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Luigi
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Il più bello di tutti...

Per Vittorini, uno dei tanti "figli di stronza".
Per chi non dimentica, "il più bello di tutti"
Mandi.
Luigi


Faggioni, un cavaliere alato verso le tenebre
(Geminello Alvi)

Ci sono in aprile dei cieli così nitidi sui quali il giallo si dora ed evolve in un rosso che sfuma per caricarsi, quindi, di una vita che infiamma l'orizzonte e trionfa prima di cedere alla tenebra. Così il 10 aprile del '44 il cielo avvolgeva di cinabro il capitano pilota Carlo Faggioni, mentre ristudiava l'elementare piano di volo dei suoi aerosiluranti. Egli aveva lo sguardo fermo, ma di una praticità  sognante cogli occhi neri beffardi come solo gli italiani hanno. Temerario, decorato di cinque medaglie d'argento, tre di bronzo e croci di ferro tedesche di seconda e prima classe, ma non vi badava. Preciso, si complimentò: almeno la rotta era facile. Via diritti fino al Duomo d'Orvieto, dove c'era da deviare fino a Civitavecchia e ad Anzio: per silurare le navi americane. Dei tredici aerei della sua squadriglia, quattro giorni prima, sette erano stati abbattuti dai Thunderbolt, che per una spiata li attendevano sopra alle colline del Chianti. Ma i rimasti s'erano decisi a proseguire, anche i più inesperti. E però lui pensò suo dovere d'aiutarli: per dargli più assetto al decollo ordinò che fossero riempiti i serbatoi centrali. E per lealtà  li fece riempire anche sul suo aereo, benché fosse in azione più rischioso e la sua gran perizia non lo richiedesse. Alle 22 e 15 iniziarono i decolli. Per aria, mentre nella notte sorgevano le costellazioni. Ecco presto il Tirreno, quindi gli scacchi delle tende e i cannoni delle contraeree e un cargo immenso.
Basso, radente al mare, Faggioni badava solo che il suo siluro potesse sganciarsi diritto dentro la pancia di quel trasporto. Ma il Savoia Marchetti 79 esplose in un lampo come il cinabro del tramonto e il blu delle costellazioni e la sua vita.
Rivide a ritroso il 10 marzo del '44, quando cogli SM79 attaccò i nemici che per lui erano restati quelli. I desueti caccia della Aeronautica repubblicana a difendere le città  dalle bombe che gli alleati seguitavano a gettarci. E prima, invece, a Carrara l'8 di settembre del 1943: la gente in festa che grida la guerra è finita, e pure lui contento: «Magari avessero ragione». Ma lui nella confusione, pignolo, si mise alla ricerca cocciuta di ordini. E obbedì a volare in Sardegna dagli alleati. Ma la sua squadriglia che parte più tardi e i tedeschi che la mitragliano, tre dei suoi abbattuti e lui che rientra. Il dubbio, lo sdegno che monta per il re che scappa e Badoglio; la lealtà . Il ritorno a Carrara; la guerra è più che perduta, e da tempo ma... i morti in guerra: deve essergli leale. E nulla sa degli altri. Volati via e ormai dalla parte degli Alleati, in tale abbondanza di mezzi che li colma di stupore: si chiedono come è stato possibile resistere in guerra tanto a lungo. E lui invece va a Firenze mentre tutti scappano convintosi a rifare squadre di aerosiluranti per l'Aeronautica nazionale repubblicana. Scrive, arrivano gli amici. E dire che solo pochi mesi prima, d'agosto, il medico militare gli aveva imposto di riposarsi per un esaurimento nervoso. Ma c'era già  lei con le gonna con le bretelle e le scarpe di sughero e l'onda dei capelli sulla guancia e lui in licenza: beato, i denti sgranati, e le nocche delle mani a carezzarla.
Lontani i terribili cieli nel brusio dei motori, quando bisognava intendersi a cenni perché non c'erano le radio adatte.
E il 14 giugno del 1942... le navi inglesi e i suoi trimotori a pelo d'acqua: silurate la «Malaya» e la «Argus», diga sul mare, ma fu inutile, i siluri erano sabotati. La caccia, comunque, a braccarli prima e dopo il lancio. Preciso nell'uccidere, ma per amor di patria e ogni volta rischiando la vita: il più bello di tutti. Dal 15 aprile del 1941 al 24 luglio del 1943, ben 21 azioni di siluramento senza sbagliare un lancio per 200 mila tonnellate; mercantili, corazzate; arrivare a ottocento metri, non mollare prima. E Buscaglia, suo amico, l'ira che gli fece prendere nel '41 all'arrivo sull'isola di Rodi, alla 281esima squadriglia: arriva in perfetta formazione, a rischio, per fare lo spaccone, atterra, sbanda, si scontra con tre aerei in sosta. Ma poi la prima azione, quando con l'aereo circonfuso di lampi, silurò 16 mila tonnellate di petroliera e si liberò in acrobazia dei caccia.
Prima: la guerra d'Etiopia, gli scorpioni, la terra così rossa, il caldo, la malaria, i vuoti d'aria e l'orizzonte immenso. E il Savoia Marchetti 79; ad Aviano lo pilotava già  come un caccia: looping, tonneau, giri della morte. Alla scuola di Pisa il 19 agosto 1935 il brevetto di pilotaggio; vent'anni compiuti e il desiderio solo di volare. Tant'è che neanche gli era riuscito di finire il Liceo: sarebbe scaduto il bando di arruolamento. E l'innamorarsi dell'Italia, il crederci, farne immagine di gloria, e Carrara, le cave di marmo che gli entra purissimo e duro nell'anima. E, intorno a lui bambino, i cavatori e suo padre che la sera lo cerca; si trova sulle sue ginocchia a dondolare; e ride. Tutto nel lampo in cui l'aereo cadde a pezzi nel mare. Si sentì cavalcare in alto, a guardare giù la colonna di spruzzi immensa che la coda fece alzare: «Sì forte ella nel mar batte la coda, che fa vicino al ciel l'acqua innalzare; tal che non sa se l'ale in aria snoda, o pur se 'l suo destrier nuota nel mare». Ariosto, Orlando Furioso; Canto X, ottava 106.

