Un altro interprete di quei tristi giorni in Russia ci ha lasciato....
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CUNEO - Un' esistenza dedicata alla memoria, della spedizione di Russia vissuta da ufficiale dell' esercito italiano, della Resistenza, vissuta da partigiano nelle formazioni di Giustizia e Liberta', quella di Nuto Revelli, classe 1919.
Nato a Cuneo, tra montagna e vallate dove fu aspra la guerra di Liberazione, Revelli non penso' soltanto a conservare e tramandare il senso delle sue esperienze, a fissare sulla carta fatti ed emozioni che lo avevano visto protagonista, ma anche a raccogliere pezzi di storia umana che lui vedeva emblematici di un periodo, di un clima storico-culturale, ma anche di una coerenza, intellettuale e morale, che lui considerava un valore di cui dare esempio ai giovani.
Cosi' e' accaduto per il suo ultimo libro, nel 1998, ''Il prete giusto'', dove ha raccontato la vita di don Raimondo Viale, morto nel 1982 dopo anni di miseria e solitudine, di incomprensioni da parte delle stesse gerarchie ecclesiastiche. I suoi libri, da ''La guerra dei poveri'' a ''La strada del Davai'' a ''Il mondo dei vinti'', hanno dato ampia testimonianza delle realta'di miseria e sofferenza umana, durante l' ultima guerra mondiale come nei decenni precedenti dell' Italia contadina.
L'ultimo libro, ''Le due guerre'', la casa editrice Einaudi lo trasse dalle sue lezioni all' Universita' di Torino. Era l' anno accademico 1985-1986 e la storia della Resistenza era finita sotto la coltre pesante della retorica e dell' ufficialita', con la sua ricorrenza, ripetitiva e uniforme, ogni 25 aprile. Fu allora che il mondo accademico penso' a Nuto Revelli come a un testimone che poteva ringiovanire la memoria di quel tempo. Le sue lezioni furono un successo.
Anche Brescia dedica un tributo a Nuto Revelli.
Ecco l'articolo pubblicato sul numero odierno di "Bresciaoggi":
Venerdì 6 Febbraio 2004
È morto la scorsa notte all’ospedale di Cuneo lo scrittore Nuto Revelli . Aveva 84 anni. Era ricoverato da oltre dieci giorni per l’aggravarsi delle condizioni di salute. Tra i suoi libri più famosi «Mai tardi. Diario di un alpino in Russia» del ’46, «La guerra dei poveri» del ’62 e «Il mondo dei vinti» del ’77. Nato il 21 luglio del 1919, Revelli era rimasto vedovo quattro anni fa. Dopo la morte della moglie Anna le sue condizioni di salute erano regredite. La camera ardente è stata allestita nell’ospedale di Cuneo. Le esequie, per suo volere, si svolgeranno in forma strettamente privata oggi pomeriggio alle 13,45. Il corteo compirà una sola sosta, davanti al monumento della Resistenza, proseguendo poi per Spinetta dove avverrà la tumulazione nella tomba di famiglia. Qui è previsto l’intervento del figlio Marco, professore universitario a Torino, scrittore e saggista.
Le guerre che hanno costituito il tema centrale della scrittura di Revelli sono quella dal 1940 al ’43, che lo vide ufficiale in Russia, e la Resistenza al fascismo, dal ’43 al ’45. Revelli ricordava spesso che l’anno di passaggio dall’una all’altra non voltò soltanto una pagina di storia nazionale ma anche la sua, intima, personale. Revelli era entrato in guerra con la divisa dell’esercito, lui uscito dall’Accademia di Modena, e ne uscì da partigiano, formazione Giustizia e libertà . Dopo la guerra aveva militato nel Partito d’azione. Poi l’impegno culturale abbinato, curiosamente, all’attività come commerciante di metalli.
Il legame con Brescia era forte, profondo, ed era stato mediato da Guido Vastapane: anche lui piemontese e partigiano, approdato a Brescia come responsabile della Seat Pagine Gialle. Era stato Vastapane a portare Revelli alla fondazione di Gino Micheletti, a fargli conoscere storici e studiosi. Ma le frequentazioni bresciane erano state mediate anche da Alberto Bianco, direttore della filiale bresciana della Olivetti, ex comandante partigiano in Piemonte e amico di Revelli.
