Marco
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Centomila gavette di ghiaccio e altro

Dopo aver letto e riletto "Centomila gavette di ghiaccio" ho capito che questo libro è il migliore che Bedeschi abbia mai scritto (secondo me). Vorrei sapere cosa ne pensate...
Ah, inoltre sto cercando qualcuno che abbia uno "stemma" della mitica Julia. Ve ne sarei eternamente grato!!!! :D
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axtolf
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Su centomila gavette di ghiaccio devo dire che le parole si sprecano. Nessun appellativo descrive in maniera esaustiva quello che questo libro significa per le truppe alpine e per i ricordi dei nostri reparti. Ti consiglio di leggere anche il peso dello zaino sempre di Bedeschi e anche mai tardi di Nuto Revelli. Esistono altri libri piu' tecnici magari, ma molto interessanti sulla campagna di Russia. Un esempio è tutti i vivi all'assalto.

Per lo stemma della Julia, cosa ti serve? Distintivo metallico, scudetto da braccio, crest???
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Marco
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Ho già  letto il peso dello zaino e devo dire che l'ho trovato molto bello ed esauriente. Inoltre ho letto anche "La strada del davai" di Revelli e anche il suo ultimo libro "Le due guerre" e anche "Mai tardi". Vorrei comunque una tua opinione su "Tutti i vivi all'assalto".
Sto cercando un distintivo metallico. Me lo puoi procurare?
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Federico
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Marco, ciao e benvenuto.

Se posso darti un ulteriore consiglio, io fossi in te leggerei i seguenti testi.

Fronte Russo, c'ero anch'io (Voll. 1 e 2),

Nikolajewka, c'ero anch'io

entrambi a cura del "nostro" Giulio Bedeschi, editi da Mursia. Si tratta di tre bei libroni in cui sono raccolti i ricordi dei reduci. Si tratta direi di un migliaio di resoconti dal vivo. si va dalla relazione ufficiale scritta da un Generale, alle poche righe scritte da un conducente. Riguardano quasi tutte le Unità  dell'ARMIR. Io li ho sempre trovati estrememente interessanti.

Di taglio completamente differente, e scritto dallo storico A. Massignani, consiglio l'interessantissimo:

Alpini e tedeschi sul Don.

Documenti e testimonianze sulla ritirata del Corpo d'armata alpino e del XXIV Panzerkorps germanico in Russia nel gennaio 1943.

L'editore è Rossato.

Ciao e buona lettura.
Art. Federico
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Credo che le centomila gavette sia uno dei libri piuù belli che ho letto. Sicuramente quello che ho riletto più volte.
Non condivido però l'opinione su Il peso dello zaino. Mi pare retorico, ridondante e assai amaro.
Marco
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Sicuramente abbiamo opinioni diverse su "Il peso dello zaino" ma siamo d'accordo su "Centomila gavette di ghiaccio". Mi piacerebbe sapere che cosa intendi per: retorico, ridondante e assai amaro.
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Mauro
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"Centonila gavette di ghiaccio": ho ripreso a leggerlo dopo una breve pausa dovuta all'atmosfera creata con la guerra in Iraq.
Sarà  strano, ma non riuscivo più ad andare avanti con il libro durante quel periodo.
Lo sto leggendo soprattuto sulla metro da e per l'ufficio, e spesso mi viene la pelle d'oca....devo ricordarmi però di scendere alla fermata.
Incredibile.
Dio creò l'alpino, lo mise sulla montagna e poi gli disse arrangiati.
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Mauro
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Be' l'ultima frase del libro la definirei agghiacciante (se almeno è concesso definirla).
W l'Italia?
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Lele
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Lo sto leggendo ora....fantastico!!!!!


