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Quegli alpini di leva dell’Albatros

Dall'alpino di Marzo

“Allora, li riunimmo nei cinema delle nostre caserme, spiegando motivazioni e finalità  della missione internazionale o­nUMOZ (United Nations Mozambique) ed illustrando il compito che era stato affidato al contingente italiano Albatros: creare le condizioni di sicurezza atte a garantire una regolare distribuzione degli aiuti umanitari, l'attuazione di un programma di assistenza economica, lo sviluppo della riconciliazione politica e sociale, lo svolgimento di libere elezioni. In ossequio alle precise disposizioni che avevamo ricevuto dal Governo, domandammo quindi ai ragazzi se, di loro spontanea volontà , desiderassero non prendere parte alla missione in Mozambico.

Pochi degli interpellati si tirarono indietro. La risposta che ricevemmo, infatti, andò assolutamente oltre ogni nostra aspettativa. Gli alpini di leva della Taurinense risposero in massa all'appello, con un entusiasmo, una disponibilità  ed una motivazione totali. In quel momento può essere idealmente collocato il primo passo, naturale e senza traumi, che portava dalla coscrizione obbligatoria al servizio militare volontario. Si apriva in questo modo la strada verso il professionale”.

Il generale di brigata Claudio Graziano, all'epoca comandante del battaglione Susa ed oggi della Taurinense, ha sintetizzato così, lo scorso 11 febbraio, nell'affollato Salone dei Duecento della Sezione ANA di Torino, il momento chiave che dodici anni fa consentì di dare il via all'intervento umanitario italiano in Mozambico, nell'ambito della missione di peacekeeping che le Nazioni Unite avevano promosso (risoluzioni 782 e 797) a seguito degli accordi di pace firmati a Roma il 4 ottobre 1992, sotto l'egida della Comunità  di Sant'Egidio, tra il Governo locale e i combattenti della Resistenza Nazionale Mozambicana (RENAMO).

In sala erano presenti numerosi ospiti qualificati, a cominciare dal generale di corpo d'armata Carlo Cabigiosu che, nel corso della serata, ha preso la parola per rispondere ai quesiti del pubblico con alcune efficaci precisazioni.
Il Paese, ha ancora ricordato il gen. Graziano, devastato da una guerra di liberazione poi degenerata in conflitto civile tra FRELIMO (Fonte di Liberazione Mozambicano, marxista, nel frattempo giunto al potere) e RENAMO, di tendenza opposta, nel 1993 contava oltre un milione di morti, un milione e settecentomila profughi, quattro milioni di sfollati.

In virtù della sua adesione all'intervento o­nU nell'ex colonia portoghese dell'Africa Australe, il nostro Esercito si affrancò definitivamente dalle pastoie impostegli da una guerra perduta quattro decenni prima. Durante i tredici mesi della missione Albatros (marzo 1993-aprile 1994), il contributo degli alpini italiani (milletrenta uomini che si avvicendavano ogni tre mesi) non si limitò alla Taurinense del gen. Luigi Fontana, che sul famoso e strategico “corridoio di Beira”, dall'Oceano Indiano al confine dello Zimbabwe (ex Rhodesia), dispiegò accanto al “Susa” anche il battaglione logistico ed il reparto di sanità  aviotrasportato, supportati da un gruppo squadroni elicotteri, ma vide, nella seconda parte della missione, l'intervento della brigata alpina Julia, comandata dal gen. Silvio Mazzaroli.

Con quello stile tutto italiano che “fa la differenza”, le Penne Nere scortarono sistematicamente i convogli ferroviari sulla linea Beira-Machipanda, pattugliarono l'oleodotto che rifornisce lo Zimbabwe presidiandone le stazioni di pompaggio, disarmarono i facinorosi più irriducibili distruggendone le armi e monitorarono il ritiro dei mercenari stranieri, favorendo infine la smobilitazione di quasi novantaduemila combattenti. A conclusione della missione, dopo le elezioni dell'ottobre 1994, quasi quattro milioni e mezzo di profughi erano ritornati spontaneamente alle loro sedi abituali e il Mozambico, pur fra mille difficoltà , ricominciava a vivere.
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Leonardo
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Re: Quegli alpini di leva dell’Albatros

In quel momento può essere idealmente collocato il primo passo, naturale e senza traumi, che portava dalla coscrizione obbligatoria al servizio militare volontario. Si apriva in questo modo la strada verso il professionale.
Mi sembra un'interpretazione un po' forzata
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Luigi
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Re: Quegli alpini di leva dell’Albatros

Leonardo ha scritto: Mi sembra un'interpretazione un po' forzata
Solo un po'... :evil:
Mandi.
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Mi sembra un'interpretazione un po' forzata
Forzata? Direi una interpretazione di fantasia...

