ROMA - Un militare italiano è morto e altri 5 sono rimasti feriti, in Afghanistan, in seguito ad un attacco terroristico. Lo hanno detto all'Ansa fonti militari. L'attacco e' avvenuto contro un convoglio composto da tre veicoli 'Puma': sembra che ci sia stata un' esplosione, comandata a distanza, che ha coinvolto il terzo mezzo. Sei i militari italiani a bordo: uno e' morto, gli altri sono rimasti feriti. Due in modo grave. Il militare italiano ucciso a Kabul si chiamava Giorgio Langella, aveva 31 anni ed era in servizio al 2.Reggimento Alpini di Cuneo. Era nato ad Imperia ed era sposato.
L'attentato, riferiscono al comando del contingente italiano a Kabul, è avvenuto intorno alle 8 locali, le 5:30 in Italia. Il convoglio composto dai tre veicoli blindati leggeri si trovava a circa 10 chilometri da Kabul. I soldati sono stati trasferiti nell'ospedale militare da campo francese.
I soldati erano in "normale attività di pattuglia". "Alle ore 8 circa ora locale (le 5:30 ora italiana) - si legge infatti in una nota di Italfor - durante una normale attività di pattuglia condotta da personale italiano nel distretto di Chahar Asyab, circa 10 km a sud di Kabul, un convoglio italiano composto da 3 veicoli blindati leggeri (VBL) 'Puma' è stato coinvolto dall'esplosione di un ordigno improvvisato probabilmente azionato a distanza (RC-IED) che ha interessato il terzo mezzo, su cui viaggiavano 6 militari italiani". "L'esplosione - prosegue la nota - ha causato la morte di un militare italiano e il ferimento in maniera grave di altri due. Gli altri tre militari inoltre sono rimasti feriti in maniera lieve".
E' di meno di una settimana fa l'ultima vittima italiana in Afghanistan prima dell'attentato odierno: il caporalmaggiore Giuseppe Orlando perse la vita in un incidente stradale la sera del 20 settembre scorso, mentre altri due alpini rimasero feriti in modo non grave.
L'incidente si verificò intorno alle 23, anche in questo caso durante una normale attività di pattuglia condotta nel distretto di Chahar Asyab, a circa 13 chilometri a sud di Kabul. I militari italiani anche in quell'occasione erano a bordo di un veicolo blindato leggero (VBL) 'Puma', che a causa di un cedimento del terreno si capovolse mentre effettuava una curva, causando la morte di Orlando, che si trovava in posizione di mitragliere. Il giorno successivo, in un altro incidente stradale, ma a Nassiriya, in Iraq, morì invece il caporal maggiore scelto Massimo Vitaliano.
ROMA - Un militare italiano è morto e altri 5 sono rimasti feriti, in Afghanistan, in seguito ad un attacco terroristico. Lo hanno detto all'Ansa fonti militari. L'attacco e' avvenuto contro un convoglio composto da tre veicoli 'Puma': sembra che ci sia stata un' esplosione, comandata a distanza, che ha coinvolto il terzo mezzo. Sei i militari italiani a bordo: uno e' morto, gli altri sono rimasti feriti. Due in modo grave. Il militare italiano ucciso a Kabul si chiamava Giorgio Langella, aveva 31 anni ed era in servizio al 2.Reggimento Alpini di Cuneo. Era nato ad Imperia ed era sposato.
I due militari piu' gravi sono il maresciallo Francesco Cirmi, 30 anni, di Bologna, e il caporal maggiore Vincenzo Cardella, 24 anni, di San Prisco (Caserta). Sono entrambi ricoverati nell'ospedale da campo francese, mentre non destano alcuna preoccupazione le lesioni riportate dagli altri tre militari, che si trovano invece ricoverati - come si è appreso successivamente - nell'ospedale presso l'aeroporto di Kabul. Nell'attentato e' morto anche un bambino afghano.
per quanto d'interesse un articolo tratto da pagine difesa:
Non c'è da illudersi. Il rifiuto-incapacità (scegliete pure la parola che più vi aggrada) da parte dei paesi della Nato di soddisfare l'urgente richiesta, formulata dal generale Ray Henault nella sua qualità di presidente del Comitato militare dell'Alleanza, per altri 2.500 soldati ed equipaggiamento pesante per rafforzare gli 8.000 canadesi, inglesi e olandesi dell'Isaf che sono impegnati in duri combattimenti contro i Taliban nelle provincie meridionali dell'Afghanistan, costituisce uno sviluppo molto serio e allarmante. Le implicazioni potenziali di questo sviluppo vanno bene al di là dell'esito finale della guerra in Afghanistan (pur se questo esito è già importantissimo di suo) e investono tutto il futuro della Nato e anzi l'intero problema delle relazioni transatlantiche.
