Ha!
L'Alpino (la rivista) ha tonfato!
C'è un bellissimo articolo riguardante la prima salita al K2... peccato sia stato attinto dalla fonte Compagnoni-Lacedelliana, cioè quella falsa e smascherata...
alp. David Fanicchi
"I monti sono maestri muti
e fanno discepoli silenziosi"
(Goethe)
Qualcuno potrebbe riassumere la questione, evitando così che la polemica riguardi solo due persone?
L'argomento, pur non Alpino è comunque alpino!
Io ho vissuto la scalata del K2 da bambino(avevo 5 anni, ma ricordo che fu un grande momento) e ci furono molte polemiche, anche per la morte di un alpinista (Pucoz mi sembra si chiamasse)
Poi non mi sono più interessato dell'argomento, ma visto che se ne parla mi piacerebbe conoscerlo meglio.
La polemica è finita da un pezzo, almeno per quanto mi riguarda.
Io ribadisco una bella lettura chiarificatrice di "K2 LA VERITA'" di Walter Bonatti, che nonostante le apparenze non è una delle verità sul K2, bensì LA verità sul K2, provata e documentata, tantopiù che anche il CAI (finalmente) ha dovuto prenderne atto e recentemente ha provveduto a rivedere e correggere la precedente "versione ufficiale" dei fatti, che era ancora quella scandalosamente falsa di Desio, Compagnoni e Lacedelli.
alp. David Fanicchi
"I monti sono maestri muti
e fanno discepoli silenziosi"
(Goethe)
Ma, allora, qual'è la verità ?
Uno potrebeb dire la sua e l'altro potrebbe contestarla e io, forse, ci capirei qualche cosa, o quantomeno capirei perchèstate discutendo.
Grazie per la collaborazione.
Si sarebbe bello che qualche esperto facesse un....bignami della cosa...ho letto oltre al'alpino, qualche cosda su Lo Scarpone...ma mi paiono glissanti e pieni di dire e non dire...
E' cosi' complicata e vergnosa la questione ?
Voi esperti...per favore sepellite l'ascia di guerra e raccontateci un po' la storia....
wintergreen ha scritto:Qualcuno potrebbe riassumere la questione, evitando così che la polemica riguardi solo due persone?
Personalmente, non mi sento in polemica con nessuno.
Ribadisco solo il mio punto di vista: la versione di Bonatti, contrastante in alcuni punti con quella ufficiale di Desio e Compagnoni, è nota da tempo.
Io ho vissuto la scalata del K2 da bambino(avevo 5 anni, ma ricordo che fu un grande momento) e ci furono molte polemiche, anche per la morte di un alpinista (Pucoz mi sembra si chiamasse)
Si, Toni Pucoz, reduce del Btg. Alpini sciatori Monte Cervino.
Poi non mi sono più interessato dell'argomento, ma visto che se ne parla mi piacerebbe conoscerlo meglio.
A seguire, una breve intervista rilasciata al "Corriere della Sera" da Dino Lacedelli.
Con i suoi toni pacati, mi sembra un buon inizio.
Mandi.
Luigi
«Basta risse, sul K2 vincemmo tutti»
Lacedelli, sulla montagna mezzo secolo dopo la conquista: voglio fare la pace con Bonatti
DAL NOSTRO INVIATO
CONCORDIA (Ghiacciaio del Baltoro) - Fare la pace con Walter Bonatti e prendere le distanze dai metodi «dittatoriali e ingiusti di Ardito Desio». Seduto nel tendone della spedizione degli Scoiattoli di Cortina a oltre 4.600 metri di altezza, a un tiro di schioppo dal «suo» K2, Lino Lacedelli fa i conti con mezzo secolo di memorie. Soprattutto non nasconde il suo desiderio di «rendere giustizia a Walter», a costo di palesare le acredini con il suo compagno di cordata quel 31 luglio 1954 sulla vetta della seconda montagna della terra: Achille Compagnoni. Oggi in Italia uscirà un libro-intervista con Lacedelli. «Lì ci sono cose che mi sono tenuto dentro per troppi anni. Forse sono stato un ingenuo a non parlare prima. Ma io sono una persona semplice, quando dopo la spedizione venivano i giornalisti a cercarmi, fuggivo, andavo a dormire nei fienili vicino a casa mia. Desio e Compagnoni continuavano a raccontare la loro verità edulcorata di come andarono i fatti al K2. Scelsi il silenzio per evitare polemiche. E ancora adesso vorrei davvero fare una grande festa con tutti noi, compreso Walter e Achille, perché alla fine l'arrivo in vetta fu il risultato di un grande gioco di squadra».
