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Luigi
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60° anniversario Nikolajewka

Riporto dal sito dell'ANA il programma per le cerimonie a ricordo della Campagna di Russia.
Mandi.



Il 26 gennaio 2003 ricorrerà  il 60° anniversario della battaglia di Nikolajewka. La sezione di Brescia, d'intesa con la sede nazionale dell'ANA, ha elevato la cerimonia a manifestazione nazionale: sarà  presente il Labaro nazionale. Continuando la tradizione iniziata nel 1948, intende ricordare l'evento chiamando a raccolta per la prima volta non solo i reduci delle gloriose divisioni alpine Cuneense, Julia, Tridentina, della divisione di Fanteria Vicenza, dei reparti minori del Corpo d'armata alpino che hanno partecipato alla campagna di Russia, ma anche gli altri reduci del CSIRe ARMIR, oltre a tutti gli alpini in congedo, per rendere onore alla schiera innumerevole dei Caduti e dei Dispersi.

PROGRAMMA

Sabato 18 gennaio:
Ore 10: Palazzo Bonoris (via Tosio): apertura della mostra fotografica dell'UNIRR sulla campagna di Russia.
Giovedì 23 gennaio:
Ore 10: Salone S. Barnaba (Corso Magenta): per gli studenti del liceo classico Arnaldo proiezione di filmati, incontro con i reduci; ore 20,30: scuola media divisione Tridentina (via Bagatta 6 traversa via per Collebeato) incontro reduci e studenti, presentazione degli elaborati.
Venerdì 24 gennaio:
Ore 10,45: Scuola Media G.Pascoli (Via Repubblica Argentina): incontro Reduci e studenti; 11: Aula Magna Istituto Cesare Arici (Via Trieste 17): introduzione al 60° Anniversario della battaglia e mostra fotografica; ore 20.30: Salone S. Barnaba (Corso Magenta): proiezione di filmati sulla campagna di Russia con testimonianze di reduci.
Sabato 25 gennaio:
Ore 9: Castello di Brescia - Fossa dei Martiri: alza bandiera sulla Torre Mirabella; 9,30: Montecchio Emilia (Cavriago): visita alla tomba del gen. M.O. Luigi Reverberi comandante della Tridentina sul fronte russo; 10: Brescia - deposizione di corone: cimitero Vantiniano - Cesare Battisti - Scuola divisione
Tridentina - Scuola Pascoli - Aerobase di Ghedi - Monumenti Associazioni d'Arma;
11,15: Brescia (Mompiano) - Scuola Nikolajewka: alza bandiera Italiana e Russa - deposizione di fiori alla lapide ricordo - offerta dei ceri - visita alla scuola; 15: Piazza della Loggia: ricevimento delle bandiere di Guerra - sfilata per le vie cittadine fino al Distretto Militare; 16: Palazzo Municipale (Piazza della Loggia): ricevimento e saluto del sindaco della città  Paolo Corsini; 17 Duomo Nuovo: S. Messa in suffragio dei Caduti e Dispersi officiata dai cappellani reduci e dai cappellani militari in servizio; 21 Teatro Tenda (via Ziziola): serata della
Memoria - spettacolo con lettura di brani sulla campagna di Russia intervallati dall'esecuzione di canti ad opera del Coro Alte Cime della sezione di Brescia, in chiusura concerto di una fanfara delle Truppe alpine. Dalle ore 10 alle 19 nel palazzo Bonoris in via Tosio sarà  in funzione il servizio di annullo filatelico speciale e la bancarella del libro.
Domenica 26 gennaio:
- Ore 8,30: Piazza Arnaldo (Porta Venezia) - Via Trieste - Via A. Mario e salita per il Castello: ammassamento dei reduci e degli alpini in congedo delle sezioni; 10: Piazza Arnaldo (Porta Venezia): resa degli onori militari alla massima autorità : ricevimento delle autorità  e dei familiari delle M.O. sul palco in Corso Zanardelli; 10,30: sfilata per corso Magenta, Corso Zanardelli, Via X Giornate, Via Trieste, Piazza Paolo VI (Piazza Duomo) di: gonfaloni dei Comuni che hanno dato origine alle unità  e ai reparti del C.A.A. in Russia: Vicenza - Udine - Trento - Cuneo - Bergamo - Verona - L'Aquila - Mondovì- Borgo San Dalmazzo - Ceva - Cividale - Conegliano - Dronero - Edolo - Gemona - Morbegno - Pieve di Teco - Pinerolo - Saluzzo - Tolmezzo - Vestone - Tirano; gonfaloni di: Brescia città  - Brescia Provincia - Montecchio Emilia - Cavriago; bandiere di Guerra decorate di Medaglia d'Oro sul Fronte russo e reparto armato; ufficiali degli alpini in servizio; Labaro nazionale ANA. e consiglieri nazionali; reduci del CSIR, dell'ARMIR e del Corpo d'armata alpino, (con eventuale supporto di automezzi); vessilli delle sezioni ANA, scortati dal presidente, gagliardetti dei gruppi ANA; alpini in congedo; 11,15 Piazza Paolo VI (Piazza Duomo): commemorazione da parte del sindaco di Brescia Paolo Corsini. Saluto del capo di Stato maggiore dell'Esercito.
Onori finali alle bandiere di Guerra e alla massima autorità . Dalle ore 9 alle 13 continuerà  il servizio di annullo filatelico speciale e la bancarella del libro.
"Gli Alpini arrivano a piedi là dove giunge soltanto la fede alata"
(G. Bedeschi)


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axtolf
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Non sono sicuro di poter intervenire (forse sono in Cina), ma se possibile sarò presente. Se ci sono altri che intervengono vale la pena mettersi d'accordo e trovarsi là .
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Viper
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Questa ricorrenza fu il mio primo impegno fuori sede con la Fanfara, e qualche anno dopo fu anche la mia ultima occasione di vederla all'opera nel Carosello Grande eseguito in piazza Loggia, che emozione. Al pensiero che non c'è più mi ribolle ancora il sangue :oops: .Potrei esserci la domenica mattina, ci si aggiorna più avanti su questo. Ciao
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Purtroppo non potrò intervenire, quasi sicuramente sono in Cina... :cry: :cry: :cry:
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jolly46
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Sul Corriere della Sera odierno alla pagina della Cultura c'è un articolo su Nikolajewka per l'uscita del libro "Tutti i vivi all'attacco" di Alfio Caruso.
Sul sito del Corriere però non ne ho trovato traccia.
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jolly46
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Stamattina l'articolo era disponibile in rete e quindi lo ripropongo di seguito.


