Il caso Zavratec
Questa storia inizia nel 1961, quando nell'Istituto Oncologico di Lubiana avviene un grave incidente: un applicatore di solfato di radio (un isotopo radioattivo che all'epoca veniva impiegato nel trattamento del cancro) si rompe e, prima che le misure di sicurezza entrino in funzione, il contenuto si disperde in diverse stanze, contaminandole.
La successiva ed immediata bonifica produce circa 30 metri cubi di materiale radioattivo (strumenti medici, arredi delle stanze, libri e pavimenti).
All'epoca dell'incidente la competenza di tutto ciò che ha a che fare con il nucleare è dell'Armata Popolare Jugoslava (JNA), che decide di trasportare in segreto le scorie radioattive in una caserma abbandonata nella parte occidentale della Slovenia, vicino al piccolo paese di Zavratec. E questo è il motivo per cui questa storia ci riguarda, in quanto quella di Zavratec (Saurazzi nella nomenclatura italiana) è una delle due casermette "extra caposaldo" che sorgevano nei pressi della località ai tempi dell'amministrazione italiana (sancita dal trattato di Rapallo del 1920). Si trattava di strutture edificate per ospitare truppe mobili da utilizzare nelle cortine o in zone di confine particolarmente permeabili e difficilmente controllabili con le opere permanenti del Vallo Alpino (chi si è interessato alla storia della Fanteria d'Arresto potrà trovare delle similitudini con quanto previsto nel secondo dopoguerra nel Carso monfalconese e goriziano).

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A Zavratec il materiale radioattivo viene collocato in una delle stanze della casermetta, dopodichè la porta e le finestre della stanza vengono murate. Nessuna spiegazione o informazione viene fornita agli abitanti del paese, che rimangono all'oscuro del potenziale pericolo situato a poche centinaia di metri dalle loro abitazioni.
Con il passare degli anni, però, qualche voce inizia a circolare, e la notizia viene ufficialmente rivelata negli anni '80, da una inchiesta televisiva. La reazione degli abitanti di Zavratec è facilmente immaginabile, e porta ad una lunga serie di proteste e richieste di immediata bonifica del sito. A poco valgono le rassicurazioni del Ministero della salute, che afferma di aver costantemente monitorato i livelli di radioattività nei pressi della casermetta, senza trovare mai tracce di dispersione: le proteste si fanno sempre più insistenti.
Nel 1988 si apre per la prima volta una piccola breccia nella muratura esterna, si provvede ad una misurazione della radioattività all'interno della stanza e vengono scattate anche delle foto: i contenitori del materiale, conservati per trent'anni in maniera impropria, sono in pessime condizioni. La breccia viene richiusa.
Finalmente nel 1992, dopo l'indipendenza della Slovenia, il nuovo governo decide di liberarsi di questa scomoda eredità, ed incarica l'Agenzia per il trattamento delle scorie nucleari (ARAO) di occuparsi della bonifica. Sul sito
http://www.arao.si si può trovare una descrizione dettagliata di tutte le fasi del progetto di bonifica messo in atto a Zavratec; di seguito mi limiterò a riportarne le tappe principali.
Prima fase (1996): dopo l'applicazione di un sistema di ventilazione, che riduce la concentrazione di gas radon all'interno della casermetta, viene aperto un varco di accesso e il 2 settembre, per la prima volta dopo 35 anni, un uomo mette piede nella stanza murata.

- Il varco di accesso (foto tratta da www.arao.si)
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Dalle misurazioni si scopre che, oltre al radio, sono presenti inaspettatamente tracce di cobalto-60, cesio-137 e carbonio-14 (tutti radioattivi). In particolare la presenza di quest'ultimo, un beta-emettitore puro, fa sì che la preventivata separazione del materiale non radioattivo (motivo dell'apertura della stanza) non sia più possibile con la strumentazione a disposizione.

- (foto tratta da www.arao.si)
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Si provvede quindi a re-imballare il materiale in 97 contenitori cilindrici che vengono coperti con dei teli di plastica. La stanza viene nuovamente murata, dopo averne riparato il soffitto che presentava delle infiltrazioni di acqua.

- (foto tratta da www.arao.si)
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Seconda fase (1999): parte finale del progetto di bonifica. L'11 novembre viene riaperto il varco usato in precedenza: i contenitori sono stati parzialmente compromessi a causa della condensa al di sotto dei teli di plastica ed è quindi necessario provvedere ad un nuovo imballaggio del materiale per poterlo trasportare in sicurezza verso il sito di stoccaggio. Si provvede quindi alla separazione del materiale non radioattivo, al trattamento di quello liquido ed a tutte le procedure necessarie per la bonifica.
Il trasporto del materiale radioattivo nel deposito di scorie nucleari di Brinje (vicino a Lubiana) avviene in tre spedizioni, l'1, il 15 ed il 29 dicembre, in condizioni metereologiche avverse e con la scorta della polizia.

- (foto tratta da www.arao.si)
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- Il deposito di Brinje (foto tratta da www.arao.si)
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La stanza, finalmente liberata dal suo pericoloso contenuto, viene trattata sia chimicamente che meccanicamente (asportazione del rivestimento delle pareti e di parte del pavimento) per eliminare ogni traccia di radioattività presente nell'ambiente.

- (foto tratta da www.arao.si)
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Il 25 giugno del 2000 viene consegnata alle autorità di Zavratec una attestazione della Slovenian Nuclear Safety Administration (SNSA), che certifica che l'edificio è "radiologicamente puro", e liberamente fruibile dalla popolazione.