La vostra impresa è stata sempre adombrata dalle accuse di Bonatti di essere stato abbandonato da voi due, mentre vi portava le bombole dell'ossigeno a oltre 8 mila metri. Avreste infarcito di falsità il vostro racconto dell'arrivo alla cima, dall'ora in cui usciste dalla tenda il 31 luglio al momento in cui finì l'ossigeno e tanto altro. Chi ha ragione?
«Bonatti è stato trattato ingiustamente. Nel mio libro si leggerà perché. Allora avevo 29 anni, sapevo a malapena scrivere. Quando Compagnoni scrisse il rapporto della nostra salita alla vetta, che poi consegnò a Desio per la pubblicazione sul rapporto ufficiale, lo firmai senza leggerlo. Poi mi resi conto dei torti a Bonatti. Desio non cambiò mai una virgola e Compagnoni lo ha sempre assecondato».
Ma quando finì l'ossigeno? Due ore prima e 200 metri sotto la cima come sostiene la versione ufficiale che Bonatti nega?
«Finì mentre salivamo. Ma mancava poco alla cima. Come si fa a dire? A oltre 8.600 metri si è in uno stato confusionale, la percezione del tempo e dello spazio è stravolta».
Taqi del villaggio di Sadpara, un portatore che al tempo della vostra spedizione aveva 26 anni, ha rivelato al Corriere che in alcuni casi loro portatori dovettero intervenire per evitare che vi prendeste a pugni al campo base.
«E' vero, a tratti ci fu un clima molto pesante. Dopo la morte il 21 luglio del povero Mario Puchoz per edema polmonare al Campo 2 a 6.000 metri, noi volevamo un giorno di riflessione. Oggi qui ci sono centinaia di tende, satellitari e Internet. Noi eravamo isolati. La morte di Puchoz ci colpiva nell'intimo. Chiedevamo che Desio ci concedesse una sosta. E invece se ne uscì con i suoi odiatissimi ordini del giorno. Esigeva che dopo la sepoltura tornassimo subito ai campi alti. Fu tensione acuta. Ora porto a Puchoz una targa semplice. C'è scritto: "Dopo 50 anni, il tuo amico Lino Lacedelli"».
Un altro momento rivelatore delle difficoltà con Desio?
«Ancora prima di partire dall'Italia, Desio fece scartare Riccardo Cassin dalla spedizione. Assurdo. Cassin era per tutti noi un mito, tra i più grandi alpinisti del momento. Desio temeva che offuscasse la sua immagine».
Il Club Alpino Italiano in febbraio nominò una commissione di tre saggi (tra cui l'appena scomparso Fosco Maraini) per fare chiarezza sul «caso K2».
«Non serve a nulla, ritengo che solo tra di noi, alpinisti di quel tempo, si possa fare chiarezza. Sto avviando una serie di contatti indiretti con Walter, spero entro un mese di poter concludere qualche cosa. Sarebbe il modo migliore per festeggiare questo anniversario. Non ho dubbi: senza lo sforzo sovrumano di Bonatti, che il 30 luglio dal campo ottavo scese un dislivello di oltre 200 metri e ne risalì oltre 700 con 19 chili di bombole per l'ossigeno sulle spalle, sino a 8.100 metri, il K2 non si sarebbe mai fatto».