Gli alpini a Nikolajewka nella pianura dell' onore

di Botti Ettore

Sul Don come sul Piave, perché la resistenza italiana fu eroica
IL GIUDIZIO Le pagine più belle furono scritte combattendo in difesa
LE CONDIZIONI Procedevano senza protezione aerea, stanchi e affamati



Se ci si volta a ripercorrere i giorni per noi terribili della Seconda guerra mondiale è facile rilevare una costante nella condotta militare italiana, peraltro non priva di precedenti (il più illustre resta il Piave). Le pagine di maggior valore non furono scritte in chiave offensiva, ma quasi sempre di difesa, ostinata, eroica difesa. I nostri soldati non si distinsero nell' attaccare il nemico, superare le linee con manovre frontali o avvolgenti, occupare capisaldi e fortificazioni seguendo s trategie di ordinata, potente avanzata. Il meglio di sé l' esercito lanciato nel conflitto da Mussolini lo espresse quando c' era da tenere la posizione, da resistere, non mollare, non arrendersi: nei momenti critici, nelle ore drammatiche. Così a El Alamein, così a Cefalonia, così sul fronte del Don. Alcune ragioni sono nell' oggettività  delle cose: peggiore armamento, inadeguatezza logistica, ridotta capacità  operativa, tutti handicap che rendono improbabile imporre il proprio gioco su un camp o di battaglia. Ma altri motivi si nascondevano senz' altro nel profilo psicologico delle truppe, nelle pieghe dell' anima di quella generazione allevata dentro un brodo di retorica bellicista e mandata alla guerra in uno stato d' incosciente imprepa razione. Lo scarso spirito combattivo è spesso indice di sfiducia in se stessi e nella possibilità  di farcela. Così fu in molti, moltissimi casi, dal ' 40 in poi: per l' improvvisa presa di coscienza delle condizioni d' inferiorità , per la rabbia nei confronti di superiori ritenuti corresponsabili del disinganno o anche per il fastidio di marciare al fianco di alleati prepotenti e non amati. Ma è una leggenda, malevolmente alimentata dagli stessi nazisti e dalla propaganda dei vincitori, che i s oldati italiani fossero, nella loro generalità , pronti a darsela a gambe o ad alzare le braccia di fronte alla prima avversità , al primo pericolo. Lo confermano le cifre pesanti dei caduti e i dati, sempre significativi, sul rapporto tra morti/feriti e prigionieri. E lo ricordano in maniera forte le ricorrenti rievocazioni di una vicenda militare come la ritirata di Russia, la storia di alpini e fanti che non erano riusciti a sfondare, ad andare avanti, a vincere, ma diventarono leoni lungo l' a troce, interminabile cammino del ritorno. Dopo aver pubblicato, nel ventesimo anniversario della ritirata, il memorabile Centomila gavette di ghiaccio, Giulio Bedeschi tornò all' epopea del Don dieci anni più tardi, quando ancora molti reduci erano v ivi, con l' antologia di memorie intitolata Nikolajewka, c' ero anch' io. Ed è lì, dalle testimonianze degli scampati, che emergono gli elementi della metamorfosi, apparentemente paradossale, capace di trasformare un esercito sconfitto in esercito di eroi. Lo spirito di sacrificio, adattamento, abnegazione, assai accentuato, specialmente nel corpo degli alpini. Il senso dell' onore, più alto delle circostanze e delle ideologie (come spiegare, viceversa, l' accanimento nel mettere al riparo le ba ndiere, le insegne, le medaglie a qualunque costo, perché non cadessero in mani ostili?). E la speranza di salvarsi, sì, soprattutto questo, l' umanissimo desiderio di riportare a casa la pelle, se possibile subito, senza passare per i gravi rischi d ella prigionia. Ora che scocca il sessantesimo anniversario, Alfio Caruso offre una nuova documentata ricostruzione (Tutti i vivi all' assalto, Longanesi) e si sofferma con ragione sull' assoluta particolarità  di quella ritirata. Retrocedendo nella c onfusione verso Ovest, i militari dell' Armir (Armata italiana in Russia) non volgevano le spalle ai nemici, come tradizionalmente avviene in occasioni del genere. Infatti gli scatenati inseguitori sovietici, i cosacchi e i siberiani abituati al gelo e debitamente equipaggiati, li affiancavano e, spesso, addirittura li sorpassavano, creando ampie sacche dalle quali era arduo uscire. Non ritirata, dunque, ma «straordinaria avanzata all' indietro», giacché i nostri, a piedi e senza comunicazioni, senza artiglieria, senza protezione aerea, stanchi, affamati, assetati, laceri, congelati, feriti, dovettero farsi largo in una decina di battaglie - talvolta all' arma bianca - prima di conquistare la salvezza attraverso lo sfondamento di Nikolajewk a, il 26 gennaio 1943. Rispetto ad altre ricerche, Caruso riesce a dare una visione organica, raccontando dal principio alla fine gli ultimi undici giorni che segnarono il calvario degli italiani, costretti a percorrere la sconfinata pianura ghiaccia ta con temperature tra i 30 e i 40 gradi sottozero. Il libro presenta un lungo diario quotidiano, tappa per tappa, isba per isba, combattimento per combattimento, caso umano per caso umano. I superstiti si sono ormai assottigliati di molto (alcuni si raduneranno a Brescia per una cerimonia commemorativa), ma l' autore, a parte le poche testimonianze dirette, ridà  vita a un' infinità  di vicende personali di valore e altruismo: dall' ufficiale, che resta a morire per cedere il posto sulla slitta a un ferito più grave, all' alpino che si fa uccidere per proteggere il compaesano isolato nella sparatoria. Episodi enormi ma minimi, destinati altrimenti a perdersi sotto il peso soverchiante delle statistiche: su 230 mila militari partiti per la Ru ssia circa 100 mila (tra caduti in battaglia e morti nei campi di prigionia staliniani) non tornarono. Il prezzo proporzionalmente più alto fu pagato dagli alpini di Julia, Cuneense e Tridentina (scomparve oltre metà  dei 57 mila effettivi), proprio l oro, le penne nere, che neanche avrebbero dovuto partecipare a quella campagna ed erano state chiamate per tappare il buco provocato dalla penuria di truppe. Il colonnello Pietro Gay si era pronunciato contro quella decisione con una lettera di eccez ionale fermezza. «L' impiego in pianura - aveva scritto - espone gli alpini a catastrofiche conseguenze, impedendo che possano dispiegare quelle caratteristiche materiali e morali che in terreno montano li rendono assolutamente eccellenti. La guerra in pianura richiede un addestramento opposto a quello che è stato loro impartito e li sottoporrebbe in partenza a una sfasatura rovinosa». E ancora: «Parlo con il cuore di vecchio alpino e per l' amore che porto ai miei soldati. So che non potrà  veni rmene che danno, tuttavia denuncio che, per ambizioni o incompetenza di comandanti o per altre ragioni, si sta addivenendo a una determinazione d' impiego delle truppe alpine che non esito a definire bestiale e delittuosa». Il colonnello fu naturalme nte rimosso e le penne nere vennero ugualmente avviate al massacro. Ma nel gelo della steppa, quando si trovarono soli con la loro dignità  e il loro coraggio, gli alpini non tradirono. Come spesso i nostri soldati, durante l' ultima guerra, nell' ora della disfatta e della disperazione. E non è casuale che Alfio Caruso abbia dedicato un suo precedente lavoro (Italiani dovete morire) all' immane sacrificio di Cefalonia. Il libro: «Tutti i vivi all' assalto» di Alfio Caruso, in uscita da Longanesi (pagine 386, euro 17,00) LE CIFRE Una marcia interminabile tra i ghiacci E centomila non ritornarono a casa La ritirata cominciò il 17 gennaio 1943, quando i nostri alpini e fanti furono costretti a cedere di fronte all' avanzata delle armate di Sta lin che oltrepassarono in forze il Don. Il ripiegamento attraverso oltre 300 chilometri di pianura ghiacciata si concluse alla fine di gennaio, quando gli italiani, usciti dalla sacca grazie alla vittoria di Nikolajewka, raggiunsero un territorio non presidiato dai sovietici. Dei circa 230 mila nostri militari se ne salvarono 130 mila (30 mila i caduti in battaglia, 70 mila i morti in prigionia). Impressionante la falcidia degli alpini, che all' inizio erano 57 mila. La divisione Cuneense ebbe 1 3.500 morti, la Julia 9.800, la Tridentina 7.750, il quartier generale 3.200.
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jolly46
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Oggi è l'anniversario di Nikolajevka e poichè è anche il mio compleanno, ribalto le convenzioni e regalo a tutti gli amici del forum, queste belle pagine del Nostro Don Carlo Gnocchi:

