Avatar utente
Luigi
Capitano
Capitano
Messaggi: 3075
Iscritto il: sab dic 14, 2002 4:12 pm
Località: Piacenza

15 giugno 2007

Anche quest'anno, nel LXXXIX della Battaglia del Solstizio, un abbraccio a tutti gli artiglieri d'Italia, e in particolare a quelli di vecio.it, nel ricordo dei nostri giorni al servizio della Patria e nella memoria dei nostri Caduti.

Sempre ed ovunque!
Mandi.
Luigi
"Gli Alpini arrivano a piedi là dove giunge soltanto la fede alata"
(G. Bedeschi)


Immagine
Avatar utente
axtolf
Massa Forum
Massa Forum
Messaggi: 4231
Iscritto il: mar dic 03, 2002 4:16 pm
Reparto: 16° Reggimento "Belluno" C.C.S.
Località: Seriate (BG)
Contatta: Sito web Facebook

... Alle tre del mattino ha inizio, da parte del nemico, un violento bombardamento; ed io, che ho il plotone attendato in un pendio a nord e perciò esposto sotto il tiro dell'avversario, appena sento la prima granata scoppiare, faccio togliere le tende e mi porto dalla parte opposta della collina, dove ci sono già  tre gallerie, una per plotone.

Il nemico, insieme a proiettili dirompenti fa uso di granate nebbiogene e di gas asfissiante e lacrimogeno. Fu d'uopo indossare le maschere ed accendere dei sacchi di paglia catramata all'imbocco delle gallerie per facilitarne la evaporazione col calore.

Sistemati gli uomini, i tre capiplotone: io, il sergente Coccia e Guizzardi, ci siamo recati dal Capitano, che trovammo con i comandanti di plotone Gueli, Giurazzi, e l'aiutante di battaglia Grimaldi, al quale il Guizzardi disse: « Signor Capitano, quando ci annunciò l'imminenza della battaglia, non ci disse che, appena scoppiata questa, ci dovevamo portare alla Linea della Corda?

Ed il Cap. Ghislanzoni: « lo non mi muovo, ed attendo ordini ».

Siamo ritornati in quelle gallerie circondate da una fitta nube di gas velenosi, rimanendovi fino verso le otto; allora, visto che nessun ordine veniva, mi sono deciso di recarmi nella vicina dolina a prelevarvi il caffè assieme ad un soldato; ma, mentre valicavo lo schienale, che divide le due doline, il caporale Graziani, che era addetto alla vigilanza contro gli attacchi del gas ed aveva il posto di osservazione in una collina sovrastante la strada, sotto un grande albero di castagno, vedendomi mi grida: « Manca, vieni su! I tedeschi hanno passato il Piave e sono già  alla Linea della Corda, qui passano alte raffiche di mitraglia! ».

Raggiungo di corsa l'osservatorio, che è un punto molto elevato, e mi si presenta uno spettacolo apocalittico!

Sotto di noi si stendeva una fitta coltre di gas che copriva il terreno sino al fiume, ma sotto a quella fitta caligine si sentiva che c'era l'inferno. Unico segno visibile erano dei razzi che, certo lanciati dal nemico, si alzavano per una ventina di metri e ricadevano come una lagrima d'argento, indi numerose batterie avversarie indirizzavano il tiro in quel sito.

Si sentiva il crepitio della nostra mitraglia come di quella tedesca e un continuo vocio, forse urla del nemico che attaccava e dei nostri che difendevano le posizioni. Le nostre artiglierie sparavano verso il fiume o a zero contro il nemico vicino.

A quello spettacolo mi corse istintivamente la mano alle gà­berne e, trattone un caricatore, lo infilo nel fucile, precipitandomi dal Capitano, il quale s'intratteneva con i subalterni e con voce certamente alterata gli dico:

« Signor Capitano, i tedeschi hanno passato il fiume e sono vicini alla Linea della Corda. Se non ci portiamo fuori da questo buco, non so che fine faremo! ».

Il Capitano, guardandomi tra l'incredulo e il beffardo, mi rispose:

« Ma che stai vaneggiando ? ».

Questa risposta mi diede ai nervi, e non potei che rispondergli:

« Signor Capitano, se non sbaglio, abbiamo tutti le gambe sane, proviamo a salire dalla guardia ai gas, e vedrà ».

Ci portiamo tutti insieme al poggio ma, non appena messovi piede, una raffica bassa ci costrinse a buttarci a terra.

Il capitano Ghislanzoni ha i capelli e la barba di un biondo zafferano e la faccia color mattone, ma a quella vista diventò bianco come un cencio lavato.

Ci precipitiamo tutti nella dolina, portiamo fuori dalle gallerie gli uomini e, fatti svuotare i tascapane, si distribuiscono i caricatori e le bombe.