Tra i meriti di Desio c'è chi annovera la sua incredibile capacità organizzativa. Si occupò con minuzia del tragitto, della posizione dei campi sulla montagna, del materiale.
«Vero: si era studiato le relazioni delle spedizioni americane che avevano già tentato la salita. Aveva predisposto che ogni campo fosse attrezzato ed equipaggiato per più giorni. Mi ricordo per esempio le scarpe per l'alta quota. Perfette, tanto che Bonatti costretto al bivacco a oltre 8 mila metri non subì alcun danno ai piedi».
Qui siamo circondati dal fior fiore dell'alpinismo mondiale che tenta il K2. Quali sono le differenze fra i loro materiali e quelli vostri di allora?
«Immense. Ma il passo avanti più rilevante è il cibo. Il nostro era pesante, diventava indigesto alle fatiche degli oltre 6 mila metri. Mi nutrivo di speck e minestrine di pollo liofilizzate. Oggi la scelta di cibi liofilizzati, leggeri, calorici e gradevoli è praticamente infinita».
Lorenzo Cremonesi
"Gli Alpini arrivano a piedi là dove giunge soltanto la fede alata"
(G. Bedeschi)
Vabbè....i tre saggi hanno confermato la versione di Bonatti; caro Lacedelli forse a qualcosa è servito.
Comunque, in edicola c'è un bello speciale K2 del National Geographic, con foto splendide.
dodicieuroenovanta
E siccome aveva un fisico forte, ed era alto e ben fatto, lo assegnarono all'artiglieria alpina... (M. Rigoni Stern)
Bonatti: nessuna scusa per il K2 Continuo ad aspettare da 50 anni
«Su quella montagna mi condannarono a morte, poi mi hanno accusato di mentire»
DAL NOSTRO INVIATO
DUBINO (Sondrio) - «No good Compagnoni sahib! No good Lacedelli sahib!».
«L'Italia del 1954 era un Paese umiliato. C'era da riscattare il fallimento dell'impresa di Nobile, e il fallimento tanto più grande della guerra. Io da ragazzino avevo visto i miei compagni più grandi salire in montagna come partigiani e scendere nelle bare, il volto crivellato dai proiettili e sfregiato dai calci. E avevo visto quel Duce cui ci facevano inneggiare ogni mattina a scuola appeso a una pompa di benzina, a testa in giù». Walter Bonatti racconta lentamente, a voce piana. «La conquista del K2 significava mostrare che l'Italia era ancora capace di vittorie. Io non avevo ancora 24 anni, li ho compiuti alle pendici del monte, ma mi sono riconosciuto in quell'obiettivo. Ho sentito l'orgoglio del riscatto, il significato simbolico della nostra scalata. Per questo ero pronto a dare anche la vita per i compagni, e ci sono andato molto vicino. Per questo ho taciuto lo scandalo e la vergogna, nell'attesa di una parola di scusa, di un riconoscimento privato, di un cenno tra uomini. Non è venuto nulla di questo. Neppure adesso. Sul K2, mezzo secolo fa, mi hanno condannato a morte. Poi per tutto questo tempo le stesse persone mi hanno condannato al dileggio, chiamandomi mentitore, ladro, imbroglione. Quella vittoria appartiene alla storia d'Italia. Non deve essere sporcata. Purtroppo questo cinquantenario non ha dissipato ma confermato l'inganno. Tutto il mondo ormai conosce la verità , tranne le istituzioni italiane. Chiedo che la verità sia ufficialmente ristabilita».
