Hellis ha scritto:Nel post appassionato del piacentino, vi si legge tutto il peso che Egli da alla parola 'giuramento' e il tener fede ad un impegno preso, alla parola data.
Non vendibile, non quantificabile.
E per esaltare ancora di più il concetto porta l'esempio di von Stauffenberg, non per entrare nel merito sulla questione della moralità della politica del terzo reich, ma per sottolineare come quello dell'ufficiale tedesco sia comunque un tradimento. E in quanto tale non può essere giusto, anche se teso ad eliminare una bestia maligna.
Luigi va letto come un Signore d'altri tempi, che non lascia nulla all'interpretazione o all'accomodamento.
Io ho ben capito ciò che ha scritto, e devo dire che anche in questa occasione mi ha stupito. Obiettivamente la questione se l'atto di von Stauffenberg sia o non sia deprecabile, non me la ero mai posta. Vista nell'ottica di Luigi, è sicuramente deprecabile... e non posso dire che in un certo senso non sia la mia. Lealtà verso il nemico.
Nel punto più basso del suo Inferno, al fondo dell'abisso provocato dalla caduta di Lucifero divenuto Satana, Dante non pone gli eretici, i ladri, i bestemmiatori, i sodomiti, e nemmeno gli omicidi o i suicidi: mette i traditori. Della famiglia, della patria, di Dio.
Il giuramento è un atto terribile, nel senso a tutto tondo di questo aggettivo.
È - per tentare un paragone - un po' come trovarsi di fronte al Mangart velato dalle nuvole mentre infuria la bufera. Le ginocchia divengono molli, la mente è quasi atterrita da un simile "spettacolo"; ma allo stesso tempo la magnificenza è tale che si rimane impietriti, letteralmente, incapaci di qualsiasi atto o parola.
Così è per un giuramento.
Non sono perciò io a dar peso a tale parola: è il fatto stesso del giuramento ad averne uno che sfiora l'insostenibilità .
Nessuno di noi (tanto meno io, nonostante titoli e maiuscole di cui mi gratifichi impunemente) è più in grado di rendersi conto anche solo vagamente di una simile realtà ; altrimenti neppure riusciremmo a vivere in una civiltà quale è la nostra, che prima nella storia sul tradimento è fondata e costituita.
Del resto la parola fedeltà ha la stessa radice di fede; mancando questa non può esservi quella.
In tempi più civili non era così, ovviamente, tanto che talora nemmeno era richiesto il giuramento formale: in determinate situazioni appariva scontata, quasi pleonastica, la fedeltà .
Esigere una promessa materiale di conservarla era quasi un'offesa, già un insinuare che la persona sarebbe vacillata e caduta; roba da metter mano alla spada, insomma (ma ovviamente noi siamo disarmati, nella teoria come nella pratica).
E appunto per tutto ciò a noi appaiono davvero fuori dal tempo, quasi leggendari o più prosaicamente inconcepibili, comportamenti come quello del conte Joseph de Maistre, che per non venir meno alla lealtà dovuta al suo Re inetto e debole accettò di non vedere la moglie per dodici anni e di conoscere l'ultima figlia solo quando questa, di anni, ne aveva ormai venti; o di Carlo I
de domo Austriae, l'ultimo Imperatore, che scelse miseria ed esilio, nonchè la morte da questi conseguente, pur di non abdicare formalmente venendo però così meno al dovere richiestogli nei confronti dei suoi popoli.
Va da sè che in entrambi i casi l'accettazione virile del proprio destino si accompagnò ad un altrettanto virile serenità nel sopportarlo.
Ecco, confrontiamo questi ed altri esempà® con l'impazienza che ci attanaglia quando attendiamo di indulgere vuoi all'acquisto dell'ultimo ritrovato elettronico, vuoi in qualche passatempo ridicolo, e meditiamo su cosa siamo diventati; sempre che le attività di cui, sottilmente plagiati, inzeppiamo il tempo cosidetto libero ci lascino i pochi minuti necessarà® alla bisogna (già il fatto che esistano attività classificate come "passatempi" dovrebbe atterrirci. Niente, neppure dar da mangiare al cane o leggere fumetti, dovrebbe essere fatto per "lasciar passare il tempo". Un'azione compiuta per trascorrere il tempo non è degna di esser compiuta).
Non abbiamo più alcuna capacità di distacco, di superiorità nei confronti del materiale, degli oggetti, di quanto ci circonda; basta vedere l'ossessione con cui impieghiamo il telefono cellulare, tanto che senza di esso ci pare venga a mancare una parte di noi (e così ne possediamo magari tre o quattro: non si sa mai).
Questo abbruttimento ha una causa inconfessabile: la nostra mancanza di frequentazione con la morte, altra mancanza logicamente discendente dall'assenza di fede (escludendo qualsiasi orizzonte ultraterreno è naturale essere attanagliati dalla paura di morire).
È questo che spinge l'attuale Presidente del Consiglio a comportarsi nel modo a tutti noto; ed è il riconoscersi nostro malgrado in lui che ci fa dividere a metà fra l'idolatria e l'odio ossessivo.
È sempre questa cinghia indicibile che trascina l'avversione demente per la caccia, in cui ancora, insieme ad altri aspetti comunque "politicamente scorretti", si vive la morte - seppure quella degli animali, almeno di solito (ricordo, qualche anno fa, una foto apparsa sul quotidiano locale: vi si vedeva un cavallo in procinto di essere abbattuto in un macello. Non ti dico le reazioni sdegnate: non per la morte del cavallo, ma perchè la foto era stata messa sul giornale. Come se, non pubblicandola, il cavallo sarebbe rimasto in vita...).
Per carità , siamo circondati da morti, a migliaia, in TV o al cinema; ma sono morti irreali, e tanto più irreali quanto più la tecnica si sforza di renderle realistiche.
Sono cioè morti non tese ad insegnare "la" morte, ma ad esorcizzarla, a declassarla in finzione; hanno perciò lo stesso scopo delle palestre, delle
beauty farms, delle cliniche estetiche e della tassidermia.
Pensiamo allora al sentimentalismo (
"Coi sentimenti ci si fa ammazzare") con cui, ogni volta che un soldato cade, ne indaghiamo morbosamente - o lasciamo che ne vengano indagate - le vicende personali, quasi che avere una fidanzata o una moglie ad aspettarlo ne svilisse il sacrificio, invece di renderlo ancora più grande; pensiamo alla retorica sulla "vita che aveva davanti" e "sui progetti che avrebbe voluto realizzare", come se esistesse un'azione, per un soldato, che superi l'adempimento del proprio dovere in ossequio al giuramento prestato.
Abbadia, nella discussione sullo
stage, osserva a quel riguardo che non ci saranno Termopili.
È del tutto ovvio, anche in generale, che sarà così: per le Termopili servono infatti gli spartani.
Confrontiamo ora le donne in lacrime di fronte alle telecamere, o magari sedute in Parlamento, con quelle del "va', e torna con questo scudo o sopra di esso". Lasciamo perdere, che dici?
Forse così capiremo che gli alpini della "Julia" caduti non devono essere ringraziati perchè hanno difeso la pace, la libertà e la democrazia (o il commercio di oppio e metano), ma solo perchè sono caduti.
Non importa per cosa siano morti: importa che siano morti.
Mandi.
Luigi