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jolly46
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In effetti Dario Fo si arruolò nei parà  della RSI ma non nel battaglione Mazzarini quanto nel battaglione Azzurro.
Qui di seguito un articolo apparso anni fa sulla stampa:

LA VERA STORIA DI DARIO FO NELLA RSI
Il primo a parlare di Dario Fo volontario nella Repubblica fascista di Mussolini fu Giorgio Pisanò, l'illustre giornalista, storico e uomo politico scomparso il 24 ottobre del 1997. Ne fece il nome nella sua opera in tre volumi «Storia della guerra civile in Italia», uscita per la prima volta nel 1964, indicandolo come appartenente al battaglione «A. Mazzarini» della Gnr (Guardia Nazionale Repubblicana). Pisanò era, a quell'epoca, un «intoccabile», come i parìa dell'India. Aveva la lebbra fascista. Qualsiasi cosa dicesse o scrivesse, lasciava indifferente l'establishment (non che le cose siano molto cambiate).


Il secondo fu Giancarlo Vigorelli, famoso scrittore e critico, in un «corsivo» pubblicato su “Il Giorno” del 6 giugno 1975. Era andato in scena il «Fanfani rapito», una corrosiva comica di Fo, nella quale si descriveva il segretario democristiano nell'atto di partorire un piccolo mostriciattolo fascista. “Anche Fo - scrisse Vigorelli - sa di avere in pancia l'incubo dei propri trascorsi fascisti “.
Non l'avesse mai scritto. Fo querelò per diffamazione il critico e il direttore del quotidiano dell'Eni Gaetano Afeltra. La querela si concluse con una rimessione, perché “II Giorno” aveva pubblicato un'adeguata rettifica in cui poteva leggersi che Dario Fo “viveva all'interno di una famiglia nota per l'attivo impegno nella lotta partigiana e fu partecipe personalmente di questo impegno allora e in seguito. La sua momentanea e forzata presenza nella sezione addestramento della contraerea dell'aeronautica di quel tempo, senza la partecipazione ad alcuna azione militare, seguita da diserzione, non implicò quindi alcuna adesione su nessun piano, ad una concezione ideologica che egli ha da sempre combattuto con impegno militante”. Bé, effettivamente, dare del fascista ad uno che ha fatto dell'antifascismo la sua professione è grossa.
All'epoca ci fu un po' di maretta. Il deputato democristiano di Novara Michele Zolla, molto vicino a Oscar Luigi Scalfaro, presentò un'interrogazione al ministro della Difesa per sapere se rispondesse a verità  che Fo aveva militato nel battaglione «A. Mazzarini» della Gnr. Nessuna risposta, qualche insulto all'indirizzo di Zolla sui giornali di sinistra, silenzio della grande stampa, già  allineata.
Fo era una potenza. Aveva scritto «Morte accidentale di un anarchico» accusando Luigi Calabresi (da lui ribattezzato “il commissario Cavalcioni”)di avere “defenestrato” dalla questura di Milano l'anarchico Pino Pinelli all'indomani dell'attentato di piazza Fontana (12 dicembre 1969, 16 morti, 90 feriti). E poco dopo Calabresi era stato “giustiziato”. Aveva attaccato, con una conferenza-stampa convocata al palazzo di Giustizia di Milano, il p.m. genovese Mario Sossi, reo di aver fatto arrestare l'ex-comandante partigiano Giambattista Lazagna (caso Feltrinelli). E poco dopo Sossi era stato sequestrato dalle Brigate Rosse. Per l'ultrasinistra, Dario Fo era un idolo. Frattanto, le Brigate Rosse avevano incominciato ad ammazzare, e la gente aveva paura.
In questo clima, il 9 giugno 1977 il compianto collega Gianni Cerutti pubblicò, sul settimanale da lui fondato e diretto, «II Nord», di Borgormanero (Novara), la lettera articolo di un collaboratore, Angelo Fornara, nella quale si poteva leggere che a Fo “non conviene ritornare a Romagnano Sesia dove qualcuno lo potrebbe riconoscere: rastrellatore, repubblichino, intruppato nel battaglione "Mazzarini" della Guardia Nazionale della Repubblica di Salò”.
Fo non perdona. Scocca la querela per diffamazione “con ampia facoltà  di prova”.
Il processo si celebra a Varese, dove è stampato «II Nord». La prima udienza si svolge il 7 febbraio 1978.Fo racconta che, non ancora diciottenne (è nato a Sangiano, Varese, il 24 Marzo 1926), collaborava con il padre, esponente della Resistenza nel Varesotto. Preso tre volte dai tedeschi, e sempre scappato, si era arruolato volontario nei paracadutisti di Tradate, ma lo aveva fatto per non destare sospetti, anzi d'accordo con i partigiani amici del padre. Tanto che il suo sogno era sempre stato quello di unirsi alla formazione militare Lazzarini, la banda partigiana terrore dei nazifascisti sulla riva orientale del Lago Maggiore. Falso quindi che sia stato repubblichino, falso che sia stato rastrellatore, falso, falsissimo, che sia stato «intruppato nel battaglione “A. Mazzarini” della Gnr».
