Federico ha scritto:
La soluzione? Farci andare all'assalto un numero maggiore di uomini: qualcuno sarebbe arrivato vivo e pronto per l'a corpo a corpo nella trincea.
La presa di quota 2.105 dell'Ortigara, novant'anni oggi, è la controprova di tutto ciò.
Ottima preparazione di artiglieria, buon coordinamento fra questa e lo scatto delle fanterie, e la cima venne presa con scarse perdite, quando pochi giorni prima le cose erano andare come descritto dalle parole del Tenente Sbaragli (che, a margine, osservo essere uomo di un secolo fa, non di oggi. E comunque c'era lui lassù, fra le rocce ed il piombo).
Poichè si parla di guerra e non di videogiochi, è utile non dimenticare che la riuscita dell'attacco delle quattro colonne della 52^ divisione significò la pressochè totale distruzione del II/4° Kaiserjà¤ger.
Ma chiunque abbia visitato la regione è cosciente di come, se per gli austriaci la presa di quella posizione fosse un arrivo, per gli italiani poteva essere solo una partenza, per quanto buona. E invece no, a obiettivo raggiunto ci si ferma lì, e quelli che per intuito comprendono e tentano di andare avanti sono richiamati indietro.
Da qui la tragedia del 25 giugno.
"Sulla pietraia sinistramente illuminata dalle vampe dei lanciafiamme e dai bagliori degli scoppi, tra urla e invocazioni, si fondono rabbia e terrore, valore e disperazione. Al vertice dell'umana sofferenza si consuma il sacrificio delle truppe italiane in linea sull'Ortigara.
I rari alpini e artiglieri superstiti [nota: il testo venne scritto all'inizio degli anni '70]
che ancora è dato incontrare conservano di quei minuti un ricordo confuso, che molto risente dell'atmosfera di tregenda in cui precipitarono repentinamente come se un'infernale voragine li avesse inghiottiti..."
(da Gianni Pieropan, "Ortigara 1917. Il sacrificio della 6^ Armata")
Proprio nei giorni in cui si consuma la tragedia dell'Ortigara, in altra zona dell'Altopiano si mette in luce il comandante della 29^ divisione di fanteria, Generale Enrico Caviglia. Avuto il comando di un corpo d'armata poco dopo, si comporterà ottimamente nella battaglia della Bainsizza, poi ancora a Caporetto, ed infine sarà il vincitore di Vittorio Veneto.
Nei giorni oscuri dell'ottobre '17 la sua azione si incrocierà con quella di Badoglio, visto che fu solo grazie al suo operato che il corpo d'armata di quest'ultimo verrà almeno in parte portato in salvo, praticamente sfilandolo dalle mani del suo inetto comandante.
Ma naturalmente il punto più alto nella carriera militare non spetterà al primo, ma a quest'ultimo, che Montanelli - confermando così le sue scarse qualità di storico - descriverà in seguito come uno dei meno peggiori fra i generali italiani, che nelle armate tedesche sarebbe potuto arrivare perfino al grado di colonnello.
Evidentemente, oltre a quello italiano, non conosceva nemmeno quello tedesco, di esercito.
"... Qui non vi è pietra non sacrata dal crisma del sangue; non vi è roccia che sulle lastre più sensibili non abbia fissata l'ombra di esseri che volavano e non avevano ali; vere api di acciaio e di terra, attratte non da un pulviscolo di fiori e di sole, ma da un velo di piombo più fitto della neve, tessuto da una scienza asservita ad un sinistro disegno di universale distruzione. Una tomba sola, ma agitata, ma vivente!
E piena di ribelli alle tre spanne di terra che la pietà nostra vi pose. Sono decisi a dirigere la vita. Per diritto divino! Per chiodare noi dell'angusta bara della nostra indegnità se la volontà dei morti non sarà fatta sulla terra, così come Dio volle nel cielo...
Chi rifiuta di morire per vivere, muore per indegnità di vivere! È la stessa solitudine quassù, è lo stesso silenzio. Solo qui potevamo celebrare il nostro rito di passione. Qui dove tutto è stato dato e nulla è stato chiesto.
Alpini! Superstiti sbandati del gregge di morti! Sentite! Da l'Ortigara abbiamo cominciato la glorificazione del sacrificio alpino. Perché l'Ortigara non è una sconfitta. Lo fu per chi vide dal basso e da vicino; e l'oggetto troppo addossato a l'occhio ostruisce, accieca. Lo fu come episodio; come momento isolato di un fatto immenso. Non lo è più nell' oggi che non tramonta, nel tessuto definitivo della civiltà . Dove il cronista segnava disfatta e supplicava oblio, Colui che vede dall'alto pronunciò: "Vittoria!" e scrisse, primo: "Per non dimenticare".
Maledetto chi gioca con la parola, con la metafora tronfia e teatrale.
Maledetto chi tenta di strozzare, sia pure con cordoni d'oro, la verità .
Maledetto chi costruisce castelli di frasi su la grande tomba.
Ma l'Ortigara non è una sconfitta. Non vi è sconfitta se non quando qualcosa di umano è stato smarrito, impoverito, soppresso. La notte alpina non conosce questa oscurità perché ignora il disonore. Per sedici giorni tenemmo testa all'inferno!...
Per sedici giorni strisciammo sul ferro e nel fango le nostre carni sbrindellate, rodendo il pane sul ventre dei morti, respirando il loro alito, attirati sempre più in alto, verso le spire più strette, verso il rogo infinito... L'Ortigara non è un ammazzatoio di pecore, è un altare di anime. L'Ortigara ha un senso umano, un perché il cui limite è l'infinito! Per questo l'Ortigara non è una sconfitta! È l'ossessione alpina: meglio ultima sentinella dell'Ortigara che primo vincitore dovunque! [...]"
(dall'allocuzione che don Giulio Bevilaqua, già Tenente del Monte Stelvio, tenne nel 1920 in occasione del primo convegno-congresso della neonata Associazione Nazionale Alpini).
"È l'ossessione alpina: meglio ultima sentinella dell'Ortigara che primo vincitore dovunque!"
Per ricordare uomini di tale tempra, non abbiamo trovato di meglio che cancellare il IV novembre.
Che Dio abbia pietà di noi.
Mandi.
Luigi
P.S.: aggiunta del 24 giugno.
Nella foto, pur sgranata, una vaga idea di cosa dovessero affrontare gli alpini della 52^ divisione solo per quanto riguarda la natura.
Poi, ovviamente, c'erano gli austriaci.