Da
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SPIRITO DI CORPO
Uno dei più grandi valori degli Alpini.
Dello spirito di corpo ha dato una bella descrizione lo scrittore e alpino Generale Giulio Primicerj, in una pagima scritta per l'editoria e la stampa specializzata.
“....Spirito di Corpo: strana denominazione con definizioni non sempre comprensibili riportate nelle varie "librette". Bristot porta la sua mula lungo un sentiero che sembra aver dimenticato il concetto di curva, dritto filato su per un bosco fino a perdersi fra i baranci sotto le crode.
E poi... poi Bristot lo conosce bene, perchè è la seconda volta che oggi lo percorre per far arrivare il rancio al plotone che bivacca sulla forcella e sa che bisogna attraversare una specie di cengia, comoda per lui, ma non per la Gigia, can de l'os'cje, alla quale dovrà togliere di nuovo i "laterali" e caricarseli sulle spalle.
Ogni passo un respiro, ogni respiro... un moccolo, a volte vero, altre volte annacquato, come quelli che tollera anche il Cappellano oltre i duemila... Bristot è stanco e non sa quando potrà arrivare lassù.
Ma proprio là doveva cacciarsi il plotone? Si siede, cerca di asciugare il sudore, ma si accorge che non gli basterebbero tutti i fazzoletti segnati sulla "scheda corredo". Un sospiro, con tutti gli annessi e connessi e poi via fino al limite del bosco. Un'altra sosta... voci che si avvicinano... sta scendendo verso di lui una squadra dei cosiddetti Raggruppamenti di frontiera. Bristot stacca il cappello appeso al carico centrale, se lo caccia in testa, riprende a camminare, incrocia il piccolo reparto... Gli urla: "Buffaaa!" e sparisce dietro un albero per sedersi nuovamente e togliersi quel cappello che lo fa tanto sudare. Ma episodi simili non verranno mai descritti nelle "librette....."
COS'E' UN ALPINO !
Ritratto di uomini non comuni.
"Va l'Alpin su l'alte cime." Così il Generale Giulio Primicerj, scrittore e uomo di montagna descrive in una bella pagina, la figura dell'alpino.
“....Insomma, mi si potrebbe chiedere, non è dunque vero che gli alpini passano il tempo a bere e a giocare alla "morra"? E che una volta smesso di bere vanno a montare di sentinella sotto la tormenta, restando immobili nonostante il gelo, il vento e la neve?
Perché hai narrato episodi che nulla hanno di veramente epico e grandioso? Perché in ogni tipo di esaltazione allignano i germi di quell'orribile male che è il "luogo comune" e la vita degli alpini non è fatta di luoghi comuni. Né ho avuto l'onore, come tanti colleghi più anziani, di comandare reparti alpini in combattimento e le gesta degli alpini in guerra sono state descritte da autori che hanno condiviso con i loro uomini sacrifici, pericoli, sudore e sangue.La vita dell'alpino in tempo di pace si sostanzia di sensazioni, di fatti, di piccoli episodi che riflettono lo stato d'animo di chi deve pagare il suo tributo di disagi e fatiche alla "naja", alla stessa "naja" del tempo di pace ben nota - anche se spesso interrotta da eventi bellici - al nonno, al padre, al fratello maggiore. Una vita forse meno dura di quella trascorsa da borghesi fra i boschi carnici e cadorini o nelle miniere di molti stati stranieri e accettata con spirito sereno, perché "in famiglia si è sempre fatto così".
L'alpino - almeno quello che ho conosciuto nell'immediato dopoguerra e sarebbe errato disconoscere o addirittura condannare il continuo evolversi di mentalità e abitudini proprio delle classi più giovani - a volte beveva, perché il buon vino toglie la sete, rallegra lo spirito e invoglia al canto, perché il paese offriva solo l'osteria per trascorrere le ore di libera uscita o perché la razione arrivava tutta in una volta dopo giorni di cinghia e di manovre. Ascoltava le parole del vecio dell'A.N.A. che ricordava i mortai greci o di quello ancora più anziano che aveva provato cosa fossero le bombarde del primo conflitto mondiale. Ma in servizio cercava sempre di compiere nel migliore dei modi il proprio dovere fra marce, tiri, esercitazioni tattiche e "servizi meno nobili" di caserma, tenendo comunque e costantemente il conto dei giorni che lo separavano dal congedo. Allora mamma Rosa e la Nina non sarebbero andate più sole a lavorare nei campi o in malga e se la sposa stava per fare "zaino a terra" non avrebbe dovuto chiedere una licenza. In tutto questo non esiste retorica, perché i Tait, gli Ongaro, i Faoro, i Bristot e i montanari in genere ignoravano il significato di tale parola e, se la sentivano pronunciare, non chiedevano neppure spiegazioni al sottufficiale di fureria, perché l'istinto suggeriva loro di non preoccuparsi di ciò che non riguardava direttamente la propria vita. L'alpino era per natura contrario - ma penso lo sia anche adesso - ai discorsi accademici e prolissi, a particolari tipi di aggettivi, alle lunghe cerimonie che lo costringevano ad alzarsi due ore prima della "sveglia". Gli sfuggiva il significato delle canzoni sature di astratto patriottismo. Camminava col suo enorme zaino su per il sentiero, dicendo a se stesso "la va a pochi per i veci", si consolava al pensiero di non essere né il primo né l'ultimo a fare quella vita e ricordava talvolta una specie di predica che gli aveva fatto suo padre il giorno della visita al Distretto Militare: "Non dimenticare, Bepi, che il buon Dio ha creato l'alpino, lo ha scagliato nel mondo e gli ha detto arrangiati!". Ma non sarà per caso anche questo uno dei tanti deprecati luoghi comuni?
Alp. Malaguti Daniele
Anzola dell'Emilia (Bo)
8/97
Gente che vedo........
........Pioppa che lascio!!!