Barone.Rosso ha scritto:Scusa, Luigi, ma, a mio modestissimo avviso, pare che tu ponga la questione in termini tali che sembra che l'Italia sia stata vilmente aggredita dalle Potenze Plutocratiche.
A me non pare proprio.
L'Italia fu trascinata in guerra da sè stessa, a causa del Patto d'Acciaio: se non ci fosse stata la sciagurata alleanza con la Germania, credi che gli Inglesi avrebbero posto in essere certi comportamenti nei "nostri" confronti?
Non ti sembra, almeno un po', corretto da parte loro aver cercato in tutti i modi possibili di bloccare un alleato della Germania nazista, che faceva, tanto per cambiare, il furbetto non belligerante?
Era la guerra e mi pare che loro l'abbiano combattuta nella miglior maniera possibile.
Noi no. L'Italia non era pronta alla guerra, ma, per volere del Duce, l'ha combattuta lo stesso.
Tanto in prima linea non ci andava Lui, ma solo quelli che hanno sputato sangue e hanno opposto il petto alle corazze dei carri armati, con senso del dovere e sprezzo del pericolo.
Quindi, onore a chi combatteva.
Ma non raccontatemi la favola che abbiamo risposto alle angherie di chicchessia.
Freiherr von Richthofen,
che l'apparenza sia come tu dici può anche essere. Del resto sto malamente cercando di concentrare argomenti poderosi in poche righe.
Premessa: non fu solo il Duce a decidere la guerra, ma la dirigenza italiana del tempo, Re in testa.
E quando era toccato a "Lui", in ogni caso, in prima linea c'era andato, mi pare.
E anche allora i paesi poveri non avevano molto più che i petti dei valorosi.
Non sto discutendo se, dal loro punto di vista, i britannici fecero più o meno bene a comportarsi come si comportarono.
Ci sono però azioni che, a norma del diritto bellico, configurano come legittimo il ricorso alle armi (vedi il piuttosto simile blocco esercitato contro Israele nel 1967).
Sai cosa significa per un paese privo di risorse energetiche l'embargo sul carbone tedesco, con la seguente, pronta e interessata offerta di quello inglese purchè l'Italia si trasformasse in una gigantesca fabbrica d'armi per l'Impero Britannico? Dimmi un po' tu: o si accetta l'offerta, o si decide di recuperare la propria libertà con le armi. Cosa pensi sarebbe successo dell'Italia, se avesse accettato l'offerta inglese? Pensi che la Germania sarebbe rimasta a guardare? Con gli inglesi e i francesi lesti a difenderci come avevano fatto con la Polonia?
A parte qualsiasi considerazione su un così plateale capovolgimento delle alleanze, naturalmente...
Hai solo una vaga idea di cosa significhi per l'Italia mantenere aperte le vie di comunicazione marittime?
Per un paese povero e sovrappopolato come il nostro esse sono la vita stessa, tanto che in ormai 150 anni di unità tutti - ma proprio tutti - i governi italiani (liberali, fascisti o repubblicani che fossero) hanno mantenuto fermissimo uno ed un solo punto in politica estera: o si è alleati della potenza marittima che controlla il Mediterraneo, o si è quella potenza.
È per questo che nel 1902 venne inserita, nel rinnovo della Triplice Alleanza, la famosa clausola inglese. Appena compresero che da semplicemente antifrancese e poi antirusso tale patto poteva sfociare nella guerra contro la Gran Bretagna, i nostri governanti si cautelarono giustamente.
Ripeto: non sono io a dire che una parte, almeno, della classe dirigente britannica voleva precipitare la guerra con l'Italia. Fu lo stesso Churchill a riconoscerlo, e prima del settembre '39.
Ecco perchè, nonostante la neutralità italiana ben poco mascherata sotto la foglia di fico della "non belligeranza", i britannici con i francesi al seguito misero in atto determinati comportamenti.
Ma certi comportamenti contro un paese non in guerra lasciano ben poco spazio di manovra, come perfino il molto "british" generale Faldella dovette riconoscere: o si risponde con le armi, o si accetta il diktat.
E anche qui ripeto: può benissimo essere che quest'ultima opzione fosse la migliore, o la meno peggiore. Ma sappiamo che la pax americana impostaci è stata ben altra cosa rispetto alla proposta pax britannica.
