


di ROBERTO COVAZ GORIZIA ”Il servizio segreto italiano disponeva di depositi di armi sotterranei in terra friulana i quali, tra il 1972 e il 1974, erano stati oggetto di spostamento”, scrivono Andrea Pannocchia e Franco Tosolini in ”Gladio. Storia di finti complotti e di veri patrioti”. E se le gallerie di Doberdò fossero state utilizzate proprio come deposito di armi di organizzazioni paramilitari? La domanda resta in sospeso e carica di ulteriori misteri la vicenda degli scavi nelle alture carsiche tra Ronchi dei Legionari (frazione Selz) e Doberdò. Lungo la provinciale, salendo, sulla destra, in località Gmajna, ”dormono” ufficialmente da 41 anni a 37 metri di profondità chilometri di gallerie. Un reticolo che nemmeno gli speleologi conosco bene. Il Piccolo ha riportato a galla questa vicenda che sembrava morta e sepolta. Nel 1969 la località carsica era a un passo dall'ottenere il via libera da parte del Cern di Ginevra per la costruzione del primo protosincrotrone d'Europa. Almeno quella era la versione ufficiale. Perché sta prendendo sempre più corpo l'ipotesi che quelle gallerie erano state scavate per fini bellici e non scientifici. Tra le ipotesi - che abbiamo riportato ieri - quella che potessero servire come base operativa di una forza paramilitare estero diretta di primo intervento in caso di invasione degli eserciti comunisti. Suggestioni? Forse, ma molti elementi rafforzano questa prospettiva. «Ricordo perfettamente il dibattito sull'assegnazione del protosincrotrone a Doberdò del Lago, anche se all'epoca non ero ancora giunto a Trieste, dove arrivai nel 1971», precisa il professor Renzo Rosei, fisico di fama mondiale, uno dei padri del sincrotrone di Trieste. Che aggiunge: «In effetti mi pare alquanto strano che le gallerie fossero state scavate prima di ottenere l'assegnazione da parte del Cern. Si tratta di un intervento costoso e molto complesso, soprattutto all'epoca. Per cui ritengo che quelle gallerie esistessero già ». Sì, ormai si può dire con certezza che quelle gallerie esistevano già . Parte risalenti alla Grande guerra, parte alla Seconda. Di dimensioni diverse, ma tutte più o meno alla stessa profondità di 37 metri dentro una landa che ha un'altitudine media di 74 metri sul livello del mare. Dopo le rivelazioni del Piccolo Provincia di Gorizia e Comune di Doberdò del Lago stanno pensando di chiedere al Demanio militare di individuarle e di riaprirle. E chissà che cosa potrebbe esserci ancora dentro. Quella era una zona dove il transito era vietato fino a pochi anni fa. Nel 1995 durante un furioso incendio la zona fu presidiata dai militari, ufficialmente per impedire di farsi male a causa dello scoppio di qualche residuato bellico. Nemmeno i pompieri poterono entrare. Segreti e ancora segreti. Che forse oggi tornano a galla. Renato Fiorelli, pacifista storico del Goriziano, ricorda un militare morto a Gradisca nel 1977, «uno di Brescia», mentre faceva i lavori di mina nella galleria del San Michele. E sulle mascherature a covoni e capanne eseguite da militari scelti quali contadini, esperti quindi dell'oggetto, ricorda Fiorelli che «i Comuni si tenevano all'oscuro, facevano finta di non vedere per non aver problemi né nei confronti dei militari né dei civili. Che vendevano a caro prezzo le cotiche erbose dei prati stabili per la copertura dei bunker».
Gli speleo: «Non conoscevamo quelle caverne»
GORIZIA Il territorio isontino è stato oggetto di radicali trasformazioni, sopra e sotto la superficie, per scopi militari. Quello carsico in particolare. Risultate poi inutili dall'evolversi della storia. E quindi abbandonate. L'imponente impianto difensivo è divenuto nido di pipistrelli. Le installazioni fuori terra sono state quasi tutte rimosse. E a pochi metri da dove sorgevano finti covoni e cataste di legna mimetizzate rimangono oggi le torrette in ferro, arrugginite, delle prese d'aria. Paesaggi abbandonati. Città fantasma di un conflitto mai avvenuto. A chi chiedere? Cominciamo da Franco Gherlizza, guida speleologica che conosce il Carso, sopra e sotto, come le sue tasche. «Nell'arco di pochi chilometri, fra Doberdò e il Lisert, esistono decine e decine di grotte adeguate a fini militari; le tipologie sono diverse, ci sono quelle naturali, quelle riconformate e quelle costruite appositamente. La tipologia dipende dalle esigenze: nel corso della prima guerra mondiale italiani e austriaci usavano quello che trovavano. Poi intervengono coi martelli sia nel corso della guerra che nell'intervallo di pace che preparava la seconda guerra e infine negli anni della contrapposizione frontale della Guerra fredda. Gli interventi ipogei riguardano l'intera fascia confinaria ma è chiaro che ogni intervento è blindato, impossibile da verificare». Per quanto riguarda gli interventi sul pianoro di Gmajna Gherlizza dichiara di non aver mai saputo nulla. Versante militare. Ci spiega tutto un generale goriziano in congedo (che vuole restare anonimo), già