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cavalli
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ritagli di vita Alpina ovvero quando gli alpini era Alpini

un bel racconto di Giuseppe Bruno, (Storie di Alpini e di Muli, ed. L'ARCIERE, Cuneo, 1983) ufficiale veterinario durante la 2^ WW.

Il racconto.
Prima di entrare nel pieno dell'argomento muli in Albania mi si consenta di spendere quattro parole di presentazione dei quadrupedi in oggetto, a edificazione di quei miei benevoli lettori che conoscono i muli solo per averli visti qualche volta a sfacchinare attaccati ad una carretta o con un basto sulla groppa.
Il mulo (dal latino mulus) è sempre stato un infelice sin dalla nascita, o meglio, dal concepimento, in quanto è un ibrido e cioè un prodotto sterile nato dall'accoppiamento di due animali di specie diversa, nel nostro caso dall'unione di un asino con una cavalla. Un infelice non solo perché non può avere figli ma anche perché essendo un mulo e cioè animale solitamente testardo non è «un unto del Signore».
Avrebbero potuto portarlo alla ribalta, sotto un corteo volante di angeli osannanti, le Sacre Scritture, duemila anni fa. Ma quelle collocarono, invece nella Grotta di Betlemme e accanto ad un tranquillo bove, un tranquillissimo asinello. Ho l'impressione che neanche Gesù conobbe il mulo, tanto è vero che nel giorno delle Palme cavalcò un asino.
Esiste tra gli ibridi un animale più infelice del mulo: il bardotto. Questi è figlio di un cavallo e di un'asina. È più piccolo e meno robusto del mulo e non è né carne né pesce con quelle sue orecchie né lunghe né corte che non ricordano quelle del padre cavallo, che non ricordano quelle della madre asina. Ma il bardotto, a essere sinceri, se ne è sempre infischiato di questa sua evidente inferiorità  fisica, tanto più che, salvo casi eccezionali, non è mai stato impiegato in guerra, e tanto meno in Albania.
Il cavallo è sempre stato l'animale «nobile» per antonomasia e personalmente io lo amo al pari del mulo e di ogni altro animale e ciò per una precisa scelta di etica comparata, al di là  della accettata deontologia professionale. Ma per il mulo ho sempre avuto più comprensione non solo perché anch'io come lui non discendo da magnanimi lombi ma da decine e decine di generazioni di servi della gleba, non solo perché da ragazzino gli scarpinai accanto nei lavori dei campi, non solo perché fu, in seguito uno dei ‘miei più rassegnati pazienti nel mio primo periodo di inesperto veterinario civile, che svolgeva la sua attività  in plaghe montane, ma anche e soprattutto perché fu proprio un mulo che segnò a caratteri indelebili il mio primo contatto con la vita militare. E fu un impatto doloroso e con tutti gli insegnamenti che scaturiscono da un dolore intensamente sofferto.
Il mattino del 5 agosto 1937 mi ero presentato al Comando del 4° artiglieria alpina, a Cuneo, per iniziare il servizio militare in qualità  di aspirante sottotenente veterinario di complemento. Il grande casermone del reggimento, la «Cesare Battisti», che faceva corpo unico anche per i reparti del 2° reggimento alpini, era deserto. Tutti gli alpini e gli artiglieri alpini erano fuori sede, con le salmerie al seguito, impegnati nel ciclo delle esercitazioni estive nella zona Lago delle Mescie Valle Casterino, la Valle delle Meraviglie. Ero entrato nella «Battisti» con addosso tutti i paramenti dell'alta uniforme per la presentazione al comandante di reggimento. Mi aveva ricevuto il tenente Bordini, aiutante maggiore in I^ del reggimento stesso. Dopo i convenevoli di rito Bordini aveva tagliato corto dicendomi: «Togliti tutto il “someggio” da giuramento. Il signor Colonnello comandante non c'è, è su per un ‘ispezione ai reparti in esercitazione. Ergo: mettiti in divisa da fatica, infilati gli scarponi, prenditi il sacco da montagna con entro i tuoi effetti personali, sali sul primo treno in partenza da Cuneo per Nizza, scendi a Tenda, ti fai a piedi un tre ore di salita, raggiungi il Lago delle Mescie e qui ti presenti al Comando del Gruppo Pinerolo al quale sei stato assegnato. Lassù farai il giuramento non con la sciabola ma con la pistola. Ciao e in gamba ».
Mi sentivo talmente in gamba che salito sul primo treno utile del pomeriggio e sceso a Tenda, alle 18, in meno di due ore compivo la tappa. Una gran volata sorretta dalle ali dell'entusiasmo per la mia prima penna nera.
Nella tenda comando del Pinerolo trovai un solo ufficiale e mi presentai. Era il mio diretto superiore tecnico, cioè il capo servizio veterinario del reggimento, il capitano Alfredo Manzone, un imponente ercole di mezza età  che portava sul petto una successione di nastrini di tutto rispetto: prima guerra mondiale, operazione riconquista Cirenaica, guerra di Spagna, campagna d'Abissinia, croce al merito coloniale, croce da cavaliere e tante altre cose ancora. Aveva un vocione da orco, ma da orco benefico. Mi accolse a braccia aperte, come un vecchio amico, mi fece accomodare: «Immagino che questo signorino abbia fame» disse e subito straziò la pace dei monti con un urlo: «Giovenaleee!».