Il cambio di comando nel luglio scorso, quando gli Stati Uniti trasferirono all'Isaf l'intera responsabilità per l'Afghanistan meridionale e la missione dell'Isaf venne quindi allargata ben oltre il modesto mandato originale per operazioni di grande polizia in regioni relativamente tranquille per arrivare invece a coprire la reale possibilità di combattimenti non solo difensivi ma anche offensivi, venne salutato con grandi e facili entusiasmi come il primo passo per la nascita di una ‘nuova Nato', in grado di condurre missioni su larga scala in aree bene al di là dei suoi confini originali.
In aggiunta a dare il cambio a forze americane già duramente provate da mesi di spiegamento su un territorio ostile, il nuovo ruolo dell'Isaf era quindi sopratutto quello di dimostrare che il ‘braccio europeo' della Nato è sufficientemente robusto per le esigenze dei nuovi scenari strategici. Più in generale, la missione Isaf doveva rimettere sui binari tutto il complesso schema, che per varie ragioni era ‘deragliato' in Iraq, per una nuova ripartizione dei compiti all'interno dell'Alleanza: la macchina militare americana che entra in azione per distruggere rapidamente le forze armate di qualsiasi ‘Stato canaglia', e gli europei che arrivano in un secondo momento per farsi carico delle operazioni di peace-enforcing e stabilizzazione. Del resto, sono gli stessi europei a premere per vedersi affidate queste missioni, in cui ritengono di essere molto superiori ai ‘rozzi e ignoranti' americani.
Ma sono bastati meno di due mesi per vedere tutte queste belle speranze svanire nel nulla. Messi di fronte ad allarmi sempre più pressanti, con la situazione complessiva dell'Isaf che si va facendo critica a causa del ritorno in forze dei Taliban, i Paesi europei si sono semplicemente rifiutati di inviare anche un solo soldato in più. Il segretario di Stato americano, Condoleezza Rice, ha avvisato che “se l'Afghanistan non riesce a completare la sua trasformazione in un Stato democratico impegnato nella lotta al terrorismo, tornerà a essere un problema per noi, per i nostri discendenti e i discendenti dei discendenti”.
L'ambasciatore degli Stati Uniti presso la Nato, Victoria Nuland, ha dichiarato che “quello che è in gioco è la dimostrazione della volontà e delle reali capacità combattive di tutti i Paesi dell'Alleanza”. Il segretario generale della Nato, Jaap de Hoop Scheffer, ha fatto appello alla solidarietà atlantica, perché “alcune nazioni portano già un fardello più pesante degli altri”. E il primo ministro inglese, Tony Blair, che nemmeno un erpice a vapore riuscirebbe a sradicare dalla sua posizione di agente europeo degli Usa, ha affermato che “l'Afghanistan è una responsabilità di tutta la Nato […] la Nato ha formulato i suoi requisiti in proposito e i Paesi membri hanno il dovere di soddisfarli”.
Fiato sprecato. Il Canada manderà altri 200 uomini a rafforzare il suo contingente nella regione di Kandahar e la Polonia ha annunciato l'invio di 900 uomini, ma non prima di febbraio e in ogni caso non certo a sud bensì nelle regioni orientali che sono sotto controllo americano. Questo è tutto. La montagna ha partorito il topolino ed è un topolino parecchio macilento.
Sembra ovvio che le ragioni per questo imprevedibile voltafaccia da parte non già di qualche nazione presa singolarmente, ma della Nato europea nel suo complesso vadano ricondotte a un unico fattore: i governi europei si sono improvvisamente resi conto che la patata che stanno maneggiando sta diventando sempre più calda, con la situazione complessiva in Afghanistan che sembra abbia tutte le intenzioni di precipitare in una copia fedele dell'incubo iracheno. E' oggi chiaro che diverse capitali europee si erano fatte un'immagine di gran lunga troppo ottimistica della realtà afghana e non avevano ben compreso che esiste una certa differenza tra il ‘pattugliare (fare su e giù con veicoli protetti) le relativamente tranquille strade di Kabul e l'andare a caccia di Taliban tra le loro montagne. Le ottimistiche affermazioni formulate all'inizio di quest'anno dell'allora ministro della Difesa britannico, John Reid, secondo cui i soldati inglesi spiegati in Afghanistan meridionale “potrebbero non dover sparare un solo colpo” erano certamente condivise da parecchi dei suoi colleghi.