.........
- Devo rientrare al mio battaglione?- chiese Serri
- No, sei trasferito a un reggimento di un'altra divisione.........
.........
- Che reggimento è? - chiese Serri
- D'Alpini - disse il capitano.........
- Di quale divisione?
- Julia.
- Julia? - ripeté Serri quasi con un grido.
Il nome enorme gli calò sulle spalle, gli prese il cuore scuotendoglielo in cento battiti.
- ho capito; mi dispiace perderti - concluse il capitano medico. Ma lasciandosi sfuggire un sorriso aggiunse:
- Però ti dico che se fossi giovane farei come hai deciso tu: la Julia è la Julia, sangue di Dio! E che Dio te la mandi buona, figliolo.
.........
Erano soldati al pari di ogni altro, gli alpini della Julia; solamente, come tutti gli alpini, portavano uno strano cappello di feltro a larga tesa, all'indietro sollevata e in avanti ricadente, ornato di una penna nera appiccicata a punta in su sul lato sinistro del cocuzzolo.
Nelle intenzioni allusive di chi la prescrisse, la penna doveva essere d'aquila; ma in effetto gli alpini, ignari d'ogni complicazione e spregiatori d'ogni retorica, collocavano sopra l'ala penne di corvo, di gallina, di tacchino e di qualunque altro pennuto in cui il buon Dio facesse imbattere lungo le vie della guerra, nere o d'altro colore purché fossero penne lunghe e diritte e stessero a indicare da lontano che s'avanzava un alpino.
In pratica, la penna sul cappello resisteva rigida e lustra per poco tempo, ben presto si riduceva a un mozzicone malconcio; e qui cominciavano tutti i guai degli alpini che facevano la guerra: perché, a osservarli da vicino, si capiva subito che in pace e in guerra gli alpini potevano distaccarsi da tutto meno che dal loro cappello per sbilenco e stravolto che fosse; anzi!

E' un tutt'uno con l'uomo, il cappello; tanto che finite le guerre e deposto il grigioverde, il cappello resta al posto d'onore nelle baite alpestri come nelle case di città , distaccato dal chiodo o levato nel cassetto con mano gelosa nelle circostanze speciali, ad esempio per ritrovarsi tra alpini o per imporlo con ben mascherata commozione sul capo del figlioletto o addirittura dell'ultimo nipote, per vedere quanto gli manca da crescere e se sarà  un bell'alpino; bello poi, a questo punto, significa somigliante al padre o al nonno, che è il padrone del cappello.
C'è una ragione, naturalmente, per tutto ciò; ce ne sono molte. La prima è che dal momento in cui il magazziniere lo sbatte in testa al bocia giunto dalla sua valle alla caserma, il cappello fa la vita dell'alpino; sembra una cosa da niente, a dirlo, ma mettetevi in cosa a un mulo e andate in giro a fare la guerra, e poi saprete. Vi succede allora di vedere che col sole, sia anche quello del centro d'Africa, l'alpino non conosce caschi di sughero o altri arnesi del genere, ma tiene in testa il suo bravo cappello di feltro bollente, rivoltandolo tutt'al più all'indietro affinché l'ala ripari la nuca, e ampia tesa dinanzi agli occhi non dia l'impressione di soffocare; e con la pioggia serve da ombrello e da grondaia; con la neve, da tetto unico e solo per l'alpino che va su i monti.
Posto in bilico fra naso e fronte quando l'alpino è sdraiato a dormire sul sole e all'aria ed ha per letto le pietre o il fango, con la piccola striscia d'ombra che fa schermo sugli occhi è quanto resta dei ricordi di casa, è il cubicolo minimo che protegge soltanto le pupille, ma col raccolto tepore fa chiudere le palpebre sul sogno del morbido letto lontano, della stanza riparata e delle imposte serrate a far più fondo il sonno.
E se l'alpino ha sete, una sapiente manata sul cocuzzolo ne fa una coppa, buona per attingere acqua quando c'è ressa attorno al pozzo o si balza un istante fuori dei ranghi, durante le marce, verso il vicino ruscello; eccellente perfino a raccogliere, dicano quel che vogliono il capitano e il medico, la pasta asciutta e addirittura la minestra in brodo - non si scandalizzi nessuno, succede, succede! - nei casi in cui l'ultima latta finisce i suoi servigi sotto una raffica di mitraglia.
E' tanto amico e compagno, il cappello, che gli si farebbe un torto a sostituirlo con l'elmetto, in trincea; nessuno dice che il feltro ripari dalle pallottole più che l'acciaio, siamo d'accordo, ma è proprio bello averlo in testa a quattro salti dai nemici, ci si sente più alpini, e pare che il fischio rabbioso debba passare sempre due dita più in là , per non bucarlo; è così che dall'altra parte il nemico vede spuntare dalla trincea quel cappello curioso e quella penna mal ridotta che, a vederla riaffiorare sempre da capo per quanto si spari e si tempesti, sembra che venga a fare il solletico sotto il mento, e viene voglia di scaraventarle addosso l'inferno e farla finita una buona volta, ma fa anche pensare: accidenti, non mollano proprio mai, questi maledetti alpini!
E' tutto così, insomma; di cappelli e di uomini ne esistono centomila tipi a questo mondo, ma di alpini e di cappelli come il loro ce n'e' una specie sola, che nasce e resta unica intorno ai monti d'Italia. Ci vuole pazienza, bisogna prenderli come sono, come il buon Dio li ha voluti, l'uno e l'altro; e se a volte sembra che tutti e due si diano un po' troppo arie per via di quella penna, bisogna concludere che non è vero, prova ne sia che spesso quel cappello lo si fa usare persino da paniere per metterci dentro le sei uova o magari le patate ancora sporche di terra, coem se fosse la sporta della serva; bisogna pensare che tante volte sta a galla su un mucchio di bende e non calza più perché la testa del padrone, sotto, s'è mezza sfasciata per fare il suo dovere.
Bisogna anche sapere che quel cappello, a guardarlo, dice giovinezza per tutto il tempo della vita, e a calcarselo di nuovo un po' di traverso fra i due orecchi col vecchio gesto spavaldo, gli anni calano che è un piacere; e alla fine, quando non è proprio più il caso di piantarlo sulla testa, vuol dire che l'alpino ormai è morto, poveretto; e quasi sempre, mandriano o ministro che sia, se lo fa ancora mettere sopra la cassa e sta a dire che chi c'e' dentro era, in fondo, un buon uomo, allegro, in gamba, con un fegato sano e un cuore così; sta a dire che, morto il suo padrone, vorrebbe andargli dietro ma invece resta in famiglia, per ricordo; e che ormai, se non riesce neppure lui a ridestare l'alpino disteso, non esiste più neppure un filo di speranza, fino alla fanfare del giudizio universale non lo risveglia e lo scuote più nessuno: c'è un alpino di meno sulla terra.
A non voler contare il figlio che, polpacciuto e tracagnotto, brontolone e testardo com'è, vien su tal quale il suo padre buonanima; e già  al passo si vede che sta crescendo giorno per giorno “penna nera” senza fallo.
Come ai loro tempi erano suo padre e suo nonno, e tutti i maschi di casa, in fin dei conti; tutti alpini spaccati, figli della montagna dura e selvosa che dà  la vita e la toglie a suo piacimento, o la regala al piano per germinarne altra; inesauribile, essa che è di pietra e vento, impasta quindi i suoi uomini di durezza e di sogno.
Nascono e crescono così dal grembo, come gli abeti, le “penne nere”; che per la loro terra e l'intero mondo sono poi gli alpini; gli alpini d'Italia.
.........
Alp. Malaguti Daniele
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L'ho letto almeno 3 volte. E tutte le volte mi sono commosso, pensando ai nostri nonni.

