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Il naufragio del Galilea

Il 28 marzo 1942 il piroscafo galilea affondava colpito da un siluro. Dei 1532 imbarcati solo 246 furono i superstiti. Il battaglione Gemona venne decimato perdento praticamente tutta la forza.

Di seguito un contributo pubblicato su l'Alpino di questo mese.


da ANA.it

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Come "foglie sul mare", così ricorda gli alpini del btg. "Gemona" il caporale Lino Fagotto, del "Tolmezzo", spettatore impotente della loro tragedia nelle acque dello Ionio. Insieme quel 28 ottobre 1940 quando varcarono il confine grecoalbanese sotto la pioggia battente, i torrenti in piena, la Voiussa che tutto travolgeva, gli scarponi che si scioglievano come cartone nel fango infinito, giallo e colloso, il rancio di gallette e scatolette alternate a "energon", miscela di biade e carrube comune a uomini e muli. Insieme sul Golico, contrattaccati dai greci, dove, secondo lo storico, "I reparti della Julia non hanno mollato, han tirato la cinghia, hanno sofferto, ma non hanno mollato".

Una guerra assurda: "Quelli che l'han voluta non son partiti, quelli che son partiti non son tornati”: subito censurato, così la ricorda ai superstiti lo straziante motivo del ponte di Perati. Intervengono i tedeschi. Hitler è costretto a rimandare l'attacco alla Russia e i suoi baffetti sprizzano scintille. L'armistizio del 23 aprile 1941 conclude la campagna di Grecia e la Julia si trasferisce in Peloponneso, dove rimane per otto mesi, durante i quali il suo comportamento smorza i toni dell'ostilità  iniziali, fino a instaurare con la popolazione un solido rapporto di simpatia e collaborazione, riconosciuto dalle autorità  locali: "La Julia ha conquistato la Grecia perché ha conquistato l'anima greca".

Ma la guerra continua in altri scacchieri e, con l'avvicinarsi del rimpatrio, ritorna sempre più frequente la parola Russia. Nel canale di Corinto fanno il loro ingresso sei piroscafi di linea, attrezzati per trasporto truppe: Piemonte, Crispi, Ardenza, Viminale, Italia e Galilea. A Poseidonia quest'ultimo imbarca l'intero battaglione "Gemona"(23 ufficiali, 27 sottufficiali, 639 alpini), tre ospedali da campo, ufficiali del comando reggimento, militari con foglio di licenza in tasca: in totale 1532 persone. "Dove si va?" "A Patrasso". La battuta non è divertente, ma sarà  quello il porto in cui si formerà  il convoglio. Malta non è lontana e incombe il pericolo dei sommergibi1i inglesi: tutti vengono istruiti sulla vita di bordo, l'uso del salvagente e le modalità  per l'afflusso alle scialuppe. E anche a tenere le scarpe slegate e a evitare gli indumenti ingombranti.

La formazione muove alle 13 del 28 marzo 1942: le navi, affiancate per motivi di sicurezza, procedono a zig zag, scortate da un incrociatore e da 4 torpediniere, che lanciano a intermittenza bombe di profondità . La copertura aerea cessa con l'oscurità , quando tutta la zona è investita da raffiche di vento e di pioggia, che rafforzano il moto o­ndoso.
Luci spente, foschia diffusa, qualche raro squarcio di luna. I primi allarmi giungono dal "Piemonte" e dal "Crispi", sfiorati da due siluri: si infittiscono i lanci delle bombe di profondità . Alle 22,45 i loro rombi sono soverchiati da uno scoppio violentissimo che fa tremare il "Galilea", il più esposto ai pericolo per la sua posizione laterale, proprio mentre sui ponti gli alpini si accingevano a prender sonno, coprendosi con teli. Il siluro ha aperto una grande falla sotto il ponte di comando, attraverso la quale l'acqua irrompe a torrenti: la nave si inclina di 15 gradi, ma non interrompe il movimento. A causa della burrasca fallisce il tentativo di portarla ad arenarsi sulla costa. "Non buttatevi in acqua!".

Le urla del personale di bordo hanno poca presa sugli alpini affollati sui ponti: i pochi che sanno nuotare saltano e si allontanano per evitare il risucchio, gli altri vengono sbattuti contro lo scafo o finiscono falciati dalle eliche.
Fermate le macchine, si calano le scialuppe di salvataggio: alcune si sfasciano tra le o­nde mentre altre, troppo gremite, precipitano dall'alto. Poche quelle ricuperate dalle torpediniere più vicine. Vengono anche buttate in acqua zattere e ciambelloni di sughero, ma molti dei rimasti a bordo, sotto shock per la morte dei compagni, rifiutano di lanciarsi: affondano quasi tutti con la nave, che aveva galleggiato per cinque ore.

