23 giugno 197X, ore 7.02. Nel cielo di Vicenza esplode una bomba atomica russa da 500 chilotoni che distrugge la città . Se siamo qui a raccontarlo non è successo, fortunatamente. Non si tratta però di fantapolitica. Tutt'altro. Vicenza nella primavera-estate di una trentina anni fa era infatti uno degli obiettivi principali della controffensiva nucleare che il Patto di Varsavia avrebbe lanciato contro l'Europa occidentale in caso di attacco della Nato (come sempre gli scenari di guerra vengono dipinti come difensivi, a nessuno piace passare alla storia come aggressore...), e sarebbe stata distrutta al pari di Monaco di Baviera, Vienna e Verona.
Altri obiettivi in Italia erano gli aeroporti militari di Ghedi (nei pressi di Brescia), Aviano e Piacenza, e i comandi delle divisioni corazzate Centauro e Ariete, mentre in Europa nel mirino c'erano l'aeroporto di Erding e il deposito nucleare di Ober-Ammergau (entrambi nell'allora Germania Occidentale), oltre alla divisione missilistica Pershing (nulla a che fare con i successivi missili con lo stesso nome).
Lo scenario atomico emerge in un documento qualificato all'epoca "top secret" dai generali sovietici e recuperato in archivi ungheresi (l'Ungheria faceva parte del Patto di Varsavia). Un documento reso pubblico da un istituto di ricerca svizzero, l'Isn (International Relations and Security Network - A Swiss Contribution to Partnership for Peace) collegato al Centro studi per la sicurezza e lo studio dei conflitti di Zurigo. Un documento visibile anche su Internet nel sito http://www.isn.ethz.ch/php/collections/coll_4_eng lish_content.htm e di cui per primo ha parlato il quotidiano londinese Daily Telegraph nell'edizione di sabato 1 dicembre.
Anche se si tratta di un "war-game" (letteralmente "gioco di guerra"), non è per nulla un gioco, ma una esercitazione in piena regola, pianificata da tempo, che coinvolgeva al massimo livello le truppe del Patto di Varsavia, l'allenza militare che raggruppava l'Unione Sovietica e gli Stati satelliti. Le carte rese note riguardano solo il fronte Sud e il coinvolgimento dell'esercito ungherese, ma è ipotizzabile che vi fossero coinvolte tutte le forze del Patto e tutti i fronti da un capo all'altro dell'Europa. Esse sono firmate dal generale Yerastov, vice capo di Stato maggiore dell'Armata Sud del Patto di Varsavia e sono indirizzate al capo di Stato maggiore dell'esercito ungherese Kà roly Csémi, che era anche viceministro della Difesa. Inoltre uno dei documenti reca la firma congiunta del comandante dell'Armata Sud, il generale Provalov, responsabile al massimo livello del war-game, e del ministro della Difesa ungherese, il generale Lajos Czinege.
L'operazione "Gyak" (significa banalmente "esercitazione") prende avvio il 13 aprile 1965, quando Yerastov comunica al "compagno" Csémi di preparare le sue forze per un'azione prevista per il periodo dal 21 al 25 giugno successivo. A maggio Provalov e Czinege inviano il piano in due tempi ai comandanti coinvolti. Esso pianifica anche l'invasione dell'Italia del Nord, dopo la distruzione della Terza Armata, lungo due direttrici: da Tarvisio e dalla Val Camonica, con l'occupazione di Brescia e Bologna entro 11-13 giorni, prima di attestarsi sull'Appennino cercando di prevenire eventuali sbarchi di truppe Nato nella parte peninsulare.
L'8 giugno Provalov delinea quella che dovrebbe essere la situazione generale al 21 giugno e specifica il lavoro di spionaggio che lo precede: movimenti anomali di truppe occidentali, tra cui quelle italiane che da Novara e Bergamo si avviano dalla sera del 19 giugno verso Mantova, passando nella notte per Valeggio sul Mincio, e sbarchi nei porti di Genova e La Spezia di misteriosi carichi.
Il 16 giugno l'ungherese Csémi dirama un promemoria con tutti gli appuntamenti, cui segue la distribuzione del piano dettagliato dell'attacco della Nato. Interessante notare come tra gli elementi che danno avvio alla risposta nucleare degli "orientali", come si chiamano, anche le segnalazioni al colonnello Romanov delle spie operanti in Italia, che comunicano nell'ordine l'avvio alle 3.30 del 23 giugno di operazioni di carico di bombe sugli aerei a Ghedi, il movimento delle truppe della Centauro a Vicenza alle 5 del mattino e il decollo di aerei da Piacenza alle 6.35.
Alle 7, di fronte alla conferma dell'attacco occidentale da parte dei radar, scatta l'ordine di contrattacco con i missili a testata nucleare. E due minuti dopo Verona, Vicenza, Vienna e Monaco vengono cancellate dalla faccia della Terra.
Perché Vicenza? Per due motivi. Perché Vicenza è sede di una base Setaf, dal 1955 insediatasi alla caserma "Ederle" in viale della Pace. In secondo luogo, ma non certo per importanza, Vicenza era sede del Comando della 5ª Ataf, che aveva giurisdizione su tutte le forze aeree della Nato del Sud Europa. Un obiettivo assolutamente di primo livello.
In totale, dal fronte Sud il Patto di Varsavia prevede di spedire 30 ordigni nucleari, dei quali 10 da 500 chilotoni, 5 da 200, 3 da 50, 3 da 40, 9 da 20, che complessivamente danno una potenza di 7 megatoni e mezzo. Se si pensa che un chilotone è l'equivalente di oltre mille tonnellate di tritolo e che la bomba atomica sganciata su Hiroshima era di 20 chilotoni si ha un'idea del macello che sarebbe successo se ciò fosse avvenuto davvero.
E sarebbe potuto accadere sul serio, perché nel 1965 si era ancora in piena guerra fredda. La crisi di Cuba era di nemmeno tre anni prima, Kennedy era stato assassinato nel novembre del 1963 e in Urss era da qualche mese andato in porto il complotto che aveva portato il 14 ottobre 1964 alla destituzione del troppo moderato e modernizzatore Kruscev e alla sua sostituzione con Breznev.
Per fortuna era tutta un'operazione sulla carta (a leggere i documenti, sembra che le truppe dell'Est effettivamente coinvolte fossero scarse), ma assolutamente plausibile. Una specie di prova generale, insomma, dell'attacco che avrebbe potuto scatenarsi in qualsiasi momento negli anni in cui la tensione tra i due blocchi era ai massimi livelli di guardia.