Giovenale arrivò di corsa, era il mensiere. «Subito da mangiare per il signorino». E il signorino si fece una gran mangiata. Soddisfatto per la paterna accoglienza chiesi al mio simpatico capo servizio quali erano gli ordini per il giorno dopo. Manzone si incupì di colpo, mi guardò con tenerezza e cosi mi disse: «Caro figliolo, avete da svolgere subito un servizio non precisamente allegro. Mezz'ora prima deI vostro arrivo un portaordini del capitano Pausini, comandante di una batteria, lo conoscerete presto, un gran soldato, mi ha avvisato che a due ore di marcia e precisamente in questo punto» mi aveva accompagnato intanto presso una carta topografica del settore, che stava affissa contro un telo della tenda «e sulla mulattiera c'è un mulo gravemente infortunato: probabile frattura di uno stinco. Il capitano Pausini ha chiesto l'intervento di un ufficiale veterinario. Se sussiste realmente la frattura il quadrupede deve essere abbattuto. Pausini è in spostamento notturno. Molto probabilmente la bestia è stata lasciata sola. Mi spiace, tocca a voi andare su. Con tutto quel che potrà  seguire. Tutto ciò non ho voluto dirvelo prima per non rovinarvi la cena. Mi spiace, giovane collega. Il mulo si chiama Orvieto».
Prima incombenza di servizio, bell'incombenza: accoppare un innocente. E non per colpa del 1° capitano Manzone o del 1° capitano Pausini, ma per via, questa volta, di un eccesso di genialità  creativa, si fa per dire, del Padreterno che, evidentemente mortificato per gli sbagli compiuti nella messa in opera dell'apparato gastroenterico degli equini - di cui ho già  parlato - aveva forse ritenuto opportuno riparare al malfatto gratificando i predetti animali di un'opera fisioanatomica tra le più perfette del creato: i metacarpi, vulgo gli stinchi, ossa gracili se rapportate a quelle dell'uomo, ma costruite con un'architettura incomparabile tutta spinte, controspinte, sovrapposizioni di archi a tutto sesto, a sesto acuto, rampanti, rialzati, a ferro di cavallo; e poi controarchi, lunette, angoli a peduccio, contrafforti. Quei quattro stinchetti, i «fiammiferi» come li chiamano gli allevatori francesi, sono in grado di sopportare, ad esempio, il sovrappeso di quattro, cinque quintali che cadono dall'alto (il peso di un cavallo da concorso ippico che atterra sui due anteriori dopo avere superato l'ostacolo) e non fanno «beh» sotto i carichi enormi e pressanti di muli someggiati giù per discese ripide. Un capolavoro irripetibile, che già  aveva lasciato di stucco Leonardo da Vinci e che, purtroppo, non è suscettibile di «riparazioni» allorché si spezza. Se anche l'arto dell'animale potesse essere ingessato il callo osseo neoformato non potrebbe evitare la permanente zoppia del soggetto al quale occorrerebbe, per il ritorno alla normalità , un ripristino praticamente impossibile della mirabile armonia architettonica che ho descritto.
E così mi misi in cammino verso il mulo Orvieto. Prima di partire avevo vuotato il sacco delle cose mie e le avevo sostituite con una lampadina elettrica, una borraccia piena d'acqua, due panini e una giubba a vento contro il freddo della notte; avevo incluso nel sacco anche una borsetta di medicazione. Chissà , forse non era una frattura.
Salii spedito la mulattiera, favorito nella marcia dal chiarore di una grande fetta di luna. Dopo un'ora di cammino mi giunse all'orecchio un tintinnio di ferri. Erano i ferri degli zoccoli del mulo. Orvieto aveva a sua volta udito il rumore dei miei passi e mi stava venendo incontro. Dopo pochi minuti lo vidi: veniva giù a lenti balzelloni, a capo chino, con l'anteriore sinistro trattenuto a mezz'aria. Mi si avvicinò quieto. Sentii la mia voce che gli diceva «Ciao, Orvieto, come va?». Gli accarezzai il bel testone e poi feci scendere una mano lungo la spalla sinistra e poi lungo l'arto sino ad arrivare allo stinco. La diagnosi, alla semplice ispezione manuale, fu sin troppo facile: frattura netta. Dovevo abbattere il quadrupede.