«No good Compagnoni sahib! No good Lacedelli sahib!». L'eloquio di Bonatti si fa più nervoso, via via che si inoltra nella memoria. Da tempo reclama giustizia: l'anniversario gli era parso un'occasione, che però rischia di sfumare. Quel grido di Mahdi gli risuona dentro da 50 anni. «Mahdi era il migliore degli hunza. Il più forte scalatore indigeno del Pakistan, non inferiore al mitico sherpa Tengsin. L'anno prima aveva salvato Herman Buhl, il conquistatore del Nanga Parbat, caricandoselo sulle spalle. Senza di lui il K2 non sarebbe stato conquistato. Andò così. La notte del 29 luglio, all'ottavo e penultimo campo, concordiamo il piano. Pino Gallotti e io saremmo scesi fin quasi al settimo campo, dove si trovava l'ossigeno. Achille Compagnoni e Lino Lacedelli sarebbero saliti a piazzare il nono campo, almeno cento metri più in basso di quanto previsto, per darmi modo di arrivarci per la notte con le bombole in spalla. Al settimo campo troviamo Mahdi, che si aggrega. Gallotti non ce la fa, Mahdi e io sì. Ma quando, al tramonto, arriviamo là dove dovrebbe esserci il nono campo, vediamo che la tenda non c'è. Urliamo, chiediamo aiuto, quando scende la notte: Achille, Lino, dove siete? La voce di Lacedelli si sente ferma e chiara: "Non potevamo restare fuori a gelare per voi. Lasciate l'ossigeno e tornate indietro". Di notte? Al buio? Impossibile, Mahdi non ce la fa. Ma Lacedelli ora taceva. Era cominciata la notte più lunga, all'addiaccio, a 8.100 metri, funestata più tardi da una bufera. Per questo Mahdi agitava la piccozza verso la tenda invisibile dei miei compagni: No good Compagnoni sahib! No good Lacedelli sahib!».
Bonatti la scamperà . Mahdi subirà amputazioni alle mani e ai piedi, congelati. La sera dopo Compagnoni e Lacedelli torneranno all'ottavo campo da vincitori. «Sulle prime prevalse l'entusiasmo. La montagna era vinta, l'Italia andava fiera di noi. Io ero molto giovane, non avevo la maturità e la consapevolezza per smontare tutto questo inganno. Eravamo vincolati al silenzio: le regole imposte da Ardito Desio capo della spedizione ci imponevano di tacere per due anni. E poi io aspettavo. Non pretendevo scuse formali. Bastava una pacca sulla spalla, come si fa in montagna. Una frase in privato, tra amici, tra uomini: Walter, abbiamo fatto una sciocchezza. Niente». Ora la voce di Bonatti vibra di indignazione. «Anche quando nel '61 ho pubblicato il primo libro, Le mie montagne , non ho avanzato accuse, ho scritto la verità tra le righe. Nella relazione ufficiale io quasi non c'ero. Nel film realizzato allora non c'ero proprio, dovetti protestare perché inserissero l'immagine sfocata di due scalatori che avanzano con le bombole sulle spalle, che avrebbero dovuto rappresentare Mahdi e me. Ora, anche il film realizzato per il cinquantenario si apre con un uomo che urla nella tormenta verso Compagnoni e Lacedelli che non possono sentirlo. Ciò è falso. La bufera arrivò la notte. La sera non c'era vento, le voci si udivano benissimo».
Allora, perché? Perché il campo fu montato così in alto, e i compagni non la fecero entrare? «Perché volevano eliminarmi. Forse non fisicamente, certo dalla competizione; e comunque mi hanno messo nelle condizioni di morire. Qualcosa non ha funzionato, io ho resistito, e da allora hanno sfruttato ogni pretesto per darmi addosso. Anche oggi è così». Lacedelli però ha appena scritto un libro che riconosce il ruolo di Bonatti, e il suo sacrificio. «Ma non ha ancora detto la verità , non ha ammesso il falso dell'ossigeno. Ha ripetuto la madre di tutte le bugie: che le bombole portate da me non erano piene, si erano esaurite prima della vetta, che lui e Compagnoni sono arrivati in cima senza ossigeno, siccome l'avevo consumato io. Un falso da cui discendono tutti gli altri: l'altitudine e la posizione del nono campo, gli orari dell'ascesa». E' una vicenda che ha appassionato il mondo. Un australiano che Bonatti neppure conosceva, Robert Marshall, ha ritrovato una foto scartata dalla relazione ufficiale: mostra Compagnoni che in cima al K2 respira nella maschera. «Lui dice che lo faceva anche se la bombola era vuota, per avere aria più calda. Mah. La prova decisiva comunque è un'altra: nelle bombole c'era ossigeno per 12 ore, come stabilì il tribunale che accolse una mia denuncia per calunnia contro un giornalista ispirato da altri. L'ascensione è durata nove ore e mezza. E non è vero quanto scrive Lacedelli, che al ritorno, nel buio della tenda, lui mi chiese scusa. Avrebbe fatto meglio a raccontare un'altra storia, quando alla pendici del monte mi fece uno scherzo poco simpatico: afferrò il sacco a pelo in cui stavo dormendo e lo scosse sull'orlo di un precipizio. Sono caduto, nudo, tra le rocce gelate. Avevo ferite su tutto il corpo. Ma per salvare Lino dall'ira di Desio raccontai che arrancavo per il mal di pancia».