Prima che tutto fosse pronto, transitò il colonnello Zirano, il quale rivolto al capitano Ghà­slanzoni lo investì con queste parole: «Come lei è ancora qua: non doveva essere sin dall'inizio della battaglia alla Linea della Corda? Ma faccia presto e preghi Dio che il nemico non l'abbia già  passata».

Nella « Nove » non fu possibile accedervi in quanto già  sotto il tiro delle armi nemiche. Ci portammo 300 metri a sinistra; pel sentiero d'un avvallamento ci avviammo per scendere in trincea.

Fatti 300 metri, io, che ero in testa alla colonna, vidi la prima scena pietosa: in una piazzuola c'era un cannone da 149 abbandonato ed intorno ad esso, disposti a raggera, diciotto uomini uccisi da un proiettile che, infilatosi sotto il pezzo, era esploso tra i serventi.

Perché questa scena non fosse vista dal seguito, avvertii il tenente Gueli, che fece spostare a destra la colonna. Proseguendo, la compagnia entrò in linea all'altezza di casa Carpenedo, dove trovò il tenente Casella, comandante l'ottava compagnia, il quale salutò il Gueli con un sorriso canzonatorio: « Ehi Peppino! che aspettavate, la carrozza? ‑ Che i cecchini non siano già  nel vostro settore ! ».

Il tenente Casella non si sbagliava: in un passaggio a doppia esse, era già  transitata una pattuglia, e saliva verso il nostro punto di partenza, come se noi italiani non esistessimo più. Un paio di fucilate ben dirette li tolse dall'incantesimo, ma non si spaventarono e risposero al nostro fuoco, accorgendosi ben presto di avere la peggio in quanto il camminamento, dove si trovavano, era esposto senza riparo, alla nostra visuale, e il sergente che li guidava si arrese alzando le mani in alto. Ci vennero incontro solo otto uomini; tre rimasero sul terreno: erano tutti giovani e i più di nazionalità  polacca.

Il caporale Miotti ne fece l'interrogatorio, essendo stato in Germania quale scalpellino, e conosceva il tedesco.

Come ho accennato, il mio plotone camminava davanti, ma, arrivati alla strada dieci, non so perché, il capitano ci rimandò alla nove. Quando arrivammo insieme al tenente Casella, trovammo gli artiglieri di una batteria da campagna col loro capitano, i quali avevano levato gli otturatori ed i binocoli dai pezzi. Segno questo che dovettero abbandonarli per non cadere in mano del nemico, e li disarmarono per non essere usati contro di noi. Erano degli uomini disfatti, per aver dovuto abbandonare le loro armi in mano al nemico, e attendevano le fanterie, che dessero loro un aiuto per potersele riprendere. Noi non potevamo farlo, non solo per il numero esiguo, ma anche perché il nostro compito era quello di difendere la Linea della Corda.

Attendemmo per tutta la mattina che il nemico si facesse vedere con qualche attacco in forza, ma di fronte alle nostre trincee non si videro che delle pattuglie.

lo presidiavo il varco della nove personalmente in quanto, di tanto in tanto, salivano dei nostri che abbandonavano le posizioni a mano a mano che venivano sopraffatti, specie soldati del 164° Fanteria, che era schierato a Campagnole di sopra; e, con questi, artiglieri, bombardieri, genieri e vecchi delle compagnie territoriali, che erano addetti alla custodia delle strade ed alla costruzione delle opere di difesa. lo stavo attento che in mezzo a questi non s'infiltrasse qualche nemico favorito dalla boscaglia, che a ciuffi densi copriva molti tratti del terreno.

Verso le 15 veniva su un soldato, che, per il suo camminare traballante, mi fece pensare ad un ubriaco. Arriva ai cavalli di frisia e come un incosciente o cieco li urta col corpo, indi lentamente torna indietro, Lo riconosco, un nemico, e gli intimo « Alt! » sparando un colpo in alto, e simultaneamente mi muovo per aprire il varco e prenderlo, mentre lui prosegue a passi lenti il suo cammino come un sonnambulo; non poteva essere che un ferito fuori di sé. Il tenente Gueli, che era alla sinistra della strada, non vede o non guarda alla mia mossa, ed ordina ai soldati che sono vicino di fargli fuoco. Il tedesco, che ad ogni colpo che lo colpisce si scuote, prosegue fino a scomparire ad una curva della strada non tanto lontano.

Davanti a me, oltre il varco, c'è una mitraglia Santetienne, che oltre ad essere un sicuro sbarramento, accompagna tutti gli sbandati che abbandonano le posizioni. Sino alle tre del pomeriggio al mio plotone si sono incorporati una decina di uomini che dovranno combattere con noi. Ci sono rappresentate tutte le armi e un vecchietto della territoriale bellunese.