.............
Da quel giorno, balzando proprio dalla disavventura, ebbe inizio una delle più epiche vicende che questa guerra ricordi. Gli italiani, come già  al tempo di Napoleone, seppero dimostrare la validità  della loro tempra fisica e morale, contro la più accanita ostilità  degli uomini e delle cose.
Undici combattimenti, undici cerchi di ferro astiosamente saldati dal nemico e undici volte spezzati dall'impeto irrefrenabile degli alpini; settecento chilometri di marcia nella steppa bianca e sconfinata, sulla neve farinosa, agghiacciati dal vento gelato, flagellati dalla tormenta, con 40 gradi sotto zero, senza viveri, con poche munizioni faticosamente trascinate sulle slitte superstiti, bivaccando all'aperto, spesso marciando anche di notte, attaccati rabbiosamente dal nemico, insidiati a tradimento dai partigiani, assaliti a ogni momento dai carri armati, sotto l'incubo delle incursioni aeree, quando gli autocarri si arrestavano per mancanza di carburante, le artiglierie rimanevano bloccate dalla neve, i muli cadevano estenuati dal freddo e dalla fatica, le armi si inceppavano per il gelo, la fila dei combattenti andava man mano assottigliandosi per i caduti, i feriti, i congelati; quindici giorni di maree e di combattimenti, di veglie e di fame, di stenti e di eroismi nella più inospitale e crudele delle stagioni e delle terre d'Europa, contro nemici agguerriti e baldanzosi per il successo, costituiscono una delle più alte vittorie dello spirito sulla materia, della volontà  sull'avversa fortuna, e una delle più luminose affermazioni della grandezza della nostra gente.