Un generoso, e un eclettico, il giovane Bonatti. Cresciuto negli anni di guerra tra il Po e la Val Seriana, dove vivevano i suoi parenti. Il padre, commerciante rovinato dal fascismo, stava a Monza, e da lì lui era partito per andare a vedere quel che accadeva in piazzale Loreto. La madre morì nel '51, di gioia, alla notizia che il figlio aveva domato il Grand Capucin. Oggi lui ha una casa all'Argentario, da cui scende e sale in spiaggia lungo una parete a strapiombo, e un casale a Dubino, di fronte alle montagne della giovinezza, costruito sul ripido, come a conquistare la cima: si sale una scala e si è sempre al piano terra. «Con l'alpinismo che chiamano da competizione ho smesso nel '65, dopo la scalata invernale alla Nord del Cervino. Ma per me la competizione era con me stesso. Ci costruivamo i chiodi da soli, ci cucivamo le giacche a vento». Erano gli anni del cuoio e della lana. Delle nuvole come barometro. «Non mi riconosco nell'alpinismo tecnologico: ha distrutto l'impossibile. E l'impossibile era bello vincerlo, non distruggerlo. Con i giovani non ci capiamo, parliamo linguaggi diversi. Ho continuato a esplorare me stesso negli spazi aperti. I deserti, le foreste. Le tigri, i pigmei». Il successo, spiega, non rende simpatici. «Mi hanno fatto di tutto, dalle gomme dell'auto squarciate alla diffamazione a mezzo stampa. Accadde dopo la spedizione sul Pilone centrale del Bianco». Erano in sette; morirono in quattro, tre francesi e un italiano, il suo amico Oggioni. «In Francia mi diedero la Legion d'Onore. In Italia mi massacrarono. Uno dei superstiti, Pierre Mazeaud, è diventato presidente del Consiglio costituzionale, ed è uno dei miei migliori amici. In patria non mi perdonarono di essere sopravvissuto; sino a quando Dino Buzzati ristabilì la verità , sul Corriere ».
Bonatti è un uomo fortunato. Ma dice che in montagna, nel pericolo mortale, non ha mai sentito nulla accanto o sopra di sé che non fosse la sua forza, fisica e morale. «Ho visto compagni affidarsi a Dio, e morire. Forse sono in paradiso. Io volevo vivere. Ho rispetto per il soprannaturale, ma sono abituato a fidare solo su me stesso». La fortuna gli ha portato, 24 anni fa, la sua compagna, una donna sognata da molti, Rossana Podestà , l'attrice. «Lei mi mandava messaggi attraverso le interviste. Ma io scrivevo per Epoca , e non leggevo i giornali femminili. Un giorno una mia amica, congratulandosi, mi mette in mano una copia di Grazia , in cui Rossana dice che su un'isola deserta avrebbe voluto la mia compagnia. Le scrissi. Ci siamo dati appuntamento a Roma, sotto l'Ara Coeli. Per sbaglio sono andato sotto l'Altare della Patria. Rossana mi trovò due ore dopo, mentre litigavo con i vigili che volevano farmi circolare. Si arrabbiò: un esploratore che si perde in Piazza Venezia? Poi però mi ha perdonato».
