Dal "Corriere della Sera" di ieri.
Ecco perchè spero nessuno metta mano all'idea di un film o di una "ficscion" tratta dal libro "sacro".
Mandi.
Luigi
Sul set del film Mediaset che ha ricostruito le scene di guerra
Fiction tv su don Gnocchi
Cinzia Torrini: dopo «Elisa» racconto i soldati al fronte
DAL NOSTRO INVIATO
BUHOVO (Sofia)- A 30 chilometri a nord di Sofia, nella località di montagna Buhovo, si spara in
trincea. Esplodono colpi di cannone, di fucili mitragliatori e di mortai. Saltano in aria i
soldati, insieme a nuvole di fumo e di terra. È un set pericoloso quello della fiction «Don Gnocchi»: nella località bulgara viene ricostruita la campagna d'Albania del 1941, dove il prete di San Colombano al Lambro (Lodi) sceglie di andare volontario come cappellano, per alleviare le
sofferenze dei giovani militari italiani. Una coproduzione Rti-Together Production Internazional di 6 milioni di euro, realizzata per
Mediaset con la regia di Cinzia TH Torrini, in onda nella prossima primavera su Canale 5 in due puntate. Sceneggiatura di Simone De Rita, interpretata da Daniele Liotti nel ruolo principale con, tra gli altri, Alexandra Dinu, Jean Sorel, Ralph Palka e un Pietro Taricone di nuovo in
guerra.
Un set talmente pericoloso da essere a rischio di incidenti. Durante le prime riprese, Liotti, scendendo al volo da un treno in corsa, si è rotto il legamento crociato anteriore. Nei giorni successivi, un altro attore, Pietro Manigrasso, in un corpo a corpo con il nemico, ha accusato uno strappo ai muscoli della coscia. Ma non basta. Racconta la regista: «Abbiamo girato alcune scene della campagna di Russia in un vero poligono militare bulgaro: mentre noi recitavamo una guerra finta, i soldati veri facevano delle autentiche esercitazioni. Ci vedevamo passare sulla testa le pallottole e si è verificata a poca distanza dal set una tale esplosione, che si è precipitata da noi una camionetta di militari, per timore che ci fosse successo qualcosa». Un prete in trincea, Don Carlo Gnocchi, ma soprattutto il «padre dei mutilatini». Nato nel 1902, viene ordinato sacerdote a 23 anni e subito dimostra attenzione al rapporto con i giovani.
Gentile, paterno, ma anche severo ed esigente, la sua fama di ottimo educatore giunge in alto e nel 1936 diventa direttore spirituale di una delle scuole più prestigiose di Milano, l'Istituto Gonzaga dei Fratelli delle Scuole Cristiane. Nel 1940, l'Italia fascista entra in guerra e molti dei suoi studenti sono chiamati al fronte. Non esita e, per essere vicino ai suoi allievi, si arruola come cappellano nel battaglione «Val Tagliamento» degli alpini. La destinazione è il fronte greco-albanese. Qui Don Gnocchi diventa il miglior amico dei soldati. È un prete in guerra e non un prete di guerra.
Dopo la campagna nei Balcani, riparte per il fronte russo, con gli alpini della Tridentina: cade stremato, ma viene salvato in extremis. Tornato in Italia, è a partire dal 1945 che prende forma il suo straordinario progetto di aiuto ai sofferenti. Viene nominato direttore dell'istituto Grandi Invalidi di Arosio, dove accoglie i primi orfani di guerra e i bimbi mutilati. Nel 1949
la «Federazione Pro Infanzia Mutilata», da lui fondata l'anno prima, viene riconosciuta dal Presidente della Repubblica. Nel 1952 viene creata la Fondazione Pro Juventute. Ma un'altra sfida attende Don Carlo: nel 1955 dà il via a un moderno centro per la riabilitazione. Muore un anno dopo, ma il suo ultimo gesto profetico è la donazione delle sue cornee a due ragazzi non vedenti, che tuttora vedono grazie alla sua generosità . Nel 1985 il cardinale Carlo Maria Martini istituisce il Processo di Beatificazione, ora in fase di svolgimento alla Congregazione delle Cause dei Santi a Roma. La fiction, che verrà girata anche a Torino, a Milano e in Vaticano, ripercorre la vita del sacerdote con uno spiegamento di forze non indifferente: 220 persone nel cast, tra attori italiani e comparse bulgare, 10 stuntman, 40 camion, 30 auto, 50 muli, 180 fucili, 7 mitragliatrici e 2 mortai; 2 colonnelli bulgari che hanno fatto la seconda guerra mondiale come consulenti.