Perchè si può vincere l'insidia degli uomini, uomo contro uomo - anche se più agguerrito di armi - ma occorre una forza interiore e un valore personale di asssoluta eccezione per vincere la guerra di una natura così ossessionante e disumana, e una stagione così ostile come quella che gli alpini hanno dovuto affrontare e superare. Questo inesorabile andare verso l'orizzonte pallido e lontano, come verso l'infinito irraggiungibile, nella cornice di un paesaggio disperatamente nudo e disteso, nel quale la tragedia e l'eroismo individuale diventano risibile e vano sforzo contro il predominio bruto della natura, è tale da scoraggiare ogni resistenza dar l'impressione di un silenzioso fatale naufragio del corpo e più dello spirito, in così passiva e crudele smisuratezza e prepotenza del cielo e della terra.
Quando una sera, appoggiandomi sfatto a una slitta, ho scoperto, sotto la coltre bianca di neve, i corpi di due caduti che un soldato trascinava con sè da molte giornate, ostinatamente, per non dar loro sepoltura in terra di Russia, ho compreso e misurato, da quel gesto di pietà  disperata, tutta la repulsione dell'animo nostro per quella terra enigmatica, fredda ed estranea.
Nonostante tutto questo, il giorno che ho creduto di gridare ad un alpino della ferrea terra bresciana, mentre mi passava accanto per andare per l'ennesima volta all'attacco: «Coraggio, ragazzi, ormai siamo quasi fuori» mi son sentito rispondere: «Coraggio non manca, signor Tenente; me rincres domà  de iga nua letera de la me murosa ».
Ecco il punto di attrazione per tanti uomini in lotta e la fonte donde emanava così disperato potere di resistenza: la propria donna, i bimbi, la mamma e la casa, e quella che tutti insieme raccoglie e santifica questi amori: l'immagine onnipresente della Patria lontana.
Quando la natura raddoppiava i suoi crudeli assalti, l'orizzonte si faceva sempre più vano e più remoto, il cielo chiuso e quasi irridente al nostro sacrificio; quando le forze stavano per crollare, il passo si trascinava stanco e la speranza della libertà  illanguidiva, allora, sulla torma urgente dei pensieri e dei disegni disperati e spesso insani, saettava una parola che era luce, forza e consolazione: Italia! Il sangue tornava a fluire gagliardo, il piede riprendeva a mordere la neve massacrante e i denti si serravano in una decisione incrollabile di lotta e di resistenza; mentre gli occhi si affissavano lontano, attraverso il velo della commozione.
Ricordo un Capitano. Ogni qual volta, ubriaco di stanchezza, stava per perdersi, vacillare e abbattersi nella neve allucinante e fatale: «Le mie figlie - mormorava tra i denti - le mie figlie!» e tosto il volto si contraeva in una smorfia di volontà , l'occhio si riaccendeva e il passo aveva uno scatto di disperata energia.
Nella storia di questa valanga di uomini che cozza undici volte contro la ferrea parete della sua prigionia e la sfonda, è difficile raccogliere episodi individuali. Tutti hanno dato fina all'estenuazione, fino all'eroismo. L'artiglieria che ha più volte difeso i pezzi a corpo a corpo, gli alpini che hanno scalato i carri armati, forzandone col moschetto la torretta per gettervi le bombe a mano, i congelati, i feriti, che si son trascinati per giorni lungo le piste, qualche volta a carponi, per non cadere nelle mani del nemico, i genieri che sono andati all'attacco snidando il nemico casa per casa, gli addetti ai servizi e gli scritturali che hanno gareggiato in dedizione coi combattenti, tutti, dall'ultimo alpino fino al Generale Comandante, che dopo aver sempre marciato con l'avanguardia, in una giornata decisiva, si è messo in testa alla Divisione portandola alla vittoria e alla libertà , mentre intorno a lui cadevano quaranta ufficiali e un generale, tutti hanno compiuto opera veramente sovrumana.
Dio fu con loro, ma gli uomini furono degni di Dio.

Non è sovrumana maestà  quella del capitano Grandi che, ferito a morte, vedendo intorno alla slitta il cerchio silenzioso dei suoi alpini: « Che cosa sono, gridò, questi musi duri?. Su ragazzi, cantate con me:

Il capitano si l'è ferito, si l'è ferito: sta per morir

E allora, sulle desolate distese della steppa invernale, si levò un lesto e mesto corale di alpini, portato dal vento gelido della sera e guidato dalla voce sempre più foca di un morente.

« Il primo pezzo al Re d'Italia... Il terzo pezzo alla mia mamma... Il quinto pezzo alla montagna che lo ricopra di rose e fior... »
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Mauro
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jolly46 ha scritto:Oggi è l'anniversario di Nikolajevka e poichè è anche il mio compleanno, ribalto le convenzioni e regalo a tutti gli amici del forum, queste belle pagine del Nostro Don Carlo Gnocchi...
Il capitano si l'è ferito, si l'è ferito: sta per morir
E allora, sulle desolate distese della steppa invernale, si levò un lesto e mesto corale di alpini, portato dal vento gelido della sera e guidato dalla voce sempre più foca di un morente.

« Il primo pezzo al Re d'Italia... Il terzo pezzo alla mia mamma... Il quinto pezzo alla montagna che lo ricopra di rose e fior... »
Ehehehhhehehh!!!! Tanti auguroni jolly46!!! Si invecchia eh? Tonifica la scaglia però!!!

Scrivi parole traendole da "Il Testamento del Capitano"... non ho parole per le frasi e le note del canto, lo conosco bene. Spesso mi capita di riascoltarlo dal cd, e cerco sempre di capire di più il significato di ogni singola parola del brano.
Un salutone e ancora auguri!!!!!!!!!!!!
Dio creò l'alpino, lo mise sulla montagna e poi gli disse arrangiati.
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Nikolajewka

Carissmi cugini, le immortali pagine di Bedeschi.