Anche Bonatti ha pubblicato un libro per il cinquantenario, da Baldini&Castoldi, la nuova edizione del suo «K2. La verità ». «Una verità ormai riconosciuta ufficialmente ovunque, in Francia, in America, tranne che in Italia. Il Cai è stato sinora latitante. Però ho molta fiducia nel nuovo presidente, Annibale Salsa. Entro fine anno si attende la relazione definitiva del Club alpino. Ho visto le 37 cartelle scritte dai tre saggi: la sostanza c'è, anche se ancora offuscata da ipotesi e congetture. Spero che si abbia il coraggio di dire una parola chiara, finale. Sulla spedizione del cinquantenario non ho nulla da dire, l'alpinismo nuovo non mi appartiene. Quel che mi aspetto dall'anniversario è che restituiscano all'Italia la verità storica, la pulizia morale, il valore etico di quell'impresa. La conquista del K2 appartiene a tutto il Paese. Sarebbe un delitto lasciare che resti sporcata per sempre dalla menzogna».
Aldo Cazzullo
"Gli Alpini arrivano a piedi là dove giunge soltanto la fede alata"
(G. Bedeschi)
Dal "Corriere della Sera" di ieri.
E con questo, penso che chi fosse interessato abbia avuto una prima, ancorchè limitata, panoramica sulle addirittura tre differenti versioni riguardo alla conquista del K2.
Per approfondire, vi sono i recenti testi di Bonati, Lacedelli, nonchè la relazione ufficiale di Desio.
Spero che inoltre adesso risulti più chiara la mia prudenza sulla materia.
Mandi.
Luigi
DAL NOSTRO INVIATO CERVINIA - «E di cosa dovrei chiedere scusa? Di essere arrivato per primo in cima al K2? Perché io questo non l' ho mai detto, in mezzo secolo, ma ora me lo tirano fuori a forza: sono stato io il primo uomo a mettere piede sulla vetta, altro che a braccetto di Lacedelli, come ha scritto lui. Però non l' ho mai considerato importante: sul K2 è salita l' Italia. Io ho piantato il tricolore su quella vetta, ho pianto, ho perso due dita per fare le foto, rischiato la pelle, passato cento giorni in clinica. Ho sempre detto che è stata la vittoria dei compagni, del professor Desio, della nazione. E ora, cinquant' anni dopo, è tutta una polemica, un' accusa, una menzogna. Perdio! Bonatti a ogni anniversario ne aggiunge una; ora ci si è messo pure Lacedelli; e il Cai vorrebbe rovesciare la verità accertata allora... questo non lo permetterò!». Achille Compagnoni - scritto con il rispetto per la straordinaria forza e lucidità dei suoi novant' anni a settembre - pare un grizzly ferito. Reagisce come un capobranco abbandonato, un lupo attaccato nella sua tana. Il viso cotto dal sole, due dita perse - ma neanche un capello -, l' animo diviso tra la tentazione del silenzio, dell' oblio, della tranquillità dell' hotel «da Compagnoni» di Cervinia, e l' urgenza di rispondere. A Walter Bonatti, che lo accusa di averlo «condannato a morte» sul K2, montando il nono e ultimo campo più in su del luogo concordato, e costringendolo a passare una notte all' addiaccio con l' hunza Mahdi. E Lino Lacedelli, che nel libro pubblicato con lo scrittore alpinista Giovanni Cenacchi gli attribuisce quella scelta: «Io ho pensato che lui non volesse che Bonatti venisse su...». «Ho letto il libro di Lacedelli in una notte - racconta Compagnoni -. Mi ha prima meravigliato, poi stordito. Direi che mi ha umiliato, se potessero umiliarmi accuse così false. Come si può pensare che io abbia deciso da solo? Certe cose in montagna, legati l' uno all' altro, a 8 mila metri, si decidono insieme. In quel posto la tenda non si poteva