Nel frattempo, il giornalista e storico Luciano Garibaldi ha condotto una ricerca sulla strana vicenda e ne pubblica i risultati in un ampio reportage sul settimanale «Gente» in edicola il 4 marzo 1978. Cè la foto di Dario Fo in divisa da parà  repubblichino. Cè il ritratto da lui fatto dei suoi camerati con le anime dei partigiani uccisi che escono dalle canne dei mitra («sono apocrife e sono state aggiunte da altri», dirà  il comico). Soprattutto ci sono le testimonianze di una decina di ex-camerati di Tradate, tra cui l'ex-sergente maggiore istruttore dei paracadutisti fascisti, Carlo Maria Milani (“L'allievo paracadutista Dario Fo era con me durante il rastrellamento della Val Cannobina per la riconquista dell'Ossola, il suo compito era portare le bombe”), e - assolutamente esplosiva - quella del leggendario comandante partigiano Giacinto Lazzarini, si, proprio lui, il mito della giovinezza di Fo.
Lazzarini, a quell'epoca sessantaseienne, è un superdecorato e probabilmente tutti pensavano fosse morto (in effetti la sua formazione era stata sterminata dai fascisti durante la battaglia di Gera di Voldomino, Varese, il 7ottobre 1944: 54 morti). Nell'intervista afferma: “Le dichiarazioni di Dario Fo destano in me non poca meraviglia. Dice che la casa di suo padre era a Porto Valtravaglia, era un “centro” di resistenza. Strano. Avrei dovuto per lo meno saperlo. Poi dice che “era d'accordo con Albertoli” per raggiungere la mia formazione. Io avevo in formazione due Albertoli, due cugini, Giampiero e Giacomo. Caddero entrambi eroicamente alla Gera di Voldomino, e alla loro memoria è stata concessa la medaglia di bronzo al valor militare. Forse Fo potrà  spiegare come faceva ad essere d'accordo con uno dei due Albertoli di lasciare Tradate nel gennaio 1945, quando erano entrambi caduti quattro mesi prima. Senza dire, poi, che i cugini Albertoli erano tra i più vicini a me e mai nessuno dei due mi parlò di un Dario Fo che nutriva l'intento di unirsi alla nostra formazione”.
«Ad ogni, modo - dice ancora Lazzarini - se Dario Fo si arruolò nei paracadutisti repubblichini per consiglio di un capo partigiano, perché non lo ha detto subito, all'indomani della Liberazione? Sarebbe stato un titolo d'onore, per lui. Perché mai tenere celato per tanti anni un episodio che va a suo merito?».
L'inchiesta di Luciano Garibaldi ha l'effetto di rendere incandescente il processo di Varese. Milani e Lazzarini vengono citati e ascoltati dal tribunale. Milani ha un duro confronto con Fo, al termine del quale viene denunciato dagli avvocati del futuro Nobel per falsa testimonianza. Lazzarini, un autentico eroe della resistenza, è ascoltato l'11 aprile.
Finalmente, dopo 34 anni, Fo ha l'occasione di trovarsi faccia a faccia con colui che, stando alla biografia “La storia di Dario Fo”, di Chiara Valentini, fu l'idolo della sua gioventù, il leggendario comandante Lazzarini, il Che Guevara del Varesotto, il Chiapas dei nazifascisti. Che fa? Lo abbraccia? No. Lo fa ricoprire di contumelie dal suo amico ed ex-partigiano Leo Wachter, il quale, tirando la corda, dice al tribunale: “Lazzarini? Mai sentito nominare”. Con fierezza colma di sdegno, Lazzarini, al presidente che gli chiede se per caso egli usasse un nome di copertura, risponde. “No, il mio nome era Lazzarini, il bandito Lazzarini!”.
Il processo dura un anno e si conclude, dopo oltre dieci udienze, il 15 febbraio 1979, con una sentenza che assolve per intervenuta amnistia il direttore, de “II Nord” e condanna il collaboratore per la sola asserzione “Fo intruppato nel battaglione “A. Mazzarini” della Gnr”.
Nella sentenza si legge tra l'altro: “E' certo che Fo ha vestito la divisa del paracadutista repubblichino nelle file del Battaglione Azzurro di Tradate. Lo ha riconosciuto lui stesso - e non poteva non farlo, trattandosi di circostanza confortata da numerosi riscontri probatori documentali e testimoniali - anche se ha cercato di edulcorare il suo arruolamento volontario sostenendo di avere svolto la parte dell'infiltrato pronto al doppio gioco. Ma le sue riserve mentali lasciano il tempo che trovano”. E ancora: “Deve ritenersi accertato che delle formazioni fasciste impegnate nell'operazione in Val Cannobina facessero sicuramente parte anche i paracadutisti del Battaglione Azzurro di Tradate. ( ... ) Non è altrettanto certo, o meglio è discutibile, che vi sia stato impiegato Dario Fo. Ma (...) la milizia repubblichina di Fo in un battaglione che di sicuro ha effettuato qualche rastrellamento, lo rende in certo qual modo moralmente corresponsabile di tutte le attività  e di ogni scelta operata da quella scuola nella quale egli, per libera elezione, aveva deciso di entrare.
E' legittima dunque per Dario Fo non solo la definizione di repubblichino, ma anche quella di rastrellatore”.
La sentenza non fu appellata e dunque è definitiva. Per la giustizia, Fo è stato repubblichino, paracadutista e rastrellatore. Quanto all'ex-sergente maggiore Carlo Maria Milani, processato per falsa testimonianza , fu assolto dal pretore di Varese il 16 maggio 1980 con formula piena; perché il reato non sussiste. Sentenza anch'essa definitiva.