La colonna camminò per il resto del giorno senza imbattersi nel nemico; nel pomeriggio, raggiunto un ampio costone che scendeva a un grosso paese s'arrestò; dall'abitato giungevano raffiche di mitragliatrici e colpi di cannoni.
- Siamo a Nikolajewka - corse voce; - il paese è pieno di soldati russi, il Tirano e il Vestone l'hanno attaccato da ore.
Sta arrivando l'Edolo, ha avuto forti perdite a Arnautovo.
Piti tardi passò un ordine lungo la colonna:
- Fate largo, lasciar passare in testa 1'Edolo e il Valcamonica, è questione di vita o di morte per tutti.
Con gli artiglieri del Valcamonica, al comando del maggiore Dante Belotti giunsero gli alpini della 50 e della 51 dell'Edolo: in combattimento, arcangeli indemoniati.
La Tridentina attaccò, le compagnie d'alpini si slanciarono contro le linee di resistenza russe, vennero respinte e riattaccarono più volte, ma i russi resistevano accanitamente, con innumerevoli armi contrastavano il passo.
Giunsero improvvisi a bassa quota aerei nemici da caccia e da bombardamento, sorvolarono a più riprese la colonna sganciando bombe, mitragliando nel folto e seminando la morte fra gli uomini immobilizzati sulla neve. Stava morendo anche il giorno e avanzava minaccioso il gelo notturno. - Se non si conquista il paese, qui per bene che vada moriremo di freddo - dicevano le voci lungo la colonna che sulla neve si stagliava a perdita d'occhio.
Il nemico attestato a Nikolajewka dimostrava di poter rintuzzare agevolmente tentativi italiani di sfondamento rivelando la potenza del suo massiccio complesso di forze: i reparti della Tridentina si trovavano il passo sbarrato da contingenti russi che superavano l'organico di due divisioni; fu facile individuare la presenza di oltre trenta bocche da fuoco che vomitava proiettili contro gli attaccanti e la colonna. I tre pezzi tedeschi che avevano aperto il fuoco per sostenere l'attacco italiano dopo le prime salve avevano taciuto; a interrogazioni dei soldati vicini gli artiglieri germanici allargarono le braccia e scuoterono rabbiosamente la testa imprecando, perché avevano esaurito con quei pochi colpi le ultime munizioni. Contro i trenta cannoni nemici la colonna poteva opporre solamente quattro piccoli pezzi da montagna che il Gruppo Valcamonica della Tridentina era riuscito a conservare, assieme a una esigua scorta di munizioni; oltre a ciò, al valore individuale degli uomini della Tridentina e a poche mitragliatrici era affidata oramai la sorte delle decine di migliaia di inermi che formavano la colonna.

Dall'alto dell'ampio costone che s'affacciava sulla sotto stante conca di Nikolajewka, l'immenso ammasso di soldati disarmati ed impotenti seguiva col cuore in gola le vicende dell'azione che gli alpini della Tridentina andavano sviluppando, nel tentativo di superare il terrapieno della ferrovia che separava la conca dal paese. I quarti d'ora si succedevano rapidamente, i superstiti dei battaglioni della Tridentina operavano allo scoperto avanzando a successivi sbalzi, intervallati da soste durante le quali gli uomini si appiattivano nella neve impediti a procedere dal tiro rapido delle armi nemiche; si rivelava allora più chiaramente l'impossibilità  di raggiungere l'unico risultato utile: sgominare i russi e conquistare il paese.
Tuttavia, quei decimati battaglioni della Tridentina che marciando costantemente in testa alla colonna avevano sostenuto i più aspri e frequenti combattimenti, con uno sforzo supremo riuscirono a superare in qualche punto il terrapieno e si portarono a contatto ravvicinato col nemico: già  combattevano nei pressi della stazione ferroviaria, si attestavano nelle prime isbe del paese, facevano riaccendere la speranza negli animi di quanti sul costone veniva cannoneggiati dai russi; fremiti di speranza s'alternavano a spasmi di delusione riflettendo le alterne vicende della lotta alla quale i feriti e i disarmati assisteva come da un osservatorio.
Era passata un'ora, una seconda. La Tridentina insisteva negli attacchi e i russi non mollavano, già  certi della grossa preda; la situazione diventava insostenibile i soldati fermi presso le slitte tremavano sentendo l'orribile freddo che distendeva sui volti le sue gelide bave.
- Avanti! - incitava Scudrèra, urlando al vento.
- Andiamo tutti all'assalto e tanti saluti, sarà  quel che sarà ! - gridava il furiere Clerici.
- Bisogna sfondare ad ogni costo! ripeteva il sottotenente Ferrieri.
- Tanto, qui si muore tutti ugualmente - gridavano i soldati esausti di fame e di freddo.
- La Tridentina ha progredito in qualche punto - comunicò una voce eccitata risalendo a ritroso la colonna; - incontra molta resistenza presso la ferrovia e la chiesa, fra poco sferrerà  l'attacco decisivo: tenersi pronti a buttarsi avanti per sfruttare il primo successo.
Poco dopo infatti, nell'ultima luce del giorno, con uno sforzo supremo le forze ancora valide della Tridentina si gettarono all'attacco con alla testa il battaglione Tirano, travolsero d'impeto alcuni centri di resistenza nemica, già  l'esultanza si diffondeva nelle schiere impotenti e ferme intorno alle slitte; ma un urlo di raccapriccio si levò dalla marea di disarmati in attesa sul costone quando, bruciata ogni energia nello slancio dell'assalto e sopraffatti dal fuoco nemico, gli attaccanti tentennarono sulle posizioni conquistate e non reggendo al contrattacco russo presero a ripiegare verso le slitte; nell'assalto erano morti il generale Martinat e quaranta ufficiali.

