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La guerra dei forti

Dalla segnalazione di Andrea Cavalli

Leonardo Malatesta



LA GUERRA DEI FORTI



DAL 1870 ALLA GRANDE GUERRA

LE FORTIFICAZIONI ITALIANE E AUSTRIACHE

NEGLI ARCHIVI PRIVATI E MILITARI









320 pagg. ill.

Formato 16,5x24

Prima edizione: ottobre 2003

ISBN 88-88657-11-8

€ 22,50





L’opera



Le strutture difensive italiane e austriache realizzate dal 1870 fino allo scoppio della prima guerra mondiale. Strategie, materiali, comunicazioni, architetture, artiglierie e modalità  di schieramento di due eserciti, messi a confronto grazie all’impiego di archivi militari, pubblici e privati, in gran parte ancora inediti.

L’opera procede in modo comparativo, evidenziando pregi e difetti, innovazioni e tecnologie delle postazioni fortificate in Valsugana, sull’altipiano di Asiago e nelle zone di Posina e Tonezza (per l’Italia), di Folgaria, Lavarone, Luserna e Vezzena per l’esercito avversario. Informazioni per certi versi avvincenti e insospettate si accompagnano all’analisi della politica militare dei due Paesi e degli eventi bellici che cambiarono il volto dell’Europa. Non mancano accenni ricchi di suggestione alla vita nei forti, spesso macchiata da eventi drammaticamente imprevedibili.







L’autore



Leonardo Malatesta è nato nel 1978 a Malo (Vicenza). Nel 2001 all’università  Ca’ Foscari di Venezia ha conseguito la laurea in storia militare, disciplina di cui è appassionato studioso con particolare riferimento alla storia militare italiana dal 1848 ai giorni nostri.

Collabora con numerose riviste di settore per cui ha pubblicato saggi di politica militare e monografie. Oltre a La guerra dei forti, con Nordpress sta sviluppando diversi progetti editoriali.

È membro di istituti e associazioni culturali come la Società  Italiana di Storia Militare, la Società  di Studi Fiumani, la Society for Military History (U.S.A.), la Società  Storica della Guerra Bianca e la United States Naval Institute Indipendent Forum for Sea Service (U.S.A.).





Dall’opera



«Le granate mugolano ed esplodono e noi ci inginocchiano sotto il parapetto, per ripararci dalle schegge. Tutti i forti vengono battuti e i punti di appoggio sono particolarmente presi di mira come mai in precedenza. Ogni scoppio ha su di noi l’effetto di un poderoso pugno sulla testa. Le orecchie fischiano, le vene della fronte s’inturgidiscono, il sangue esce dalle orecchie. Di tanto in tanto qualcuno si sente male e deve bere del rum per poter rimanere in piedi. Sei ore passate nell’osservatorio servono a espiare tutti i peccati che un uomo normale può commettere durante una vita intera».



Fritz Weber

PRESENTAZIONE



Poco meno di un secolo fa Enrico Rocchi, uno dei più influenti ingegneri militari del suo tempo (l’analisi di un suo modello di fortificazione permanente in montagna occupa una parte significativa del capitolo 4 di questo volume) e uno dei maggiori, se non il maggiore storico italiano dell’architettura militare di tutti i tempi, sottolineava in un’opera intitolata Le fonti storiche dell'architettura militare che «fra le diverse parti dell'arte della guerra, la fortificazione è senza dubbio quella che riveste forme più complesse», se non più contraddittorie, dal momento che era anche una sua convinzione che «la fortificazione, sebbene parte dell'arte della guerra, ha carattere pacifico per eccellenza».

Il «contenuto» della fortificazione era identificato da Rocchi, va da sé, nell’architettura, ma ricordava anche che «carattere e scopo» della stessa si potevano comprendere soltanto se si guardava a orizzonti più ampi di quelli suggeriti da uno studio circoscritto alle tecniche di costruzione.

In particolare, Rocchi insisteva sul fatto che la fortificazione «è una manifestazione delle esigenze di guerra e il riflesso delle condizioni militari dell'epoca»: anzi da buon positivista sosteneva a questo proposito una tesi quanto mai impegnativa, la tesi, cioè, che «i suoi ordinamenti rispecchiano fedelmente lo stato della società » e della politica (poneva, ad esempio, i castelli del Medioevo in relazione alle condizioni socio-politiche dell'epoca, «che portavano al frazionamento della sovranità »).