......................

Ciò che mi fa sorridere amaramente non è il fatto di questa appartenenza o del successivo abiuro quanto dal fatto che il nostro si è sempre scagliato contro le menzogne degli altri, riservandosi la parte dell'immacolato censore e fustigatore.
Ma ci faccia il piacere .........

Teniamoci Bedeschi almeno la sua è sì alta letteratura!!
..... E PER RINCALZO IL CUORE!
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JOLLY ROGER
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Per quanto riguarda le SS non tutti erano cattivi o psicopatici dopo l' armistizio la mia valle era piena di tedeschi ovunque andavi li trovavi nelle vecchie fortificazioni della prima guerra mondiale nei paesi e sulle strade del fondovalle.Erano visti meglio dei partigiani e facevano lavorare la gente nella ristrutturazione delle ex opere e per la costruzione di ostacoli anti carro per ostacolare l' avanzata degli Americani. La gente veniva pagata il giusto. Mia zia era piccola in quel periodo e la mandavano a dar da mangiare alle mucche vicino ad un comando SS gli passava davanti piu' volte al giorno mai nessun comportamento scorretto da parte dei militari anzi se gli si inbizzarriva il mulo andava da loro a vedere se riuscivano a calmarlo se serviva il sale per le mucche lo chiedeva ai militari e in cambio dava del burro o del latte. Bravi e tutto ma mai scherzare con loro.
Ultima modifica di JOLLY ROGER il mar ago 22, 2006 9:17 pm, modificato 1 volta in totale.
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Federico
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Bedeschi Camicia Nera?

Chissenfrega.

I suoi libri non ne risentono minimamente. Anzi: forse alla luce di questo fatto assumono un significato diverso, migliore e più profondo.

Vi ricordate quando scrive del discioglimento della Tredici e del Gruppo?

Di come si discutesse, tra i ranghi, circa il da farsi? A casa? Coi Tedeschi? Sui monti?

Dalle righe di Bedeschi si capisce benissimo che la Batteria si divise tra le tre scelte. Logico, dato che fu esattamente ciò che fece l'Italia. Vi ricordate come muore il buon Pilòn, Poeta e Conducente? Stava cercando un comando ancora attivo, Italiano o Tedesco poco importa, che gli ordinasse il da farsi. Scelte, tutte, influenzata anche da comprensibilissime condizioni logistiche. Eppoi, in ultimo, farei la seguente considerazione: Bedeschi, oltre ai suoi Artiglieri, amava il suo Capitano. E sappiamo tutti quale stima immensa egli godesse tra chi lo conosceva, nonchè quale scelta, estrema, fece il Capitano: tornare in Russia a combattere (e morire). E' ammissibile, secondo voi, che il cuore di un Uomo come il Dr. Bedeschi, potesse considerare di prendere le armi contro il suo Capitano, anche se solo idealmente?