Due circoli, due gruppi distinti ma con forti intrecci amicali che si saldavano nelle vacanze estive attorno alla villa di Bianco a Valdieri nel cuneese. Sandro Fontana, presidente della Fondazione Micheletti, ricorda: «Con Revelli ho trovato una grande sintonia. Dopo l’incontro con Salvemini, che mi aveva indirizzato a studi sul mondo contadino, avevo pubblicato alcuni articoli sulla rivista "Il Ponte" diretta da Piero Calamandrei. Raccoglievo testimonianze di figure del mondo contadino. Da lì, tramite Vastapane, nacque il contatto con Revelli che divenne ben presto sintonia, amicizia profonda. Revelli aveva conosciuto Gino Micheletti e fra loro era nata una salda amicizia. Li accomunava l’esperienza resistenziale, l’amore quasi religioso per i ceti popolari, la passione per la ricerca. Revelli aveva una grande apertura, sul piano intellettuale e sociale, ed aveva la capacità di stare sempre agganciato ai problemi concreti, della gente comune». Fra la Fondazione Micheletti e l’Istituto della Resistenza di Cuneo (direttore Michele Calandri, "anima" Nuto Revelli) era nata una collaborazione tuttora fattiva.
L’altro tramite bresciano di Revelli era Alberto Bianco, inquilino (e poi amico strettissimo) di Bruno Mori e della moglie Margherita Bravi. Paolo Mori (consigliere Verde), figlio della coppia, ricorda: «D’estate Bianco ci ospitava nella sua casa di Valdieri: le cene lì, e al Desertetto poco lontano, erano memorabili. Lì si riunivano gli ex comandanti partigiani di Giustizia e libertà : Alberto Bianco, sui fratello Dante Livio, Giorgio Agosti, Fausto Dalmazzo, Nuto Revelli. Revelli, insieme a Alberto Bianco, era quello con più carisma, il più "comandante". A me ragazzo appariva deciso, persino un po’ burbero, capace di prendere decisioni dure».
La madre di Paolo Mori, Margherita Bravi, ricorda alcuni aneddoti: «Nuto aveva voluto venire a Brescia per i funerali delle vittime di piazza Loggia, ed era meravigliato e compiaciuto del fatto che la gente avesse fischiato il presidente Leone. Ci siamo conosciuti nel ’57, aveva temperamento. Se gli accennavi ai fascisti lui si arrabbiava subito. Era attaccatissimo a Marco, figlio unico. Ricordo che nel ’61 assistemmo a una sfilata a Torino che ricordava il centenario di Torino capitale. Sfilavano anche i partigiani, si tenevano a braccetto, lui era nella prima fila. Ha guardato verso il balcone del secondo piano della Olivetti dove eravamo noi con sua moglie, e subito ci ha chiesto gridando dov’era Marco, come mai non fosse lì». L’ultimo contatto telefonico è dell’estate scorsa: «Avevo appena finito di leggere il suo ultimo libro "Tra le due guerre" - dice Margherita Bravi - e avevo scoperto che avevamo praticato in gioventù gli stessi sport, lancio del disco e del giavellotto. Abbiamo scherzato. Lui era già su una sedia a rotelle».
Anche il sindaco Paolo Corsini conosceva da trent’anni lo scrittore partigiano: «Il nostro primo incontro risale all’inizio degli anni Settanta. Io e Gianfranco Porta, per la Cooperativa popolare di cultura, avevamo organizzato al teatro Sociale una serata dedicate alle testimonianze sulla guerra e sulla Resistenza. Lui era intervenuto. Poi c’eravamo incontrati in occasione di convegni, come quello di metà anni Ottanta sulla nuova destra, dove c’erano relazioni di Bobbio, di Marco Revelli, mia. Ricordo una lunga conversazione con lui dopo la pubblicazione del suo libro "Il disperso di Marbug". Negli ultimi anni mi tenevo informato sulle sue condizioni di salute attraverso il figlio Marco. Era un intransigente: un uomo di inflessibili principi, di straordinaria onestà e rettitudine intellettuale. E per una generazione di studiosi bresciani è stato un punto di riferimento, per la sua capacità di usare, in modo magistrale, le testimonianze orali».
Alla prossima.
...Ma gli alpini non hanno paura
Art. Marco Zanetti
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