Alla vista dei dimezzati battaglioni alpini retrocedenti, la tragedia ultima si delineò con definitiva chiarezza fra la massa degli uomini in attesa: incalzando le ultime forze italiane sbaragliate, i russi le avrebbero respinte fino a ridosso delle slitte, e infierendo nel dolorante corpo della colonna avrebbero concluso con una carneficina l'ultima fase del combattimento. Innanzi a Nikolajewka, pervenendo dal calvario lungo il quale s'era trascinata, la sanguinante colonna nella luce di quel tramonto vedeva ormai innalzarsi un'unica croce e spalancarsi una sola fossa; innanzi a Nikolajewka Iddio parve in quella sera aver posto sulla neve il dito gigantesco, a indicare il termine all'inaudita tortura.
Ma altro si rivelò, in quell'ora, il disegno eterno.
Un uomo, un solo uomo sommò nell'animo la disperata angoscia di tutti, vedendo i suoi alpini retrocedere combattendo sulla neve; i suoi alpini, poiché egli era il generale Reverberi comandante la Tridentina; e dalla somma di dolore gli scaturì dall'anima un gesto ed un grido.
Fu una cosa semplice, ma condotta a cavalcioni della morte.
Esisteva ancora un rugginoso carro blindato germanico in grado di rotolare i suoi cingoli sulla neve grazie a pochi litri di carburante residuo; su quello il generale si slanciò, salì ritto sul tetto, diede un secco ordine al guidatore, il carro si mosse avanzando verso i battaglioni in ripiegamento e verso il nemico.
- Tridentina...! Tridentina avanti...!
gridò con forza selvaggia il generale Reverberi dall'alto del carro in movimento, indicando col braccio puntato Nikolajewka.
Non fu lasciato avanzare solò: i suoi alpini, riserva disarmata, si gettarono avanti seguendo il carro; generale e soldati raggiunsero i battaglioni che, elettrizzati, fecero massa compatta: il carro sopravanzò trascinando seco il cuore e l'ansito dell'intera divisione; quell'uomo ritto sul tetto metallico non cadde, non fu trapassato, Iddio lo lasciò in piedi, gli consenti di guidare gli alpini fin sulle difese nemiche, di travolgerle in uno slancio furibondo, di rovesciare i cannoni fumanti, di porre in fuga i russi conquistando Nikolajewka e aprendo il varco entro cui dal costone, come richiamata dalle soglie della morte, irruppe la marea d'uomini dilagando nel paese.

Da: “Centomila Gavette di Ghiaccio” di Giulio Bedeschi.
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Luigi
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Ieri ero a Brescia per il 60° di Nikolajewka.
Ho visto la commozione negli occhi dei reduci, l'orgoglio di chi ha avuto l'onore di sfilare dietro di loro, la partecipazione affettuosa della gente che vuole ricordare anche se non arrivano "ordini superiori".
Perchè su questo anniversario e sui 90.000 italiani rimasti nella neve di Russia i media hanno tenuto ben altro comportamento rispetto ai fiumi di parole versate per Alamein o Cefalonia, e nessun rappresentante centrale dello Stato e del Governo ha ritenuto opportuno partecipare alla cerimonia. Ma sinceramente penso sia stato meglio così, che nessuno sia venuto a parlare di soldati morti dalla parte sbagliata e che nessuno abbia imbastito speculazioni politiche sul ricordo dei nostri Caduti.
Infine, per una volta, vorrei ringraziare l'Esercito Italiano che in questi tempi di vacche scheletriche è riuscito a mandare a Brescia due compagnie di Alpini (del 5° ed 8° Rgt.), una btr. da Montagna (per la gioia di Federico era la sua vecchia 40^...), una compagnia del Genio Alpino, una compagnia di Bersaglieri ed un reparto misto Cavalleria/Artiglieria a cavallo, nonchè una rappresentanza dell'Accademia militare di Modena.
Mandi.
Luigi


"Siamo tornati in pochi, ma quelli che non sono tornati sono qui con noi, vivono nel nostro ricordo e continuano a vivere nel volto dei nostri alpini di oggi, che sono come i nostri alpini che caddero in Russia.
Per tutti questi miei alpini non ci furono nè croci nè lacrime. La steppa russa è diventata una tomba muta per questi bei ragazzi che hanno dato la loro vita per la salvezza degli altri ed hanno pagato con il sacrificio estremo l'onore di essere alpini e perchè qualcuno potesse rientrare in Italia, tornare a casa e dire a tutti che i figli delle nostre vallate si erano comportati da eroi."

(D. Rinaldo Trappo, Cappellano del II Btg. Complementi della "Cuneense")
Ultima modifica di Luigi il mer gen 29, 2003 8:53 am, modificato 1 volta in totale.
"Gli Alpini arrivano a piedi là dove giunge soltanto la fede alata"
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Federico
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Grazie a tutti per questi bellissimi messaggi e auguri a Jolly46, scusandomi del ritardo.

Luigi: dal tuo messaggio qui sopra sembra di capire che sia stata veramente una bella manifestazione.

Che poi in nostro Esercito, con tutti gli impegni che ha e che sta per affrontare, sia riuscito a mandare a Brescia quel po' po' di Reparti trovo che sia un apprezzabilissimo sforzo.

C'era anche la "mia" vecchia 40... direi quasi incredibile! (A dir il vero credevo che anche lei fosse impegnata in preparativi per l'Afghanistan... non avendo più obici, essendo una Batteria SAOC, credevo che almeno qualche sua Sezione fosse in partenza).

Ottima cosa, infine, che a Brescia non fossero presenti i soliti avvoltoi. nessuno sentiva il bisogno, credo, di sentire, per l'ennesima volta, le solite "demogradighe" elucubrazioni. Gli Alpini non ne hanno bisogno per unirsi e stringersi intorno ai Reduci. Loro, la Memoria, sanno che cos'è, anche senza il "dovere" di ricordare.

Bello anche il passo di don Rinaldo Trappo con cui hai concluso il tuo post. Mi ha fatto venire in mente che nel Battaglione Complementi "Cuneense", che venne distrutto praticamente per intero appena disceso dal treno che lo stava portando al fronte, faceva parte anche un certo Capitano Dominioni (se non erro ne ho letto nel libro di G. Gaza "Urla di Vittoria nella Steppa"). Ti risulta che sia lui il fratello del più famoso Paolo Caccia Dominioni, che ebbe un fratello caduto in Russia?

Ciao

P.S.: Luigi, non è che magari hai scattato qualche bella fotina della manifestazione?
Art. Federico
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Luigi
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Federico ha scritto:C'era anche la "mia" vecchia 40... direi quasi incredibile! (A dir il vero credevo che anche lei fosse impegnata in preparativi per l'Afghanistan... non avendo più obici, essendo una Batteria SAOC, credevo che almeno qualche sua Sezione fosse in partenza).