E invece, la situazione complessiva è andata drammaticamente peggiorando nel corso di poche settimane, dopo il passaggio di commando in luglio. Da un lato, i Taliban stanno rapidamente riacquistando le proprie posizioni non solo sul piano militare ma anche (cosa ben più grave) su quello politico, con un crescente supporto tra le popolazioni rurali. Dall'altro, i cambiamenti radicali nella politica pakistana annunciati di recente dal presidente Musharraf rischiano di avere un impatto devastante. Siamo già al punto che un ufficiale inglese ha definito gli scontri in corso come “i più violenti combattimenti corpo a corpo dall'epoca della guerra di Corea”.
Almeno sino a questo momento, le capacità di reazione dell'Isaf non sembrano essere andate oltre il lanciare un'operazione di rastrellamento dopo l'altra. Il fatto che il successo di queste operazioni venga espresso dallo stesso comando Isaf esclusivamente in termini di guerriglieri uccisi indica con sin troppa chiarezza che ci si avvia a ripetere esattamente gli stessi errori commessi dagli americani in Vietnam, con azioni militari virtualmente fine a loro stesse e slegate da un qualsiasi progetto politico, e che quindi finiscono inevitabilmente con il generare nuove reclute per i Taliban e aumentare il loro appoggio da parte delle popolazioni locali.
E questo è solo l'inizio. Con l'imminente arrivo dell'inverno, quando le operazioni militari nelle zone di montagna diventano pressoché impossibili, i Taliban avranno ampie possibilità di riorganizzarsi, rifornirsi e riequipaggiarsi, sfruttando appieno (come era già stato durante la campagna contro l'occupazione russa) i loro ‘santuari' in territorio pakistano, oggi ufficialmente riconosciuti dal governo di Islamabad (gli oltre 70mila soldati a poliziotti che erano spiegati lungo il confine sono già stati tutti ritirati), e rafforzando le loro schiere con gli oltre 2.500 esperti combattenti che il governo pakistano ha appena liberato. A complicare ancora le cose, il presidente Bush ha ritenuto di fare cosa saggia dichiarando in Tv che in caso di necessità , gli Stati Uniti sarebbero dispostissimi a violare l'integrità territoriale pakistana per condurre le loro operazioni anti-guerriglia anche nei ‘santuari'. Come un politico un po' più accorto di Bush avrebbe potuto facilmente immaginare, questa inconcepibile e arrogante dichiarazione ha costretto Musharraf ad affermare che il Pakistan si opporrà a qualsiasi violazione del suo territorio, se necessario con l'uso della forza. La prossima primavera rischia di essere piuttosto calda.
Ma se il rifiuto europeo di lasciarsi trascinare ulteriormente nell'avventura afghana rischia di avere delle serie conseguenze per l'evoluzione della situazione in quello sventurato Paese, l'impatto su tutto il futuro della Nato potrebbe essere addirittura devastante. La ‘rottura' a proposito dell'Iraq era già stata una faccenda abbastanza spiacevole, ma almeno all'epoca era ben chiaro a tutti che si trattava solo del risultato di certe considerazioni di politica interna, accompagnate da un temporaneo conflitto di interessi. Ma un'altra rottura sull'Afghanistan è una cosa molto più grave, perchè questa volta sono gli stessi Paesi della Nato, che erano già parte dell'Isaf sotto mandato delle Nazioni Unite e che a luglio avevano volontariamente accettato di allargare il mandato dell'Isaf, a rifiutarsi di far fronte ai loro impegni.
Qui non si tratta più di uno Schroeder che si scopre pacifista perché ha disperatamente bisogno di rastrellare quella manciata di voti che lo farà rieleggere o di uno Chirach che punta i piedi per cercare di salvare il salvabile degli interessi petroliferi francesi in Iraq. E' invece la Nato in blocco che fallisce clamorosamente.
O più esattamente, non è la Nato in blocco che fallisce: è invece l'intero progetto di una ‘nuova Nato' che crolla come un castello di carte, semplicemente perchè i Paesi europei sono arrivati alla conclusione che un'Alleanza riformata in quel modo comporterebbe dei rischi e dei costi che essi giudicano eccessivi e in ogni caso fuor di proporzione con i possibili guadagni. Quando la Spagna con 120mila uomini in uniforme si dice convinta che i suoi 650 soldati già in Afghanistan sono “più che sufficienti”, quando la Francia (350mila uomini) e l'Italia (200mila soldati più 113mila carabinieri) fanno presente che i loro impegni impediscono assolutamente di liberare altre forze per l'Afghanistan, quando la Germania rifiuta di spostare anche uno solo dei suoi 2.900 uomini fuori da Kabul, quando la stessa Gran Bretagna di Tony Blair dice “non un uomo di più”, ebbene tutto questo rappresenta un messaggio agli Stati Uniti che più chiaro non potrebbe essere: non contate più su di noi per faccende del genere, punto e basta.
