Dal caro amico, maresciallo Gianluca Basso (http://www.pietalemorta.it):
KOSOVO, MONASTERO DI DECANI
Allarme dei monaci:
violate tombe italiane
dal nostro inviato
EZIO PASERO
(foto: il Cimitero degli Stranieri, foto: ERP KIM Info-Service, febbraio 2003)
PEC - Sono monumenti alla pietà ma anche alla memoria, i cimiteri di guerra. Lo era certamente il Cimitero degli Stranieri, tra il camposanto ortodosso di Pec e quello del contiguo villaggio di Belo Polje. Lapidi come pagine di un libro, che raccontavano un pezzo della tormentata storia dei Balcani. Sotto le lapidi, i resti dei soldati francesi morti nel 1914, di quelli russi della Guardia Bianca, che era venuta qui tra il 1917 e il '25, e di quelli italiani della Taurinense: una cinquantina, uccisi alla fine del 1943 e dei quali forse si era addirittura perduto il ricordo.
Adesso, il Cimitero degli Stranieri, dove venivano sepolti anche i pochi albanesi cattolici, praticamente non esiste più: nel '99, con la fine della guerra in Kosovo, è stato trasformato in una discarica e ricoperto di immondizie e macerie, come è successo anche con altri cimiteri cristiani. Le croci sono sparite, le tombe sono state profanate e le bare aperte, le lapidi rubate e rivendute. I monaci di Decani, il bellissimo monastero medievale che si trova a pochi chilometri da Pec e che da oltre tre anni è sorvegliato a vista giorno e notte dai soldati italiani, hanno lanciato l'allarme e denunciato la situazione alle autorità dell'amministrazione civile dell'Onu, mentre la Chiesa ortodossa serba ha annunciato di voler richiedere assistenza urgente delle ambasciate italiana, francese e russa di Belgrado, perché il cimitero venga ripristinato e protetto da nuove incursioni vandaliche albanesi.
"Il Kosovo faceva parte della Grande Albania voluta da Mussolini, e la brigata Taurinense e la Garibaldi erano qui, nel settembre del 1943", racconta padre Senofonte, uno dei monaci ortodossi di Decani, di origine croata e che parla un ottimo italiano. "Dopo il vostro armistizio, gli albanesi comunisti del Balli Kombetar, il Fronte nazionale, avevano attaccato la caserma dove vivevano i soldati italiani che avevano sposato donne serbe. Un eccidio: 50 italiani uccisi, oltre a 13 albanesi. I corpi erano rimasti per qualche giorno nella caserma, poi erano stati sepolti nel Cimitero degli Stranieri".
Alla fine della guerra, alcuni soldati italiani sopravvissuti si erano comunque stabiliti lì. L'ultimo, Italo Boccardo, c'era rimasto fino al 1999. Dopo aver combattuto in Libia nel '41, era andato in Albania ed era poi finito in Kosovo nel '43. Italo guidava i camion, sotto le armi. Così, nella vita civile, era diventato il primo autista di autobus di linea del Kosovo e aveva fatto l'istruttore di guida per i suoi colleghi. Si era stabilito a Decani, aveva trovato una bella moglie più giovane, aveva imparato il serbo-croato e ha finito con il dimenticarsi quasi l'italiano. Ma nel '99 l'aria si è fatta irrespirabile per i serbi, in Kosovo, e sua moglie Nada è serba, appunto. Nonostante fosse ormai quasi ottantenne e praticamente paralitico, Italo ha dovuto abbandonare la sua casa di Decani e si è trasferito a Kruseva, nella Serbia centrale, presso i parenti di lei.
Nel dicembre scorso, convinto che la situazione si fosse calmata, e illudendosi forse che la convivenza tra albanesi e serbi potesse avere qualche prospettiva realistica, Italo era tornato con Nada a Decani. Ma il suo appartamento era ancora occupato da rifugiati albanesi rientrati, ai quali l'Unmik aveva prorogato il diritto a rimanere fino al maggio prossimo. Una data teorica, Italo sa bene che in realtà gli albanesi non se ne andranno mai da casa sua. E che tornare a vivere in mezzo a loro, per uno considerato serbo, sarebbe comunque ancora troppo rischioso. Basta guardare il Cimitero degli Stranieri, per capire.
APPELLO PER ORGANIZZARE UNA VIGILANZA PERMANENTE NEL CIMITERO SERBO DELLA CITTA DI PEC
ERP KIM Info-Service
(Servizio notizie della Diocesi di Raska-Prizren e Kosovo-Metohija)
Pec, 7. marzo 2003
Oggi i rapresentanti dei profughi serbi di Pec, signore Radmila Sugovic e Zorana Radonjic hanno consegnato al primo segretario dell'Ambasciata italiana a Belgrado, Gianluca Greco l'appello con le firme dei 1041 ex cittadini di Pec. I profughi serbi di Pec chiedono all'Ambasciata italiana di aiutarli a proteggere il cimitero serbo ortodosso di Pec e fare possibile di visitare periodicamente i loro cari defunti.
Il testo dell'appello
Egregio Signore,
Noi sottoscritti domandiamo gentilmente un Suo aiuto in merito alla situazione in cui versa il cimitero di BELO POLJE:
-di proteggere il cimitero serbo della citta di Pec contro la distruzione e la profanazione;
-di rimuovere i cumuli di macerie, rifiuti ed i rottami ivi scaricati;
-di fare i passi necessari per darci la possibilità di visitare periodicamente i nostri cari defunti, e che queste nostre visite siano effettuate nella massima dignità , serenità , tranquillità e sicurezza.
Tutti noi eravamo residenti in PEC città e nelle aree viciniori al citato centro urbano, adesso siamo dei profughi che chiedono solamente di poter degnamente onorare la memoria dei nostri defunti e che nella attuale situazione ci viene precluso per i motivi a lei noti.
Siamo sicuri che Lei potrà capirci ed aiutarci, la nostra è una leggittima richiesta di uomini e di credenti, non chiediamo null'altro.
Con molti ossequi,
(1041 firme di serbi profughi di Pec)