Si salva invece il sergente Agostino Vaccari, dell'ospedale da campo, che si trova in acqua miracolosamente aggrappato ad alcuni rottami che lo sorreggono fino al mattino. "Fui raccolto da alcuni pescatori che recuperavano i cadaveri galleggianti e mi deposero insieme a loro sulla spiaggia, dove si accorsero che davo ancora segno di vita". Forse avrà  invocato il suo illustre omonimo, salvato dalle acque del Nilo e del Mar Rosso, Mosè Casonato, del btg. "Gemona". "Mi trovai con altri sette su una zattera, ma nel buio della notte i miei compagni scomparvero tutti sotto la violenza del mare. Al mattino vidi su un'altra zattera mio fratello, anche lui del Gemona, proprio mentre comparivano due aerei che ci mitragliarono: non riuscimmo ad avvicinarci".

Alle 14,30 è accostato da una scialuppa: "Va a ramengo, vien su, mòvete, se te sì ancora vivo". Il fratello sarà  raccolto due ore dopo. L'alpino Mario Bearzi s'imbatte in acqua con una figura annaspante con un braccio solo: l'altro era troncato di netto. Lo sente mormorare: "Mandi, pais" prima di vederlo scomparire tra le o­nde. Lui viene raccolto col cappello alpino ancora in testa, da un marinaio: "Ci tenevi proprio, vedo. Te lo sei mica incollato in testa?”. (Dopo trent'anni alpino e marinaio s'incontrano a Camogli senza riconoscersi, ma si incontrano anche i loro ricordi quando torna a galla l'episodio del cappello e i due si abbracciano). Sul far dell'alba giungono altri mezzi di soccorso, ma la tragedia ormai si è consumata.

Dei 1.532 imbarcati sul Galilea ne sopravvissero 246. Il Gemona e i nuclei isolati della Julia persero complessivamente 21 ufficiali, 18 sottufficiali e 612 alpini. Le operazioni di soccorso ne salvarono 280 e recuperarono 56 salme; gli ultimi naufraghi issati a bordo erano rimasti in acqua per 18 ore. I cinque piroscafi attraccarono a Bari il mattino del 29 marzo e i reparti si trasferirono sui treni diretti a nord. Nelle zone di reclutamento del Gemona, racconta l'alpino Sandro Toffolon "… la gente ci chiedeva notizie... rispondevamo che gli altri si trovavano nelle tradotte successive" che non sarebbero arrivate mai. I superstiti del "Galilea" si unirono al 9° Alpini e rimpatriarono via terra, attraverso l'Albania e la Iugoslavia.

Il tenente Giovanni De Bernardinis, comandante della 69ª, il più anziano dei sette ufficiali superstiti, fu convocato a Roma per riferire a Mussolini sulla vicenda. Nella capitale entrò in un bar per un bicchierino di incoraggiamento. Il "cicchetto" glielo somministrò invece un tenente colonnello dei bersaglieri che lui, sovrappensiero, non aveva salutato. Il duce concluse l'incontro elogiando senza riserve la divisione miracolo, ma con la mente già  rivolta alla Russia. Là , sulle rive del "placido Don", gli alpini della Julia avranno di fronte tredici russi a testa.

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Un altro approfondimento qui:
http://www.regiamarina.net/others/galil ... lea_it.htm
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Abbadia
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Che si estinguano gli alpini, che passino gli anni, ma ragazzi, vi prego, che cose come queste non siano mai dimenticate.
Voi che siete piu' giovani, portate avanti la memoria, anche quando noi non ce la faremo piu', anche quando noi andremo avanti a rivedere quelle migliaia di penne nere che senza sapere perché sono stati derubati delle loro vite di ragazzi di ventanni, finche' ci sia in vita un solo alpino, che non si scordino queste cose....vi prego !

Abbadia
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fanicchi
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Nell'aprile 2001 la Fanfara della Brigata Alpina Julia di cui in quel periodo facevo parte si trasferì per dieci giorni in Albania, a Durazzo, con anche una puntata di 24 ore in elicottero a Pristina, Kosovo.
Il viaggio fu effettuato in nave civile, Venezia - Durazzo, venti ore circa di navigazione.
Capitò che uno dei nostri alpini, conoscendo la storia e raccontatacela, a mezzanotte propose una cantata solenne a poppa della nave. In effetti una decina di noi oltre che suonatori era anche dei più che discreti coristi, e quel concerto sottovoce nel buio delle acque che ci circondavano e che anni addietro avevano inghiottito parecchi nostri fratelli non lo dimenticherò mai più. Il "Signore delle Cime" non riuscii a finirlo.
Anche perchè in fanfara io ero solo un aggregato, il mio reparto d'appartenenza era proprio il btg. Gemona dell'8° rgt.

alp. David Fanicchi
"I monti sono maestri muti
e fanno discepoli silenziosi"
(Goethe)
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fanicchi
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Il viaggio fu effettuato in nave civile, Venezia - Durazzo, venti ore circa di navigazione.
Capitò che uno dei nostri alpini, conoscendo la storia e raccontatacela, a mezzanotte propose una cantata solenne a poppa della nave. In effetti una decina di noi oltre che suonatori era anche dei più che discreti coristi, e quel concerto sottovoce nel buio delle acque che ci circondavano e che anni addietro avevano inghiottito parecchi nostri fratelli non lo dimenticherò mai più. Il "Signore delle Cime" non riuscii a finirlo.
Anche perchè in fanfara io ero solo un aggregato, il mio reparto d'appartenenza era proprio il btg. Gemona dell'8° rgt.

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