Ciao
Art. Federico
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Gian Luca
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Federico ha scritto:Bedeschi Camicia Nera?

Chissenfrega.



Ciao
Mi associo, sennò dovremmo anche parlare di Bracchi, Chierici e tanti altri.
Direi che i valori che Bedeschi ha cercato di trasmettere con la sua letteratura siano difficilmente contestabili.
E siccome aveva un fisico forte, ed era alto e ben fatto, lo assegnarono all'artiglieria alpina... (M. Rigoni Stern)
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Credo che l'adesione di Bedeschi e di altri ad una parte o all'altra sia da vedere solo sotto l'aspetto 'storico' e non 'politico'.
Conoscere + particolari possibili serve a completare la grande Storia attraverso le piccole Storie personali.
Certo che se poi uno spergiura la verità  x rifarsi una verginità  politica - vedi il parà -guitto-nobel-fiancheggiatore BR Fo Dario - è tuttaltra cosa ed è giusto mazzuolarlo, politicamente.
Saluti Alpini
Max :twisted: Diable 7/84
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JOLLY ROGER ha scritto:Per quanto riguarda le SS non tutti erano cattivi o psicopatici dopo l' armistizio la mia valle era piena di tedeschi ovunque andavi li trovavi nelle vecchie fortificazionei della prima guerra mondiale nei paesi e sulle strade del fondovalle.Erano visti meglio dei partigiani e facevano lavorare la gente nella ristrutturazione delle ex opere e per la costruzione di ostacoli anti carro per ostacolare l' avanzata degli Americani. La gente veniva pagata il giusto. Mia zia era piccola in quel periodo e la mandavano a dar da mangiare alle mucche vicino ad un comando SS gli passava davanti piu' volte al giorno mai nessun comportamento scorretto da parte dei militari anzi se gli si inbizzarriva il mulo andava da loro a vedere se riuscivano a calmarlo se serviva il sale per le mucche lo chiedeva ai militari e in cambio dava del burro o del latte. Bravi e tutto ma mai scherzare con loro.
Però va ricordato anche che il Trentino allora era parte integrante del reich, e per questo, forse, i suoi abitanti erano visti diversamente dai tedeschi rispetto al resto degli italiani.
Aggiungo che anche le popolazioni ciociare a ridosso della linea Gustav tendono a ricordare più positivamente i tedeschi che non gli alleati (anche perchè questi ultimi non si comportarono proprio benissimo...).
La nostra patria per noi sono i villaggi, i nostri altari, le nostre tombe. La nostra patria è la nostra Fede, il nostro Re. Ma la loro patria che cos’è per loro? Voi lo capite? Loro l’hanno in testa, noi la sentiamo sotto i nostri piedi.
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Il Trentino (assieme all'Alto Adige, provincie di Belluno, Gorizia, Trieste, Pola e Fiume) era parte integrante del Reich perchè era stato annesso unilateralmente da Hitler, non in base a trattati internazionali.
MAI DAÛR!
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Lorenzo
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Che Bedeschi fosse nelle BB.NN. non fa alcuna differenza.

Fosse stato pure nelle Waffen SS (il primo vero esercito europeo) se non ha commesso crimini, cosa che pensando al periodo in questione fa anche un po' sorridere amaramente, non vedo perchè dovrebbe essere una nota a suo demerito.
C.le Lorenzo
7°/92 | 51 mortaista, addetto al tiro/tavolettista | 167^ Cp. Mortai "La Signora" | Battaglione Pieve di Cadore | 12° Reggimento Alpini | Brigata Cadore

Europa risvegliati!
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Luigi
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A chi fosse interessato all'argomento, segnalo sul "Corriere" di oggi un interessante articolo di Niall Ferguson, che parte dal "caso" Grass per alcune non banali riflessioni (l'autore, per chi non lo conoscesse, è un economista scozzese estensore, alcuni anni fa, della forse miglior storia della Grande Guerra fin qui scritta).
A contrappunto, sempre sul medesimo foglio una lettera di un noto esponente della Resistenza, che ancora una volta mette i puntini sulle i in fatto di moralità  o meno di chi "resiste". Per i soldati caduti nell'ultima difesa di Berlino, nonchè per i ribelli vandeani di duecentodieci anni fa (questi per di più cattolici, quale impudenza!) e tutti quelli che stavano dalla parte sbagliata, è evidentemente già  troppo il solo, eventuale, anonimo ricordo rimastone su questa terra.
Mandi.
Luigi
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"Gli Alpini arrivano a piedi là dove giunge soltanto la fede alata"
(G. Bedeschi)


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