto diversa, a Udine. Noi che ci eravamo passati per l'addestramento, la soprannominavamo "Alberghinz". Ma che differenza, fra la piccola e l'Alberghinz! Ci portarono tutti nell'aula dedicata all'istruzione e ci dissero, con fermezza e non celato orgoglio, che eravamo "Fanti d'Arresto". "Scusate - pensai - che siamo? Fanti de ... non ho capito" ma, ovviamente, non proferii parola mentre il vice comandante del battaglione cominciava a parlare della gloria del reparto, della sua funzione attuale, di non avvicinarci troppo al confine, di cosa dovevamo fare e di come dovevamo eventualmente comportarci se gli jugoslavi ci avessero fatti prigionieri e se fossimo stati attaccati da terroristi.
Non sto scherzando, disse proprio così: "Nome, grado e numero di matricola. Solo questo dovete eventualmente dire, se fatti prigionieri, anche in caso di tortura". Fu una platea di ascoltatori silenziosa che poi seguì, sempre muta, anche la sequenza dei vari nomi di ognuno di noi e delle destinazioni alle varie compagnie e alla caserma distaccamento, fra l'altro dipinta a Udine come la peggiore delle possibili destinazioni, quasi anticamera dell'inferno: "Ti mando a Purg…!"
Riuscii a scamparla e finii alla 4^ compagnia, una delle operative alla sede comando. Uscimmo mentre nel frattempo era calata la sera e tutti andammo alle rispettive camerate delle compagnie assegnateci, accompagnati da un "vecchio". "Ma no, esagerazioni! Vedrete, non si sta poi così male" disse mentre ci faceva strada. L'accoglienza dei "vecchi" in camerata fu gelida e incuriosita, soprattutto quella dalla "borghesia" che ci disse solo, indicandoci: "Lo sai che tu, mi stai portando il congedo?".
In base agli incarichi il caporale di giornata ci disse poi dove dovevamo sistemarci, chi nella camerata assaltatori, chi nella cannonieri, chi nella mitraglieri e, con mia e altrui meraviglia, trovai Claudio P. un vecchio compagno di scuola di quando ero bambino e che non vedevo da tanto tempo, essendomi io trasferito per motivi familiari in un'altra città . Adesso lui è morto, ma questa è un'altra, triste, storia. "Meno male - pensai - un sostegno da lui l'avrò". Ma lo sconforto aumentava pensando sempre al fatto di doverci restare per altri undici lunghissimi, interminabili mesi.
Neanche il tempo di organizzarci ed entrò in camerata, come una furia o un pazzo, un sottotenente, piccolo ma veramente arrabbiato, cominciando a imprecare in bresciano, chiedendo del sergente e del caporale di giornata. Questi, senza perder tempo, accorsero e letteralmente scattarono sull'attenti. Immediatamente dopo, fummo chiamati a rapporto dal sergente che ci inquadrò davanti al sottotenente. "Ma dove credete di essere - gridò - non si sta così sull'attenti, fate pena, ma da dove venite!" Impettito sul migliore degli attenti che mi riuscì al momento, il mio pensiero diventò: "Ma questa è una gabbia di matti. E per fortuna che non sono andato a Purg...... ! E ci devo restare un anno. Come farò? Come farò?".
La scena continuò, con il pazzo che ci vomitava addosso improperi e soprattutto ci faceva vedere "come si fa" da un povero caporalmaggiore che, a suo ordine, continuava in una serie di attenti-riposo-attenti-riposo a ripetizione e in più faceva fioccare punizioni a destra e a manca a tutti indistintamente. Poi la sequenza di attenti-riposo a raffica toccò a noi, su ordine del caporalmaggiore, sempre sotto il controllo attentissimo del pazzo. Ovviamente ci punì tutti: non andava ancora bene. Secondo lui non eravamo nemmeno l'ombra di una recluta, figurati di un Fante d'Arresto.
Come era entrato, stanco della cosa uscì, sollevando tutti i presenti, che ritornarono alle attività precedenti: chi si stava preparando per la doccia, chi per la libera uscita, chi di servizio armato ritornava al corpo di guardia. Il mio ex compagno, vedendomi perplesso, mi prese un po' in disparte e mi disse di non preoccuparmi più di tanto. "Dici?" risposi alquanto preoccupato, "Ma come fate a resistere?" "Si fa fatica, ma ci si abitua" fu la breve risposta.
Dopo poco il sergente di giornata ci richiamò ancora una volta e ci disse che dovevamo andare immediatamente a rapporto, tutti i nuovi e tutti i graduati di truppa, dal capitano R.M. comandante della compagnia. Entrammo in fureria e ci ponemmo sull'attenti. L'ufficio era piccolo, con la scrivania del capitano, quelle dei due furieri, uno schedario e un paio di armadi.
Alle pareti, un quadro raffigurante un guerriero poggiato a una lunga spada e alcuni calendari del battaglione. Seduto alla sua scrivania, il comandante, il capitano R.M. Sguardo fiero, occhio scrutatore. Ma il mio sguardo dopo andò alle spalline delle mimetiche dei presenti: il sottotenente di prima - il pazzo - vestiva ora i neri baffi da caporalmaggiore e il povero caporalmaggiore costretto alla serie interminabile di attenti-riposo era il sottotenente che ci stava presentando al comandante.
Capii cos'era successo e pensai al mio amico: "Grazie Claudio, mi hai fregato per bene anche tu". Dopo la presentazione complessiva di noi tutti nuovi, il capitano cominciò a chiedere informazioni a tutti noi, personalmente. Arrivò anche il mio turno: "Mh, finalmente abbiamo un altro incarico 216A, un futuro sergente. Ma lei, cosa sa fare?" Imbarazzo più totale... e silenzio.
Sempre lui: "Non abbia paura, intendo, sa fare il meccanico, il falegname o roba del genere?" Risposta: "No, signor capitano, so disegnare". "Sa disegnare, e cosa disegna di bello?" "Ho fatto l'istituto tecnico, sono perito industriale, quindi disegno tecnico, ma per diletto dipingo a olio, a pastello, disegno figurativo, insomma". "Bene, bene, un pittore. Diciamo che lei sa disegnare solo per la 4^ compagnia!".
Dopo una più o meno analoga scena per tutti (eravamo in nove nuovi) uscimmo, accompagnati dai due sottotenenti e dai graduati. Poco dopo, questi scoppiarono in una fragorosa risata e cominciarono a dirci che era tutto uno scherzo: "C'eravate cascati? Siete proprio dei microbi, microbiii! Ma non è affatto così. Sì, è un po' dura, ma in fondo si sta bene".
Entrammo in camerata e lì i "vecchi" ci accolsero con un'altra risata enorme, ma veramente enorme. La sceneggiata si ripeteva, costantemente, all'arrivo di ogni nuovo scaglione. Ecco la semplice cronistoria di un arrivo e di una scherzosa accoglienza. Chi fu, secondo voi, il pazzo e falso sottotenente al mio congedo? Io, naturalmente. L'unica differenza fu che non parlavo bresciano, ma avevo l'accento veneto.
Se non l'avevate già letto, spero vi sia piaciuto.
Ora tocca a voi...