Da la Stampa di Torino di oggi. Notate la parte che ho sottolineato in neretto.
Ho deciso di inviare una lettera alla redazione, tramite l'email lettere@lastasmpa.it oppure direttore@lastampa.it
C'è "Il barone rampante" ma a influenzare gli italiani è stato piuttosto "Marcovaldo"
MARCO BELPOLITI
Le classifiche come le liste sono fatte per essere discusse. Per vedere chi c'è e chi invece ne è escluso, ma soprattutto per capire quale logica presieda alla stesura dell'elenco dei salvati e dei sommersi. Mi riferisco ai libri scelti da un gruppo di studiosi e professionisti dell'editoria in occasione del Centocinquantenario dell'unità d'Italia: 150 «grandi libri» e i 15 «superlibri», ovvero i bestseller e i megaseller, per usare il linguaggio del massmarketing oggi così consueto.
Se la seconda, i «superlibri», vuole includere i libri che al loro apparire hanno rappresentato una svolta, un cambio di passo nella rappresentazione del nostro Paese, come si dice nella spiegazione, cominciare con Nievo, con le sue Confessioni, è perfetto, per quanto sia un libro postumo e la sua importanza, come capita spesso per i grandi libri, s'impone lentamente nel tempo. La stessa cosa è accaduta a Primo Levi per Se questo è un uomo, uscito nel 1947 ma letto da pochissimi, mentre l'edizione da cui si deve cominciare è quella del 1958, in parte diversa, arricchita, e pubblicata dall'editore che inizialmente lo aveva rifiutato, Einaudi.
Dubito fortemente invece che Don Camillo sia uno di quei libri che hanno cambiato l'Italia. Guareschi, scrittore di forti umori provinciali, ha piuttosto registrato un aspetto dell'eterna divisione, e insieme non-divisione, del Paese (Peppone e Don Camillo si somigliano moltissimo). Descrive, non «fa gli italiani». E così il libro di Italo Calvino che più ha influenzato gli italiani, le giovani generazioni, è Marcovaldo, che, come ha scritto Domenico Scarpa, è stato il primo bestseller di un ex comunista nell'Italia degli Anni Cinquanta, e anche dopo. Il barone rampante scelto è un bel romanzo, il suo migliore, ma rappresentava soprattutto l'Io di Calvino. Così il Pasticciaccio di Gadda, libro amatissimo, è stato acquistato e soprattutto letto da una minoranza di abitanti del Bel Paese. I miei studenti all'università oggi lo possono leggere solo con un apparato di note, quasi fosse Joyce. Che sia un gran libro, non c'è dubbio, uno dei più grandi, ma ha influenzato una minoranza.
Lo stacco dal 1958 al 1980 - nessun libro nell'elenco dei «superlibri», saltando gli Anni Settanta - mi pare troppo brusco, e probabilmente risponde a una lettura negativa del «decennio lungo» della nostra storia. C'è Occidente di Camon e Il borghese piccolo piccolo di Cerami, due libri sul fascismo bombarolo, il primo, e sul fascismo della piccola borghesia, il secondo. E poi, se questo elenco non bada troppo al valore letterario, come dicono i curatori, allora perché non includere Porci con le ali, di Marco Lombardo Radice e Lidia Ravera, che invece sta nella lista dei 150?
E tra il 1980 e il 2006 non c'è proprio nulla? Niente che ci segni come italiani, nessun libro rimarchevole? E qui vengo alla lista più larga, dei 150 «grandi libri». Procedo dal fondo, perché le cose più interessanti si vedono là dove ci si avvicina al presente. Margaret Mazzantini con Venuto al mondo. Un successo di vendite, certo, ma non è né un libro di qualità né di grande importanza sociale. E anche il Paolo Giordano della Solitudine dei numeri primi, megaseller, non mi pare, a parte il botteghino, un campione dei nostri anni. Ci sono romanzi giovanili più significativi. Forse è un caso che siano entrambi libri Mondadori?
La lista dal 2010 con Leopardi di Citati, sino al 1998 con In Asia di Terzani, mi pare poi molto incerta: più attenta alle vendite che non alla qualità o al significato collettivo e sociale. Di Terzani, semmai, sono importanti i libri dopo la conversione New Age, cui si allude, ma che non si è osato mettere nella lista. Faletti di Io uccido? Perché? I Wu Ming di Q o 54 non sono forse meno meritevoli di citazione? Bestseller per bestseller, di sicuro i due romanzi del collettivo di scrittura appaiono significativi, e indicano un cambio di gusto nel pubblico: evidenziano una letteratura più legata ai blog e al web del Leopardi, frutto ultimo di un autore che con Il tè del cappellaio matto (1972) ha scritto uno dei migliori saggi del dopoguerra (assente). Pontiggia di Nati due volte, libro bello, è indicativo di un'attenzione a un problema sociale, l'handicap, ma forse meritava di esserci come autore di Il giocatore invisibile del 1978, anno della morte di Moro (manca anche Sciascia nella lista, quello dell'Affaire).
Insomma, a leggerla bene la lista è una specie di manuale Cencelli della letteratura, con autori presenti perché politicamente corretti, o significativi giornalisticamente, o solo socialmente, forse, e altri perché si vendono. Un esempio ultimo degli assenti eccellenti: vero che il 1963 sembra un anno straordinario, come registra lo stesso elenco, con una messe di opere imponente, ma preferire il mediocre - letterariamente e culturalmente - Giulio Bedeschi di Centomila gavette di ghiaccio al Primo Levi della Tregua mi pare una svista rimarchevole. O è forse colpo alla botte e uno al Centro?