Afferrai il mulo per la cavezza e lo trascinai lentamente, in discesa, verso uno spiazzo che a poche decine di metri dal punto del nostro incontro allargava la mulattiera. Orvieto mi seguì docile, un passo con l'anteriore sano, un faticoso salto con i due posteriori. Non gemeva ma respirava affannato; giungeva forte alla mano che teneva la cavezza e al mio viso che sfiorava il muso del mulo, il calore del suo stato febbrile. Ci fermammo sullo spiazzo e Orvieto tirò un gran sospiro. Accesi la lampadina e illuminai l'animale. Aveva tirato su la testa e vidi i suoi grandi occhi lucidi che guardavano fiduciosi ad un improvvisato e forzato boia che mai, mai prima di allora aveva recato offesa manuale ad un rappresentante degli ibridi.
Mi sfilai il sacco, ne trassi fuori tutto il contenuto e lo posai su un sasso. Cavai dalla fondina la Beretta cal. 9, inserii il caricatore e collocai la pistola su un altro sasso. Avevo la gola arsa, ma non per la fatica della salita, e così tolsi il tappo dalla borraccia e buttai giù una sorsata d'acqua. Orvieto abbozzò un mezzo raglio lamentoso: aveva sete. Anche Gesù ebbe sete prima di morire. E questo fu un pensiero tristissimo. Mi tolsi il cappello alpino, lo riempii dell'acqua della borraccia e lo porsi al mulo. In tre secondi il recipiente fatto di panno fu prosciugato.
Fu a questo punto che mi venne l'idea di dare uno sguardo al contenuto della borsa di medicazione. Tra aghi e seta per sutura, lacci di contenimento, un piccolo matereccio di tintura di iodio, una fascia e due piccoli pacchi di cotone idrofilo, trovai anche una agocannula, un aggeggio per praticare salassi. Un salasso, ecco Orvieto, un salasso. Sarà  una fine dolce, indolore; sarà  come essere posseduto da un gran sonno. E così evitiamo la pistola. Nell'ultimo istante della tua vita non sentirai il colpo destinato a spaccarti il cervello e non vedrai la fiammata della morte.
Presi un laccio e lo strinsi attorno al collo del mulo; subito le giugulari apparvero tonde, turgide. Orvieto lasciava fare, sempre quieto. Presi anche un panino, tolsi l'orribile rnortadella che lo imbottiva, e lo offrii al mulo. L'animale masticò placido e quasi non si accorse della rapida introduzione dell'agocannula in una delle sue grandi vene giugulari. Dalla cannula trassi via il grosso ago e il sangue incominciò a zampillare copioso. Spezzai in più parti il secondo panino e ogni tanto offrivo a Orvieto un pezzetto di pane. Ad ogni movimento masticatorio corrispondeva una più vorticosa uscita di sangue dalla cannula.
Passarono molti minuti. Orvieto masticava ora le manciate d'erba che avevo raccolto nei pressi dello spiazzo. Ad un tratto drizzò le orecchie, come sorpreso, poi traballò un poco, si piegò sugli arti posteriori e lentamente si distese a terra, su un fianco. Il respiro si fece calmo, sottile, sempre più sottile. Accesi ancora la lampadina ed esplorai gli occhi dell'animale: incominciavano a velarsi ma non intravidi in essi terrore o sofferenza. Ero seduto anch'io a terra, all'altezza del petto di Orvieto, e stavo accarezzandogli il muso, allorché il suo cuore cessò di battere.
Disse una volta il prof. Herlitzka, docente di fisiologia, a noi studenti dell'Università  di Torino: «Abbiate sempre motivo di rispetto e di tristezza per la morte di ogni animale, minuscolo o grosso che sia, perché nel momento in cui quell'essere muore viene distrutta un'armonia di cellule e di messaggi creata da milioni di anni di evoluzione. Soprattutto di messaggi. Grande uomo, quell'Herlitzka. L'episodio di Orvieto accadde, come ho detto, circa tre anni prima dell'inizio del secondo conflitto mondiale e non immaginavo allora, quali e quanti sarebbero stati le sofferenze e i «tipi» di morte, soprattutto sul fronte greco albanese, di tanti nostri muli. Quei grandi innocenti dalle orecchie lunghe...
Giuseppe Bruno
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Re: ritagli di vita Alpina ovvero quando gli alpini era Alpini