Bello anche il passo di don Rinaldo Trappo con cui hai concluso il tuo post. Mi ha fatto venire in mente che nel Battaglione Complementi "Cuneense", che venne distrutto praticamente per intero appena disceso dal treno che lo stava portando al fronte, faceva parte anche un certo Capitano Dominioni (se non erro ne ho letto nel libro di G. Gaza "Urla di Vittoria nella Steppa"). Ti risulta che sia lui il fratello del più famoso Paolo Caccia Dominioni, che ebbe un fratello caduto in Russia?

Ciao

P.S.: Luigi, non è che magari hai scattato qualche bella fotina della manifestazione?
Dunque, dovrei essere riuscito a fare qualche foto decente, però non me le hanno ancora sviluppate; di sicuro ne ho qualcuna discreta della cerimonia di dicembre a Milano, dove c'era ancora la 40^ come reparto in armi. Prima o poi riuscirò a trovarmi con Ax per fare qualche scansione (ho pure un'immagine della tomba del Gen. C.A. Luigi Reverberi).
Quanto all'Afghanistan, mi sembra che con quell'incarico verranno mandate due sezioni del 185° RAO della "Folgore".

Riguardo al Cap. Dominioni, è sinceramente la prima volta che ne sento parlare; ricordo però che mio padre mi parlò di un parente del Ten. Col. PCD che era a Nikolajewka, per cui potrebbe essere proprio lui... (comunque non penso fossero fratelli, perchè mi sembra di ricordare che in "Alamein 1933-1962" PCD dica di avere solo sorelle).
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Federico
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Speriamo che le tue foto siano venute bene!

Per quanto riguarda PCD ed il suo (forse) parente: una prima ricerca mi ha permesso di appurare che almeno un fratello ce l'aveva: Cino Caccia Dominioni, fratello più giovane di Paolo, Sten del Btg. Stelvio cadde sull'Ortigara il 28/01/1918 (a proposito ieri era l'anniversario della sua morte).

Ma ho come una pulce nell'orecchio che mi dice che un qualche riferimento a qualcuno della sua famiglia caduto in Russia da qualche parte in uno dei suoi libri ci sia.

Ciao
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Grazie a Bricchetto possiamo usufruire della rassegna stampa completa.


QUIRINALE:MESSAGGIO CIAMPI IN RICORDO BATTAGLIA NIKOLAJEWKA
I TANTI SOLDATI CADUTI IN RUSSIA NON MORIRONO VANAMENTE
(ANSA) - ROMA, 26 GEN - ''Quei tanti soldati caduti, non
caddero vanamente, perche' l'Europa dopo quelle prove, ha
superato gli egoismi nazionalistici. Attingiamo, dunque, alla
loro memoria, la spinta per progredire nell'edificazione di un
mondo di pace''. E' quanto afferma il presidente della
Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, in un messaggio inviato a
Giuseppe Parazzini, presidente dell' Associazione nazionale
alpini, che oggi commemora la battaglia di Nikolajewka che fu
combattuta dal corpo di spedizione italiano in Russia il 26
gennaio 1943.
''Traiamo spunto dal loro sacrificio per rinnovare il senso di
devozione che ci lega alla patria'' scrive il capo dello Stato
che esprime all' associazione ''il vivo apprezzamento per tutte
le meritorie iniziative tese a perpetuare il ricordo di quella
gioventu' che sessant'anni fa si immolo' in terra di Russia''.
''A Nikolajewka - scrive il presidente della Repubblica - fu
scritta una pagina di eroismo e di umanita'. Gli alpini, uomini
forti perche' educati alla montagna, nel gelo dell'inverno russo
seppero operare con tenacia e generosita', mostrando, anche nei
momenti piu' tragici cameratismo e compassione per quanti,
feriti o vittime del congelamento, anche combattenti della parte
avversa, dovessero essere aiutati. Questo avveniva, nonostante
le sofferenze imposte dalle marce, dal gelo, dalla mancanza di
ogni risorsa''. ''Con gli alpini - ricorda Ciampi -
operarono fanti, granatieri, artiglieri, cavalieri, genieri,
intendenze e carabinieri. Partirono in 229.005 e 84 mila 300 di
loro non fecero ritorno''.
''Concluso il sanguinoso conflitto, le nazioni europee -
sottolinea il presidente della Repubblica - diedero avvio alla
costruzione della pace, animate dalla volonta' di scongiurare il
ripetersi di eventi tanti tragici e luttuosi e nella
consapevolezza che non potesse esserci prosperita' senza civile
coesistenza e cooperazione tra i popoli''.
''Le idee di allora sono divenute realta' - conclude Ciampi -
trovando concreta realizzazione nell'Unione europea, punto di
arrivo di quella volonta' di rinascita''.
(ANSA). COM-SES/MRY 26-GEN-03 16:17 NNNN