:(
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E' anche leggendo pezzi come questo, di rara carica emotiva, che uno fa la scelta di fare l'alpino. Si diventa parte di qualcosa di speciale... ragazzi, sarò anche infantile, ma non vedo l'ora (- 35 giorni...)!
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Pierpa ha scritto:E' anche leggendo pezzi come questo, di rara carica emotiva, che uno fa la scelta di fare l'alpino. Si diventa parte di qualcosa di speciale... ragazzi, sarò anche infantile, ma non vedo l'ora (- 35 giorni...)!
:lol: :lol: :lol:

Perdonami la battuta, Pierpa, ma se comici a contare i giorni da prima di partire, mi sa che rischi di trovare davvero lungo :lol: :lol: :lol:

Scherzi a parte: ti auguro una naja intensa ed interessante, senza troppi tempi morti (che sono deleteri per l'umore), Insomma: che ti passi alla grande.

Ciao
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Beh, diciamo che ho fatto apposta dai. Però sono molto entusiasta :wink:
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Caro Pierpa, è grazie a te che veci come noi guardano al futuro degli alpini con un po' più di speranza...

Grazie.
I miei migliori in bocca al lupo per la tua naja. Goditi ogni momento, anche quello più rognoso, perchè quando avrai finito ti mancherà  pure quello.

:wink:
C.le Lorenzo
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Pierpa ha scritto:Beh, diciamo che ho fatto apposta dai. Però sono molto entusiasta :wink:
Tranquillo, avevo capito.

Rinnovo l'augurio di passartela bene, nella maniera che speri.

Ciao
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