(dal Corriere odierno)
"Gli Alpini arrivano a piedi là dove giunge soltanto la fede alata"
(G. Bedeschi)


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jolly46
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Con l’orgoglio di aver portato la stessa uniforme dell’Arma Azzurra, voglio ricordare Carlo Faggioni con le parole sempre attuali della presentazione e della chiusura del libro di Guido Bonvicini dedicato a lui ed ai suoi uomini:

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“Per Faggioni, temo di non saper scrivere le due righe di presentazione senza assumere automaticamente un tono polemico ed inutile e non adatto ai tempi che viviamo.
Faggioni è stato uno dei soldati più valorosi che io abbia conosciuto. Considerava sacro il dogma millenario dell’onore e della fedeltà  alla parola data. Ha pagato eroicamente, e credo di poter dire volutamente, con la vita questa fedeltà .
L’Italia attuale, parte in buonafede e parte in malafede, non è in grado di capire queste cose.”

Torino, 18 marzo 1983

Ten.Col. Ernesto Botto - “Gamba di Ferro”

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“Chi vince rivendica spesso fra i suoi diritti anche quello di dire impunemente falsità  e sciocchezze a danno di chi ha perso; non stupisce che nel nostro paese, dove quelli che parlano sono molti e pochi invece quelli che s’informano, tutta l’azione della parte che stette con la Repubblica Sociale Italiana sia misconosciuta e travolta da una generica condanna. Ma è forse tempo di capire che la follia di chi ebbe allora coraggio è un patrimonio a cui un popolo persuaso di essere soggetto di storia non può rinunciare. La scelta del campo che nulla prometteva se non di obbedire all’impulso più genuino della propria coscienza, fu di tale portata morale da meritare il rispetto di tutti gli avversari in buona fede. Coloro che in quei tempi e in quei reparti vissero ed agirono con animo puro, ebbero chiara l’idea di compiere un sacrificio il cui valore fondamentale stava nella dignità  d’imporlo a se stessi senza limiti ne’ vincoli, seconda volontà  e passione.”
..... E PER RINCALZO IL CUORE!

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