ALPINI: 60/MO NIKOLAJEWKA; IN 20 MILA AD APPLAUDIRE I REDUCI

(ANSA) - BRESCIA, 26 GEN - Alcuni hanno voluto marciare,
magari appoggiati a un bastone. Altri hanno partecipato alla
sfilata in piedi o seduti sui mezzi dell'esercito, della Croce
Rossa, dell'Associazione Nazionale Alpini. Erano circa 200 i
reduci della campagna di Russia ed in particolare della
battaglia di Nikolajewka presenti oggi alla sfilata per le vie
di Brescia.
Si e' trattato del momento finale delle manifestazioni
organizzate dall'Associazione Nazionale Alpini per ricordare la
battaglia che consenti' a migliaia di italiani di rompere
l'accerchiamento russo e di tornare in Italia durante il
ripiegamento dall'Unione Sovietica. ''E' stata una vittoria
dello spirito - racconta commosso Vittorio Trentini, tenente
alpino in Russia e gia' presidente dell'Ana - non delle armi.
Loro avevano i carri armati, noi i fucili del 1891. Ho
combattuto insieme a tanti artiglieri bresciani che hanno dato
prova di grande fedelta'''. E Enzo Crepaldi, 91 anni, ufficiale
medico della 'Tridentina' dice: ''Sono morti troppi ragazzi
inutilmente. Oggi si parla ancora di guerra, viene male solo a
pensarci, roba da pazzi. Ho un ottimo ricordo della popolazione
russa, ci ha aiutato molto''.
La sfilata e' stata aperta dalla banda alpina Tridentina
della sezione Ana di Brescia, seguita dal gonfalone di Udine e
dei paesi e delle citta' da dove provenivano i soldati che in
terra di Russia hanno combattuto nei reparti del Corpo d'armata
alpino. Poi sono sfilati i reparti in armi: alpini in tenuta da
sciatori, altri da rocciatori, ma anche artiglieria alpina,
artiglieria a cavallo, lancieri, bersaglieri, fanti e
guastatori. C'erano anche gli alpini donna, particolarmente
applaudite. I 'veci', gli alpini piu' anziani che a fianco dei
piu' giovani, i 'bocia' (ragazzi), al passaggio delle donne in
divisa e il cappello degli alpini commentavano scherzando:
''Guarda le bocete'' (ragazzine). Una di loro, Marilu', di
Acireale, ha detto: ''La divisa e' sempre stata il mio sogno.
Penso anche alla famiglia e vorrei sposarmi, ma rimarro'
nell'esercito''.
In rappresentanza del capo di Stato maggiore dell'esercito
era presente il generale Antonio Quintana, vicecapo delle truppe
terrestri. Il momento di maggior commozione e' stato comunque
quello del passaggio dei reduci della campagna di Russia,
applauditissimi. Alcuni di loro non sono riusciti a trattenere
le lacrime passando davanti al palco delle autorita'. Ma oltre
ai reduci italiani anche chi a Nikolajewka era sull'altra
sponda, cioe' alcuni ufficiali dell'allora esercito sovietico.
Per la prima volta alle celebrazioni dell'anniversario della
battaglia di Nikolajewka sono stati invitati anche i reparti non
alpini che hanno condiviso le vicende della guerra in Russia.
Tra di loro, le divisioni Torino, Pasubio, Celere e il
raggruppamento Camicie Nere 3 gennaio. Nel corso della
manifestazione non sono mancati i riferimenti polemici alla
possibilita' che vengano soppresse le truppe alpine: ''Diciamo
ad alta voce che la cosa non ci piace - e' stato detto dal palco
-. La soppressione di reparti alpini e della leva obbligatoria
porteranno alla cancellazione di quella immensa tradizione che
e' sicuramente un'importante risorsa della nazione''.
La manifestazione, che tra partecipanti e pubblico ha
richiamato 20mila persone, si e' conclusa in piazza Paolo VI
dove e' intervenuto il sindaco di Brescia, Paolo Corsini.
(ANSA). YN1-BAB/KO 26-GEN-03 18:43 NNNN



GIORNATA MEMORIA: RIGONI, COMMOSSO PER MIEI COMPAGNI /ANSA

(ANSA) - ASIAGO (VICENZA), 26 GEN - ''Sono rimasto commosso,
perche' dietro quest' onorificenza ci sono anche tutti i miei
compagni che sono rimasti sulle strade della guerra''. Mario
Rigoni Stern commenta cosi' la decisione del Presidente della
Repubblica Carlo Azeglio Ciampi di insignirlo dell'onorificenza
di Cavaliere di Gran Croce.
''Sono rimasto molto, molto sorpreso - ha detto lo scrittore
- , non pensavo una cosa del genere, soprattutto per il fatto
che vivo abbastanza fuori mano. Sono 50 anni che e' uscito 'Il
sergente nella neve'. Poi era uscito il libro sulla grande
guerra, di cui il presidente Ciampi ha fatto la presentazione,
ma non pensavo mi arrivasse un'onorificenza cosi' alta''.
''Sto continuando a lavorare - ha aggiunto Rigoni Stern -
l'anno prossimo la Mondadori fara' uscire un 'Meridiano' delle
mie opere''. ''Mi fanno - ha concluso scherzosamente - il
monumento''.
Mario Rigoni Stern e' nato nel 1921 ad Asiago (Vicenza), un
piccolo paese dell'Altipiano dei Sette Comuni. Nella primavera
del 1940 viene inviato sul fronte francese e, nel successivo
novembre, su quello albanese e greco. Dopo il trasferimento al
Battaglione sciatori del Monte Cervino, il 13 gennaio 1942 parte
una prima volta per la Russia, da cui rientra in primavera.
Nella successiva estate e' la volta del fronte del Don, che
raggiunge col grado di sergente maggiore del Battaglione
Vestone, della Tridentina, e dal quale, dopo là¾attacco delle
forze sovietiche, ha inizio il drammatico ripiegamento
attraverso la steppa, culminato nella battaglia di Nikolajewka.
La caduta del fascismo, il 25 luglio del 1943, lo trova in
licenza. Richiamato al reparto, il successivo 8 settembre, viene
catturato dai tedeschi. Inizia cosi' la sua odissea nei Lager,
tra Innsbruck e i campi della Prussia orientale e dell'Est
europeo sino a quando, dall' Austria, valicate a piedi le
montagne, il 9 maggio 1945 torna a casa. Suo primo libro ''Il
sergente nella neve'' (ricordi della ritirata di Russia), che
arriva a quattro edizioni in pochi mesi, ed apre la strada a
numerose altre opere, di cui le piu' recenti sono ''Le stagioni
di Giacomo'' (1995) e ''Sentieri sotto la neve'' (1998).
(ANSA). BE 26-GEN-03 17:08 NNNN
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Due cose in breve:

- Perchè la storia moderna non si studia a scuola? Perchè nelle nostre scuole non si insegna che cosa è stata la guerra per il nostro paese, quanti eroi hanno colorato la neve con il loro sangue? Perchè?

- Gli alpini in Russia hanno fatto il loro dovere fino al sacrificio estremo, per dedizione al loro servizio, al loro paese, alla loro bandiera. Quante persone a 60 anni di distanza sono in grado in capire cosa questo significhi?

Non voglio risposte, solo meditateci come ci ho meditato io.
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