comandante dei reparti d'arresto: «Di tali impianti non ho mai saputo nulla, nè tantomeno ne sapevano i miei colleghi. Io andavo in giro per le trincee del Carso, giravo tutta la zona, sia perchè ero appassionato della storia della Grande guerra sia perchè responsabile dell'area addestrativa della Divisione fanteria Folgore sul Carso di Monfalcone. Il bunker fotografato fa parte delle fortificazioni permanenti. Se si parla di scavo profondo bisogna dire che non è roba militare. Troppo vicino al confine, non avrebbe alcun senso, sensibile alla prima spallata offensiva». Val la pena segnalare che il comando delle armate Nord-Est è a Monte Venda, vicino Padova, in caverna antiatomica, ma ben distante da qualunque confine. Sandro Scandolara
A Doberdò gallerie scavate da un organizzazione paramilitare
di ROBERTO COVAZ GORIZIA Le gallerie di Doberdò del Lago che nel 1969 avrebbero dovuto ospitare il primo protosincrotrone d'Europa furono costruite negli anni Cinquanta per scopi bellici. Non solo: a scavarle sarebbero state organizzazioni paramilitari con base operativa all'estero. Organizzazioni che aderiscono quasi perfettamente all'identikit di Gladio. Le gallerie avrebbero dovuto diventare una sorta di primo sbarramento in caso di invasione dall'Est. È questo uno dei primi, clamorosi sviluppi del caso sollevato dal Piccolo nel reportage pubblicato ieri. MILITARI. Sembra assodato che le gallerie siano ancora oggi di proprietà del Demanio militare. Si trovano a circa 37 metri di profondità , in una località che sulle mappe viene indicata con il nome di Gmajna. Si tratta della landa carsica che si trova sulla destra della provinciale che da Selz - frazione di Ronchi dei Legionari - sale al paese carsico. Sullo sfondo i monti Debeli, Cosici e Arupa Ciupa (dove si ferì Mussolini). In quel tratto la quota media è di 76 metri sul livello del mare. Nella zona, per la gran parte coperta da vegetazione e arbusti, sono ancora ben visibili l'ingresso di un paio di bunker, prese d'aria e botole. Sicuramente strutture militari. LA VICENDA. Nel luglio del 1969 Doberdò del Lago e tutta la provincia di Gorizia stavano cullando il sogno di essere prescelti dal Cern di Ginevra per ospitare la prima macchina di luce protosincrotrone dell'Europa. Il governo aveva stanziato 69 miliardi di lire; 40 milioni la Regione. Invece non si fece nulla nonostante il parere favorevole sul sito espresso dalla commissione del Cern giunta per un sopralluogo a Doberdò mercoledì 9 luglio 1969. Fu Aldo Moro, allora ministro degli Esteri, a dirottare la candidatura su Nardò, in Puglia. Un voltafaccia che costò caro all'Isontino. Erano in ballo qualcosa come 5000 posti di lavoro. Per dire di quanta attesa ci fosse per l'assegnazione di questo impianto basta ricordare che a Polazzo un locale pubblico era stato chiamato Bar Protosincrotrone. I RETROSCENA . Da ulteriori testimonianze raccolte ieri dopo la pubblicazione dell'articolo emerge che nel sottosuolo si svilupperebbe un reticolo di almeno 200 gallerie, una parte di esse senza sbocco. Si tratterebbe sia di scavi risalenti alla Grande guerra, che alla Seconda guerra mondiale e soprattutto degli anni Cinquanta, all'apice della guerra fredda. Particolarmente interessante, e per certi versi inquietante, un altro aspetto. Per sondare la consistenza del sottosuolo carsico in prospettiva del protosincrotrone furono fatti diversi carotaggi. Ma l'analisi geologica comportò anche la fenditura delle rocce attraverso lo scoppio di mine. Alcune furono fatte brillare anche a brevissima distanza dalle sponde del lago di Doberdò che da quel periodo avrebbe manifestato scompensi nel delicato equilibrio che governa l'andamento idrografico, oggetto di approfondite ricerche. LE REAZIONI. Tra i primi a stupirsi positivamente della presenza di queste gallerie - sulla cui esistenza erano in pochi a ricordarsi - sono stati il presidente della Provincia di Gorizia Enrico Gherghetta e il sindaco di Doberdò del Lago, Paolo Vizintin. «La Provincia si attiverà senza indugi per ottenere dalla competente autorità il permesso di visitare le gallerie - ha promesso il presidente Gherghetta - . La Provincia con il progetto Carso 2014+ sta portando avanti un ingente intervento di valorizzazione della zona carsica, sia sotto il profilo naturalistico che storico. Dunque, perché non includere anche queste gallerie nei percorsi turistici?». Sorpreso Paolo Vizintin di trovarsi in casa un patrimonio del genere. «Posso affermare con ottima approssimazione che le gallerie sono opere di origine militare. Prenderemo contatti con il Demanio per verificare la consistenza del reticolo e considerare un eventuale sfruttamente turistico. Del resto ricordo che quand'ero bambino il territorio comunale era disseminato di presenze militari. Non si potevano percorrere che pochi metri di sentieri e subito si era intercettati da qualche militare. Non parliamo poi di chi inavvertitamente si avvicinava al confine».