Praticamente una task force, capitanata da una donna. È curioso vedere la Torrini, reduce dal successo della love story «Elisa di Rivombrosa», aggirarsi in trincea. Dice: «È la prima volta che giro scene di guerra. Sto cercando di dare l'idea della paura dei soldati: di solito, nei film di genere, li vediamo eroi machi, io li vedo come ragazzi che cercano di farsi coraggio l'un l'altro. Per prepararmi, mi sono riguardata tante pellicole, dalla "Grande Guerra" al "Soldato Ryan", ma ho scelto di non mostrare fiumi di sangue». È anche la prima volta che Cinzia racconta la vita di un religioso: «Cerco di non farne un "santino". Don Gnocchi non si limitava
ad assistere i mutilatini, ma li reinseriva nella vita normale. Spronava i suoi ragazzi a guardare oltre il muro delle loro sofferenze e ad andare avanti». Emilia Costantini
NEL CAST
Taricone diventa alpino «E non ho fatto la naja»
DAL NOSTRO INVIATO
BUHOVO (Sofia) - Ha appena lasciato la divisa del volontario in Kosovo, nel film Radio West , e si ritrova in divisa d'alpino nella campagna d'Albania. L'ex palestrato del «Grande Fratello», Pietro Taricone, è Margherita, un soldato napoletano, soprannominato così dai commilitoni per la sua passione per la pizza. La strada che la porta al successo è lastricata di mine? «Pare un destino».
Ma Taricone, nella vita, lo ha fatto almeno il servizio militare?
«Dovevo partire per arruolarmi negli alpini, quando fui scelto per il "Grande Fratello". Ho presentato un certificato medico per asma allergica e sono stato riformato. Però, poi, ho subito anche un piccolo processo». Come si è calato nei panni di un soldato al fronte?
«Il mio Margherita rappresenta l'aspetto umano dell'esercito. Ma è un valoroso e morirà da eroe.
Questa è la nemesi dell'ex inquilino del "Grande Fratello": Taricone è un eroe!».
E. Cost.
IL PROTAGONISTA
Liotti: fu un grande che sapeva dubitare
L'attore ha già interpretato Sant'Antonio da Padova
DAL NOSTRO INVIATO
BUHOVO (Sofia) - Reduce da un S. Antonio da Padova, Liotti è il volto del «Don Gnocchi» televisivo. Scherza l'attore: «Evidentemente ho una faccia che esprime bontà ». Chi l'ha conosciuto, dice che fosse anche un bell'uomo.
«È vero, credo che la sua bellezza scaturisse dalla spiritualità che lo pervadeva, che non era statica, ma sempre alla ricerca di qualcosa».
Era un personaggio inquieto? «Illuminato e istintivo. So che da qualcuno è stato definito un simpatizzante del fascismo: un'idiozia. Don Carlo non andò in guerra per ideali fascisti, ma per assistere i suoi ragazzi. E
quando, in Albania, si rese conto dell'orrore della guerra, cercò di dissuadere i suoi allievi dall'arruolarsi volontari, ma invano. Per non lasciarli senza conforto, li seguì in Russia». Difficile da interpretare?
«Per entrare nel ruolo sono dimagrito cinque chili».
È vero che lei ha dovuto fare un training per imparare a dire la messa in latino? «Ho studiato le formule e la gestualità , trovandomi a volte a disagio perché, essendo mancino, mi è capitato di benedire con la sinistra. Ma ho cercato di tirar fuori il lato umano di don Gnocchi».
In quali caratteristiche? «Aveva il beneficio del dubbio. Un dubbio che, in guerra, lo portò per qualche attimo perfino a perdere la fede. Ma poi, per riacquistarla, è sempre ripartito dall'amore per l'essere umano».
E.Cost.