mettere. Era troppo pericoloso. Eravamo sotto una montagna di ghiaccio che faceva impressione. Così ci siamo spostati fuori sulla cresta, verso sinistra. E abbiamo cercato di salire il più possibile, com' era logico; e pazienza se Bonatti non avesse portato l' ossigeno, avremmo tentato lo stesso di salire in cima. Nasconderci? A 8 mila metri non si gioca a nascondino». Compagnoni parla della vicenda del nono campo, l' ossessione degli storici dell' alpinismo. «Mai nessuno era salito fin lassù. Cosa sapevamo di quel che avremmo trovato? Perdio! La sera prima mi ero offerto di scendere a prendere l' ossigeno! Io ero il capocordata, ma avrei voluto più compagni possibile al mio fianco, se non altro per il morale. Lassù è tutto silenzio e vuoto, più sei meglio è. Ma Bonatti non ce l' ha fatta a essere puntuale. L' appuntamento era per le 3 e mezzo, e a quell' ora lui era ancora sotto la tenda, o forse era appena partito dal campo 8. La montagna è così: ognuno dà quello che ha. Bonatti ha dato molto. Io anche di più». «Sul K2 ho montato sei campi, insieme con il mio compagno di cordata, Ubaldo Rey, di Courmayeur. Abbiamo lavorato come asini. E tutte le sere, stanchissimo, scrivevo una pagina di diario. Appena scesi dalla vetta, il professor Desio ci ha ascoltati. Ognuno ha fatto le sue osservazioni. Quella è la verità : i ricordi fissati sul momento, non quelli rievocati dopo 50 anni. Questa è la prima intervista di Bonatti, nel ' 54. Legga: "Fu per l' ora troppo tarda della partenza che fummo costretti ad arrestarci 50 metri sotto la tenda di Compagnoni e Lacedelli". E in ogni caso in quella tenda precaria, poggiata non di piatto ma di coltello, ci stavamo a malapena in due, incastrati, con i piedi fuori e il telo ghiacciato a quattro dita dal naso». Bonatti riconosce di aver parlato in ritardo. Aspettava però un gesto di scusa, un segno. «Bonatti era mio amico. E' venuto ospite a casa mia, qui a Cervinia. Ogni anno ci trovavamo a Courmayeur il 21 giugno, anniversario della morte del nostro compagno Mario Puchoz. Una volta, credo fosse il settimo anno, eravamo a mangiare da Ubaldo Rey. A un tratto Bonatti si alza, si scusa, dice che deve andare, saluta. E' l' ultima volta che l' ho visto. Subito dopo ha cominciato con le sue accuse». Che hanno trovato fede presso il Cai. La relazione dei «tre saggi» accredita la sua versione, e ora Bonatti sollecita una parola definitiva. «E io ho fatto scrivere al Cai dai miei legali - dice Compagnoni -. I tre saggi hanno mai visto il K2? Quali sono le loro fonti? Non io, visto che non mi hanno neppure interpellato. Non posso accettare un verdetto del genere». Perché anche lei però ha taciuto così a lungo, perché non ha risposto alle accuse? «Il professor Desio mi ha sempre consigliato di lasciar perdere». Ardito Desio è l' unico che non c' è più. Ma resta il personaggio centrale. Bonatti e Lacedelli, divisi su molti punti, concordano nel darne un giudizio severo. Fu Desio a mettere Compagnoni alla testa degli alpinisti. «Mi voleva bene, e io non mi unirò mai a questo coro che si leva dopo la sua morte. Conosceva la zona, ci mandava su il materiale, ci informava sul meteo. L' ammutinamento contro di lui fallì anche perché senza di lui e la sua disciplina non ce l' avremmo mai fatta». «Con Lacedelli siamo stati amici per 50 anni. Ora non voglio sentirlo più. Ancora l' altro giorno ho ricevuto una sua cartolina dal campo base del K2, spedita quando già aveva scritto un libro per