La battaglia tra il nemico che avanza ed i nostri che ripiegano si fa sempre più fiacca; anche se c'è ancora qualche batteria che spara a zero, è segno questo che sono gli ultimi colpi.

Verso le quattordici mi viene un ordine dalla destra, firmato dal colonnello Boschi. Lo passo al Ten. Gueli, che, lettolo davanti all'Ufficiale latore, mi dice: « Leggilo ! ».

La missiva diceva: « Tenere la linea sino all'ultimo uomo. Alle diciassette verrà  su la Brigata Reggio ». Ora vai tu stesso a consegnarla al capitano. E bada: se vedi che puoi cadere in mano al nemico, questo pezzo di carta te lo devi mangiare.

Prendo la corsa lungo la trincea, ma, arrivato alla vallata, dove la mattina avevamo trovato la pattuglia tedesca, scendeva in linea la nostra sezione Pistola, che, avvistata una pattuglia nemica, aprì il fuoco mentre io transitavo col fucile a spalla, e mi colpirono la baionetta innestata, piegandomi la bocca dell'arma. Mi sentii, per un attimo, un uomo perduto; ma, con tutto ciò, proseguii la corsa sino alle dieci, quando trovai il capitano, che, lettala, mi disse:, « Sai da chi è composta la Reggio ? Da uomini della tua terra, e stai certo che non siamo più soli ».

Al rientro, quando raggiunsi il sito dove la mattina disarmammo la pattuglia tedesca, mi presi un fucile e tutte le munizioni, deciso a servirmene sinchè avessi un'arma italiana.

Alle diciassette, puntuale, arriva l'avanguardia del 45°, comandata da un tenente d'Iglesias. Erano una quindicina di uomini, tutti sardi, i quali dovevano portarsi avanti per vedere dove schierare i loro battaglioni.

Dopo una breve conversazione, si decise di accompagnarli anche noi: si trattava di marciare davanti al nostro schieramento. Eravamo io, il Ten. Gueli, Gentile, Và­to, ed il cocomeraio napoletano Berlingieri.

Siamo partiti commettendo una cafonata: non avvertimmo l'Ottava, schierata alla nostra destra.

Fatti una settantina di passi lungo la strada nove, c'è la curva dove scomparve la mattina il tedesco solitario, che, là , trovammo esanime con la testa infilata nella siepe delle robinie. Lo tirammo fuori da quelle spine, e, messolo con le spalle a terra, gli sfilammo il centurino dove aveva ancora appese otto bombe. Non aveva fucile, ma dalle giberne, non gli mancava una pallottola. Gli aprimmo la giubba, e dalla tasca interna gli tirammo fuori un portafogli che conservava quattro decorazioni: una grande d'argento, dov'era coniata la testa dell'Imperatore e nel retro scritto «Per l'Imperatore e per la Patria» in lingua latina; una d'argento piccola; una di bronzo; una croce di guerra. Nella tasca esterna aveva una manciata di monetine di ferro, e tante fotografie, tra le quali una dove un generale gli appendeva una medaglia, un'altra dov'era in compagnia d'una bella ragazza tra due vecchi. Aveva ancora una cartina del Montello con la strada nove segnata in rosso. Era partito da Campagnole di sotto ed aveva per meta Volpago.

Dopo una cinquantina di metri uscimmo all'aperto, mentre da due alberi scendevano a precipizio due nemici, che di certo avevano fatto delle osservazioni. Li rincorremmo per catturarli, ma l'Ottava, scambiandoci per nemici, aprì il fuoco su di noi, costringendoci a buttarci a terra con il dispiacere di lasciarci sfuggire i nemici.

Noi della Settima tornammo indietro, lasciando l'esplorazione a quelli del 54°.

Appena dopo mezz'ora arrivano i battaglioni che, passati i reticolati, si schierano a destra e a sinistra della nove, avanzando, mentre in coda si mettono gli artiglieri con in mano gli otturatori. E, dopo mezz'ora liberando i loro pezzi, ne fanno sentire la voce.

La sera stessa seppi dall'Ottava, che aveva passato la Linea della Corda anche un battaglione del 96° e forse anche dei bersaglieri.

Il mio plotone presidiava sempre la strada nove, e, perciò, per tutta la sera e la notte, assistei al passaggio di tutto ciò che si portava il 54°: munizioni, cucine, posti di medicazioni, ecc. .......


(dal diario del sergente Giuseppe Manca 215° Rgt di Fanteria, pagina del 15 giugno)
Vecio.it Forum Admin
Immagine
Immagine
Avatar utente
linzen
Maresciallo Ordinario
Maresciallo Ordinario
Messaggi: 735
Iscritto il: mer feb 12, 2003 10:07 pm
Località: Bergamo

retorico!

Torna a “Vita Alpina di tutti i giorni - Sola Lettura”