La conseguenza diretta più probabile è che gli Stati Uniti perderanno (se pure non lo hanno già perso) qualsiasi interesse ai vari dubbiosi modelli per una ‘nuova Nato' e cercheranno invece di organizzare una ‘coalizione dei volonterosi' ogni volta che se ne presenti la necessità . Sembra che ci sia adesso rivolti addirittura alla Serbia (!), promettendo in cambio un futuro ingresso nella Nato e nella Unione Europea. Quanto alla Nato, potrebbe benissimo continuare a esistere secondo il suo mandato originale, e cioè come alleanza politico-militare difensiva per la protezione reciproca dei Paesi membri. Ma è molto dubbio che Washington veda le cose in questo modo.
La Max Trid.
EX Gran Maestro delle Fortificazioni
(riciclato NATO)
Memento Audere Semper
La nostra patria per noi sono i villaggi, i nostri altari, le nostre tombe. La nostra patria è la nostra Fede, il nostro Re. Ma la loro patria che cos’è per loro? Voi lo capite? Loro l’hanno in testa, noi la sentiamo sotto i nostri piedi.
Sinceramente le riflessioni sul senso e sullo scopo delle missioni all'estero e di tutti gli annessi e i connessi non mi va di farle con i cadaveri ancora caldi. Di solito apro queste discussioni per il condoglio e non per la discussione sulle missioni all'estero , per cui, si può aprire una discussione a parte. Gli spunti per la discussione sono molteplici e si riagganciano a temi ben affrontati qui e altrove.
Volevo solo sottolineare che per me una morte di cui non capisco il senso è ancora più triste. Tutto qui.
Liberissimo infatti. Intendevo solo dire che oggi, per quanto mi riguarda, era necessario il solo condoglio per la perdita. Tutto qui. Le considerazioni (corrette e legittime) su questa e su altre missioni non volevo farle qui. Sarebbe, almeno per quanto riguarda la mia personalissima sensibilità , trattare questi argomenti al funerale di questa persona. Ovviamente si tratta di una opinione personale, che può essere condivisa oppure no.
Poi ognuno si regola come crede ovviamente, non c'è nessun obbligo.
Maggiori notizie sugli altri feriti da Repubblica.it:
I due militari feriti gravi sono il maresciallo Francesco Cirmi (Bologna), che ha riportato un forte trauma facciale, e il caporal maggiore Vincenzo Cardella (San Prisco, Caserta), ferito agli arti inferiori. Per entrambi sono stati necessari interventi in sala operatoria. Lo fa sapere lo Stato Maggiore della Difesa. I tre militari italiani rimasti feriti in modo lieve sono ricoverati presso l'aeroporto internazionale di Kabul. Hanno riportato solo lievi contusioni e sono in buone condizioni di salute. Tra loro c'è anche una donna, il caporale Pamela Rendina, la prima donna soldato italiana mai ferita in azione. Rendina è nata a Napoli nel 1982, è nubile, si è arruolata un anno fa, il 29 agosto 2005, ed è caporale degli alpini. Il suo incarico è esploratore. Gli altri due feriti lievi sono il caporal maggiore Salvatore Coppola, 28 anni, originario di Mesagne e residente a Torre Santa Susanna (Brindisi), e il caporale Salvatore Belfiore, 20 anni, nato a Torino e residente a Caselle.
La nostra patria per noi sono i villaggi, i nostri altari, le nostre tombe. La nostra patria è la nostra Fede, il nostro Re. Ma la loro patria che cos’è per loro? Voi lo capite? Loro l’hanno in testa, noi la sentiamo sotto i nostri piedi.
Tralaltro, andando un pò OT, perdendo tempo su internet ho trovato questa bella immagine proprio nel sito del comune di San Prisco, dove è nato il caporale Cardella:
La nostra patria per noi sono i villaggi, i nostri altari, le nostre tombe. La nostra patria è la nostra Fede, il nostro Re. Ma la loro patria che cos’è per loro? Voi lo capite? Loro l’hanno in testa, noi la sentiamo sotto i nostri piedi.