me infamante. Siamo rimasti insieme in cordata non più di 48 ore, dopo che Rey era entrato in crisi, e ha concepito tutte queste cattiverie. Ha scritto pure che sono tornato in aereo, anziché in nave con gli altri, per avere gli onori tutti per me. Ma gli onori li hanno ricevuti loro, che sono andati in giro per l' Italia. Io sono andato in clinica, mi hanno operato, scarnificato le dita, cucito i moncherini nella pancia perché si rigenerassero. Mi diagnosticarono pleurite e polmonite, mi dissero che non potevo più andare in montagna. Invece dopo due anni sono tornato sul Cervino». Un unico punto, solo all' apparenza secondario, lega ancora Compagnoni a Lacedelli, e li divide da Bonatti e dai «saggi» del Cai. «Non è vero che siamo arrivati in cima respirando l' ossigeno. Le bombole erano vuote. Non ce ne siamo liberati perché ci dicevamo l' un l' altro che un po' di ossigeno doveva essere rimasto. Una bugia, per farci coraggio. L' ultimo tratto fu terribile. Io sono caduto sulle rocce gelate, ma poi sono risalito e ho passato i ramponi a Lacedelli, che se li era tolti. Avevo le allucinazioni, vedevo dietro di me e di lui una donna alta che ci tratteneva, l' immagine della mia fatica. E ora questi si esercitano nel calcolare quante ore di ossigeno contenevano le bombole! A ogni anniversario aumentano: otto, nove, dieci. Ma noi siamo partiti alle 6, massimo alle 7 del mattino, e siamo arrivati in cima alle 6 di sera: e l' ossigeno l' avevamo consumato. Bonatti dice di no perché quell' ossigeno ce l' ha portato lui. Bene: ha fatto il suo dovere. Scrive di una foto fatta sparire dove in vetta ho il respiratore sul viso. Eccola: pubblicata dal Corriere della Sera nel settembre ' 54; la maschera mi serviva per respirare aria meno gelida. Dice che Mahdi era furibondo con me. Invece Mahdi mi rispettava fin da quando al campo base aveva gettato a terra il suo carico perché troppo pesante, e io me l' ero preso sulle spalle e gli avevo ceduto il mio. Che pesava di più». Lacedelli scrive che, quando andaste in Pakistan per il quarantesimo anniversario, lei mormorò: «Speriamo che Mahdi non parli». «Per fortuna mia moglie conserva i fax spediti e ricevuti per organizzare la cerimonia. Sono stato io a chiedere la presenza di Mahdi!». Il tempo non è servito a nulla, se non a separare. «Eravamo più che fratelli, allora». Il cinquantenario ingigantisce quell' impresa epica, agli albori della tecnologia, da esploratori ottocenteschi - la spedizione in nave, il sacrificio di Puchoz, le bandiere, le piccozze gli indigeni ribelli -, e ne riaccende le rivalità . Fu un' impresa italiana, e all' italiana. Bonatti vede vicino il riconoscimento della sua verità , chiede delle scuse. Da Compagnoni non le avrà mai. A Cervinia presenta il suo libro, K2 conquista italiana, in cui scrive di Lacedelli: in salita sono stato io a smuoverlo, ma poi in cima, quando volevo fermarmi lì, è stato lui a farmi scendere, «è grazie a Lino se sono vivo». La moglie Elda, grintosissima, accumula materiale nel suo archivio, per un testo definitivo. Il 22 Achille festeggia a Bormio con il nipote, reduce dal Pakistan. «Per me è come fossimo saliti tutti su quella montagna. Abbiamo formato come una piramide umana. Dovrebbero esaltare quell' impresa. Invece la demoliscono, la infangano. Il primo piede è stato il mio, però la bandiera era quella di tutti, perdio!». Aldo Cazzullo
"Gli Alpini arrivano a piedi là dove giunge soltanto la fede alata"
(G. Bedeschi)