allegato un articolo apparso sul correire del veneto:
DE PROFUNDIS PER GLI ALPINI
Anche quest'anno alcune centinaia di migliaia
di alpini provenienti da tutta Italia sfileranno
domenica per le strade di una città ,
in questo caso Parma, che come sempre con
grande affetto vorrà aprire le sue braccia a
questi insoliti ospiti. Sarà una gran festa, rumorosa,
un po' sbracata, ma vera. Con una
nota triste. Da alcuni anni, infatti, le adunate
nazionali degli alpini, dietro la facciata,
non riecheggiano più canti di allegria, già rari
nei repertori di montagna. Così la musica
di fondo, anche domenica, sarà non quella
di una festa, ma quella di un De profundis,
del funerale alle truppe alpine che conoscevamo,
condannate alla scomparsa nell'Esercito
Italiano. Gli alpini, abituati a non protestare
(«tasi e tira»), infatti hanno subito in silenzio
nell'ultimo decennio un ridimensionamento
che equivale a una sentenza di morte.
Da cinque brigate, Taurinense, Orobica, Tridentina,
Cadore e Julia e una prestigiosa
Scuola Militare Alpina fucina di tanti atleti,
alpinisti e giovani ufficiali in Valle d'Aosta,
le penne nere sono ora inquadrate su sole
due brigate e la Scuola di Aosta è stata ridotta
alla vergognosa ombra di sé. Si è detto che
è cambiata la fisionomia dell'esercito, ed è
vero. Nell'odierno modello di peacekeeping,
cioè di polizia internazionale, non c'è spazio
per i tranquilli alpini, poco inclini agli interventi
bruschi. Poi c'è stata l'abolizione del
servizio di leva obbligatorio, che era la stessa
ragione d'essere degli alpini.
Gli alpini non hanno mai voluto essere alpini.
L'alpino era una forma altissima di senso
civico, l'espressione del servizio che persone,
spesso di modestissime origini sociali, accettavano
di offrire alla Patria, con la caparbietà
e la modestia di mettere a disposizione
di altri le proprie capacità , fino in fondo,
temporaneamente, ma senza riserve. Non
c'era spirito bellico che li animava, tutt'altro,
non c'era speciale attitudine militare. Era la
zappa o la falce che si trasformavano in fucile.
Gli alpini erano la società , la nostra società
— vorrei dire la parte migliore — riorganizzata
e disciplinata militarmente, mossa solo
da un fortissimo, naturale senso del dovere.
Non era l'esercito a forgiare gli alpini, ma
erano gli alpini a fare l'esercito, il vero esercito
di popolo, quello, per intenderci, dal cuore
grande e dal grilletto lento. Gli alpini hanno
ovviamente le loro colpe per questo funerale
anticipato, sono dei pessimi promotori
di se stessi, quasi fanno fatica a parlare — a
comunicare come si dice oggi—disistimano
la parola e preferiscono i fatti. Quindi non
producono serial televisivi, sulle loro gesta e
non fanno lobby. Così se ne sono andati, le
poche caserme rimaste operative sono ora
popolate di volonterosi giovani che non vengono
dalle valli che danno il nome ai reggimenti
che hanno sul cappello e che sono animati,
tutt'al più, da desiderio di crescita professionale.
Nonostante tutto questo, la scomparsa
delle truppe alpine non sarebbe alla fine una
grande disgrazia. I soldati vanno e vengono,
anche se la guerra come si sa, sarebbe una
cosa troppo seria per lasciarla fare ai militari.
Ciò che invece è irreparabile e gravissimo,
non solo per noi veneti, è che con la
scomparsa degli alpini se ne va lo spirito alpino
tra i valori di questo nostro strano Paese,
che è ben altra cosa. E sulla perdita di questi
valori gli artefici, militari e politici, della prematura
scomparsa degli alpini farebbero bene
a riflettere (e noi, che siamo alpini, per
carità di Patria ne abbiamo taciuto i nomi).
Sergio Noto
Meditate. gente!
la Max Trid.