Nell'articolo stesso si citano le parole del generale Claudio Graziano, che in pratica si contraddice dicendo prima:

"Gli alpini di leva della Taurinense risposero in massa all'appello"

Se poi si vuole dire che questi ragazzi erano volontari perchè accettavano di andare in missione è tutta un'altra cosa, ma che quello è il primo passo verso l'esercito professionale mi sembra davvero grossa.
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Re: Quegli alpini di leva dell’Albatros

Leonardo ha scritto:
In quel momento può essere idealmente collocato il primo passo, naturale e senza traumi, che portava dalla coscrizione obbligatoria al servizio militare volontario. Si apriva in questo modo la strada verso il professionale.
Mi sembra un'interpretazione un po' forzata
Dimostra esattamente il contrario!
Che l'esercito di Leva poteva e voleva andare!
Al contrario di certi volontari che dopo due missioni ne hanno abbastanza e non vogliono più andare!
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Gian Luca
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Lo riporto su e segnalo, Ax permettendo, questo link:

http://www.alpinisusa.it/
E siccome aveva un fisico forte, ed era alto e ben fatto, lo assegnarono all'artiglieria alpina... (M. Rigoni Stern)
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dico la mia...

innanzi tutto grazie a GianLuca per aver segnalato il sito alpinisusa.it, sono uno degli autori.

Questa discussione ovviamente mi riguarda particolarmente, perchè come alpino di leva, 'volontariamente' accettai di partecipare a quella missione.

Ricordo che al Car a Cuneo (Btg.Mondovì) di quello scaglione non ricordo in quanti eravamo, ma al Btg.Susa andammo in una decina. E di quella decina partecipammo all'operazione in 5 o 6.

Eravamo fuori scaglione per il Susa... per chi invece al Susa ci finiva senza richiederlo non posso parlare.

Ho sempre interpetato la leva militare come un servizio (non volontario), ma anche un'occasione formativa; quindi nelle mie aspettative c'era anche quella di poter svolgere un servizio 'attivo' partecipando a operazioni militari 'reali' che servissero a qualcosa.
Sono stato molto fortunato a vivere 12 mesi in quel 'SUSA' (poi 3°Rgt.Alpini), molto fortunato ad avere comandanti come l'allora Ten.Col Claudio Graziano, e aver potuto operare con superiori Ufficiali e Sottufficiali che sapevano il fatto loro (non a caso diversi di loro stanno facendo carriera).

Mi ritengo quindi un alpino di leva volontario! Ma con ciò continuo a pensare che la leva obbligatoria non fosse giusta (è un'opinione personale), e che un servizio su base volontaria possa potenzialmente garantire un esercito migliore.

La naja, per qualcuno non è solo un bel ricordo di gioventù. Personalmente ho vissuto 12 mesi indimenticabili, ma altre persone invece li dimenticherebbero molto volentieri, oppure tornando indietro sceglierebbero la strada del servizio civile.

Capisco chi obietta che l'esercito sta diventando l'occupazione di ripiego per tanti giovani che non trovano di meglio (soprattutto al sud), e che qualche volontario alla seconda missione si stanca... tutto nella norma, dopo 40 anni e passa di coscrizione obbligatoria è necessario un ricambio culturale che non può avvenire in un breve lasso di tempo.

Nelle parole del Gen.Graziano personalmente leggo che il successo di quella missione, così come altre immediatamente dopo, sia riconducibile alla 'volontarietà ' dei partecipanti, quindi una selezione di persone motivate. Quello che ci si dovrebbe aspettare da un esercito moderno (sempre opinione personale).

Ricordiamoci che talvolta dalle missioni non si torna sempre con le proprie gambe, è cronaca recente, poco cambia che si tratti di incidenti o scontri a fuoco. D'altro canto anche poliziotti e carabineri tutti i giorni corrono gli stessi rischi, ma la loro professione è una scelta.

Dodici anni or sono questi rischi li anno corsi qualche migliaio di alpini di leva, e come sicuramente ricordate, contemporaneamente in Somalia c'era la Folgore (che qualche caduto l'ha avuto), in quei giorni, quelli del 'check-point Pasta' essendo in Africa, leggevo nei volti dei miei superiori una certa tensione, e io stesso qualche interrogativo me lo ponevo. Ma ero li perchè l'avevo voluto io... non mi obbligò nessuno.

Scusate se per caso vi ho tediato.
5°/93
"A Brusa suta 'l Susa"
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Cp. CCS - Pl. Comando- Sq. OAI
Beppe
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mh...interessante.
Ado...macchè tediato, anzi!
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