cavalli ha scritto:un bel racconto di Giuseppe Bruno, (Storie di Alpini e di Muli, ed. L'ARCIERE, Cuneo, 1983) ufficiale veterinario durante la 2^ WW.
[...]
Racconto commovente.
Con qualche lacrima mi fa ricordare quando fui costretto a dare pace, dopo 17 anni di vera amicizia, al mio cagnolino.
Il veterinario, l'ago... poi lui chiuse gli occhi e senza soffrire si addormento' tra le mie braccia.
In un mondo dove c'e' poco rispetto persino per le persone, queste sono storie che toccano il cuore e fanno capire quando l'uomo e' uomo e quando l'uomo e' bestia.
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Re: ritagli di vita Alpina ovvero quando gli alpini era Alpini

Top ha scritto:
cavalli ha scritto:un bel racconto di Giuseppe Bruno, (Storie di Alpini e di Muli, ed. L'ARCIERE, Cuneo, 1983) ufficiale veterinario durante la 2^ WW.
[...]
Racconto commovente.
Con qualche lacrima mi fa ricordare quando fui costretto a dare pace, dopo 17 anni di vera amicizia, al mio cagnolino.
Il veterinario, l'ago... poi lui chiuse gli occhi e senza soffrire si addormento' tra le mie braccia.
In un mondo dove c'e' poco rispetto persino per le persone, queste sono storie che toccano il cuore e fanno capire quando l'uomo e' uomo e quando l'uomo e' bestia.
Io ricordo benissimo un cane che, sapendo che il suo padrone era rimasto intrappolato tra le macerie della casa, ha scavato e abbaiato finchè i militari non lo hanno estratto.
Credo che sia meglio essere uomo bestia perchè sebbene rozze sono capaci di tanto amore e nesun odio, la natura è insensibile ma mai crudele.
se il destino è contro di noi... peggio per lui!!!
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Re: ritagli di vita Alpina ovvero quando gli alpini era Alpini

Io mi chiedo perchè racconti del genere non li impongano come letture a scuola.
Oggi i nostri baldi giovani non si fanno problemi ad uccidere una persona per un parcheggio, per uno sguardo alla morosa in discoteca...

Gente che, giocoforza, la morte l'ha vista in faccia, durante la guerra... non ucciderebbe una bestia...
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Re: ritagli di vita Alpina ovvero quando gli alpini era Alpini

Hellis ha scritto:Io mi chiedo perchè racconti del genere non li impongano come letture a scuola.
Oggi i nostri baldi giovani non si fanno problemi ad uccidere una persona per un parcheggio, per uno sguardo alla morosa in discoteca...

Gente che, giocoforza, la morte l'ha vista in faccia, durante la guerra... non ucciderebbe una bestia...

ultimamente la scuola è maestra di vita sono nei licei o al massimo negli isyituti tecnici, dove ci sono immigratii ci vorrebbe solo la naja, un anno duro, che serva a fargli apprendere le regole del nostro stato, che li renda partecipi della vita del nostro paese, coi suoi obblighi, i suoi pregi e i suoi immancabili, faticosi doveri.
Trascinarti il tuo compagno per 24 km di marcia con la zavorra, stare tre giorni immerso nella neve o a scioglierti al sole della sardegna d'estate, con una sola borraccia da dividere, beh anche se non è la guerra ti fa diventare,uomo e cittadino, e quando vedi che i tuoi sforzi servono alla collettività  che li apprezza anche oroglioso.
Io non dimenticherò mai gli sguardi della gente in difficoltà  per un'alluvione vedere i carabinieri che arrivavano sui camion, le parole di ringraziamento dei vecchi isolati nelle loro case, la riconoscenza plateale dei bambini che disegnavano per settimane quei ragazzi con la "testa" rossa.
Purtroppo le regole e i solidi valori morali non sono come le caramelle "mou" dolci e gommose, sono dure scaglie difficili da digerire, e devono essere infilate a forza a chi non le assorbe, non per il suo solo bene si intenda, ma per quello di tutti.
se il destino è contro di noi... peggio per lui!!!
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Re: ritagli di vita Alpina ovvero quando gli alpini era Alpini

Un bel libro che ho trovato a poco prezzo su una bancarella. Lo consiglio a tutti se riuscite a trovarlo. Non è un'opera di letteratura di altissimo livello, ma un semplice racconto di vita militare, simile a un diario personale.
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