Come hanno opportunamente osservato Federico e Jolly, il Patto d'Acciaio non fu veramente una scelta.
Si può anche chiamarla alleanza sciagurata, ma a imporla furono purtroppo le mutate condizioni strategiche, e segnatamente la riuscita della Campagna d'Etiopia, cui le democrazie occidentali avevano concesso il loro benestare solo perchè ne avevano previsto il fallimento. Ma una volta vinta, l'Italia acquisiva nel Corno d'Affrica quella profondità strategica che il possesso delle sole Somalia ed Eritrea non le avrebbe garantito.
Non penso serva nemmeno l'atlante per sapere cosa ciò, unito al dominio sulla Libia, significasse dal punto di vista marittimo. Di sicuro lo aveva compreso la dirigenza italiana del tempo, che si diede a progettare lo sfruttamento del successo (cfr. "Le implicazioni navali della conquista dell'Impero", dell'USMMI).
Ma di tutto ciò l'Impero Britannico non aveva intenzione di tollerare alcunchè, come un quarto di secolo prima aveva deciso di non tollerare l'Impero guglielmino, con similare, volontaria trasformazione del seguente conflitto da "solo" europeo in "mondiale" (per la Grande Guerra, cfr. "La verità taciuta" di Niall Ferguson).
E se proprio si deve impiegare quell'aggettivo, "sciagurato", per un qualche passo diplomatico, direi che lo meriterebbe ben di più l'accordo navale anglo-tedesco del 1935, con cui i britannici seppellirono il Trattato di Versailles, o quanto ne rimaneva, unilateralmente e senza alcuna previa consultazione con gli alleati del 1918.
Aggiungo ancora un paio di osservazioni.
Forse è meglio non indugiare troppo nella leggenda nera della cronica incapacità militare italiana, perchè prima o poi si rischiano brutte figure.
Ad esempio quella di ridicolizzare, da italiani, il contributo della Regia Marina e coloro che lo riconoscono, salvo poi vederlo ripristinato nella giusta cornice da storici stranieri meno prevenuti di noi (mi riferisco alla recente opera di Vincent O'Hara, edita niente meno che dalla US Navy, o a quella meno recente del Sadkovic).
E prima o poi qualcuno si accorgerà anche che in Affrica, alla fine, servirono agli inglesi tre anni per ributtare in mare i nostri supposti miseri fanti, e per di più con lo spiacevolissimo ma necessario supporto statunitense; o che la discesa in campo dell'Italia sarà stata pure avventata, eppure il citato documento del 18 giugno 1940 parla chiaro (a proposito, quella della rooseveltiana pugnalata alla Francia ha ormai fatto il suo tempo. Gli ordini erano precisi: nessuna azione vera contro quel paese. Se però i cugini vengono a bombardare Genova, è ovvio che le cose cambino. E chissà perchè nessuno ricorda mai le ben più profonde pugnalate inferte dall'URSS alla Polonia nel 1939 e al Giappone nel 1945...).
Si usa dire che la storia sia scritta dai vincitori. Non è vero.
I vincitori, al massimo, scrivono la propaganda destinata a tener sottomessi gli sconfitti, quando non siano addirittura questi a scriversela da sè.
Perchè la storia, sui libri, ci finisce.
Così si può anche far passare, presso le moltitudini, il messaggio che la Germania, nei due conflitti mondiali, era impegnata a realizzare il "grante piano ti conquista ti monto", alla cui stesura i suoi generali monocoluti si erano dedicati in anni di fervorosi complotti; poi si va a vedere il "bluff", e si scopre che le corazzate del II Reich avevano un'autonomia pari in media al 40% di quelle inglesi, e che la Wermacht disponeva solo di bombardieri bimotori. Chi davvero lo vuole dominare, il mondo, si premunisce di costruire corazzate che navigano per 12.000 miglia e bombardieri quadrimotori; e gli storici seri, anche anglosassoni, lo scrivono.
Ecco, lo stesso vale per l'Italia.
Solo che il pregiudizio contro i "dagos" è un po' più duro a morire, anche tra loro stessi. Tutto qui.
Mandi.
Luigi
(nel LXIII della Sconfitta)