Inoltre, l’autore de Le fonti storiche dell'architettura militare richiamava anche un fondamentale postulato metodologico, vale a dire che «la storia delle armi e dei mezzi d'attacco è guida alla storia dell'architettura militare» che, in altre parole, in quanto «arte difensiva», la fortificazione si era storicamente sviluppata in risposta dialettica all’evoluzione delle armi di distruzione e che quindi non poteva darsi una storia dell’architettura militare senza una storia parallela dell’artiglieria (se avesse scritto la sua opera qualche anno più tardi Rocchi avrebbe certamente preso in considerazione, accanto all’artiglieria, anche la grande novità  del primo Novecento, l’arma aerea).

Che la magistrale lezione di Rocchi sia ancora attuale nelle sue linee di fondo, lo testimonia questo studio di Leonardo Malatesta su La guerra dei forti, in cui l’autore ricostruisce le vicende delle opere fortificate italiane e austriache del settore Veneto-Trentino dal 1870 alla Grande Guerra compresa. Dall’indice dell’opera emerge una struttura, che abbraccia capitoli sia di taglio politico (i capitoli «paralleli» 2 e 3 dedicati, rispettivamente, a La politica militare italiana dal 1870 al 1915 e a La politica militare austriaca dal 1870 al 1915) che relativi all’analisi delle fortificazioni da un punto di vista progettuale (il capitolo 4 si occupa de L’architettura militare italiana e i suoi modelli costruttivi) ed effettuale (i capitoli 5 e 6 illustrano la costruzione dei forti italiani ed austriaci negli anni immediatamente precedenti la prima guerra mondiale) e alla storia delle artiglierie, con una particolare attenzione, come è logico, per l’artiglieria da fortezza (i capitoli 7 e 8 prendono in esame, rispettivamente, la situazione italiana e quella austriaca).

Lo snodo centrale dell’opera di Malatesta è il capitolo 9, La prova del fuoco, non tanto perché si presenta come il più ampio del libro (più di cinquanta pagine), ma perché permette di tirare le fila - e di sottoporre ad una verifica sul terreno della ricostruzione puntuale degli avvenimenti della grande guerra - delle «forme […] complesse» della fortificazione, dalla politica militare alle tecniche di costruzione e all’artiglieria.

Come sottolinea Malatesta nella coda delle Conclusioni, «la prova del fuoco» fu in larga misura negativa per le fortificazioni italiane, che non solo si rivelarono costruite in base a criteri, che non avevano tenuto il passo con i progressi delle artiglierie austriache, ma che per di più erano state realizzate, diversamente da quelle del nemico, in ordine sparso, senza che potessero efficacemente sorreggersi a vicenda tanto in fase difensiva che offensiva.

A tutto ciò bisogna aggiungere anche la distratta attenzione del comando supremo italiano per la guerra in montagna, un limite particolarmente evidente nel caso di Luigi Cadorna, come testimoniano i mal coordinati attacchi dei primi mesi del conflitto sul fronte dell’altipiano d’Asiago e l’impatto della Strafexpedition, di una sorpresa strategica che rischiò di compromettere tutta l’impostazione italiana della guerra.

Frutto di una grande passione per la storia militare, che ha spinto l’autore a condurre ricerche archivistiche quanto mai ampie e meritorie anche presso privati, La guerra dei forti si raccomanda, oltre che per gli aspetti di metodo messi precedentemente in luce, anche perché l’analisi comparata dei casi italiano e austriaco ha permesso a Malatesta di approdare a una visione articolata e globale del tema, una visione che è quasi sempre fuori della portata di indagini sull’architettura militare che - come risulta anche dall’estesa bibliografia raccolta dall’autore e dalle sue considerazioni storiografiche - si sono di regola limitate a prendere in esame un versante tutt’al più nazionale, se non esclusivamente locale. È anche rispetto a questa lettura riduttiva delle «forme […] complesse» della fortificazione messe in evidenza da Rocchi che risalta l’importanza del contributo di Malatesta.





Piero Del Negro





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