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Detto ... fatto!

L'opera di S. Martino a Craoretto era inserita nella zona collinare fra Spessa e Dolegna, ai margini della riserva naturale di Bosco Romagno.

Una delle postazioni P (la P2) era mimetizzata in parte da una baracca in legno all'ingresso e per la restante parte da una collinetta. Puntava il pezzo, quando in batteria, sulla strada proveniente dall'abitato di Craoretto. Tale postazione era costantemente sorvegliata da un fante armato con colpo in canna (in tale postazione, in apposita riservetta munizioni, era conservato il munizionamento di pronto impiego).

La postazione era posta esattamente davanti alla casermetta del posto di guardia (che noi chiamavamo "distaccamento di guardia") anche questa con sorveglianza armata, che veniva regolarmente cambiata ogni settimana.
Presumo che tale consuetudine sia esistita anche nei reparti alpini d'arresto.

Tutta l'opera (l'insieme delle varie postazioni) godeva di un mascheramento naturale dovuto all'andamento collinare del luogo (il PCO era ricavato seminterrato in una montagnola ricoperta di alberi) e le postazioni M dalla strada quasi non si vedevano, inserite com'erano nel bosco.
Il tutto, si noti, era a cavallo della strada di cui sopra.
E fin qui presumo di non aver detto, in pratica, nulla di nuovo.

Le postazioni da mortaio, invece, erano inserite più in profondità  nel Bosco Romagno stesso: in pratica erano poco più che degli scavi, delle piccole piazzole in cemento, incavate nel terreno, a memoria lunghe circa 2/3 m e larghe circa 2. Mi pare avessero una forma a biscotto, arrotondata alle due estremità .
Esistevano anche un paio di punti prefissati per la squadra bazooka.

Nota a margine: ricordo che spesso, durante i pattugliamenti alle varie postazioni, soprattutto la domenica, dovevamo allontanare turisti e curiosi che, entrando nel bosco, trovano le varie postazioni e volevano ... capire ... oppure che si fermavano a bivaccare nonostante fosse zona "off limits" (il luogo, ovviamente, era letteralmente tempestato di cartelli "DIVIETO DI ... tutto").
Tantissimi poi si fermavano incuriositi a vedere 'sta casermetta sperduta con un po' di militari ... ovviamente, anche questi venivano "severamente" (???) cacciati.

Dell'elenco delle casermette che hai postato:

52° Alpi e derivati
Canebola, loc. Cernavoda, Platischis, Lusevera, Passo di Tanamea, loc. Speca, Castelmonte e Prepotto


io conosco alcune di quelle poi passate al Fornovo:

Castelmonte: presidiata da una delle Cp. del dist. di Purgessimo
Prepotto: presidiata da una delle Cp. di Ipplis (mi pare di ricordare la 1^)
Barbianis (?): presidiata da una delle Cp. di Ipplis (mi pare la 2^)
non da te nominata
Craoretto: presidiata da una delle Cp. di Ipplis (la 4^, io c'ero ...).

Secondo me, ne esisteva una per ogni compagnia "operativa" di ogni btg. Qui ora sta a capire, se si vogliono trovare quante erano, quante erano le Cp. operative. Forse anche qui, incrociando più dati, si potrà  avere un quadro abbastanza completo.

Per quanto riguarda il 120° posso dare la seguente lista (al 1983):

Comando di Ipplis
=================
CCS
1 ^ Compagnia - operativa
2 ^ Compagnia - operativa
4 ^ Compagnia - operativa

Distaccamento di Purgessimo
===========================
10 ^ Compagnia - operativa
11 ^ Compagnia - operativa
12 ^ Compagnia - operativa

La 3^, la 5^, la 6^, la 7^, la 8^ e la 9^ Compagnia erano in posizione quadro (noi le chiamavamo "fantasma").

Attendo commenti! Chi è a conoscenza di altri "distaccamenti di guardia" ?

Un grossissimo ciao a tutti.
Maurizio, fante d'arresto ("rottamato" NATO)
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Gio
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Grazie Mau.
Sei andato oltre ogni aspettativa.Spero che il tuo post sia d'esempio a tanti tuoi "colleghi".Se ognuno facesse come te veramente si potrebbe avere un quadro completo.
A presto Gio
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Gio
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Non potendo parlare della "mia opera"né del "mio sbarramento"per il semplice fatto che ho fatto il militare in tutt'altra specialità  riporto quanto mi è stato inviato tempo fa sull'argomento.Testuale.Ho solo aperto una parentesi con una mia noticina in quanto si parlava del Friuli e la loc.citata era in A.Adige.
Gio

Dal libro : "STORIA MILITARE DELLA PRIMA REPUBBLICA 1943-93" del Prof. Virginio Ilari

p. 61: "Nel 1954 venne costituita la Scuola Unica Interforze per la Difesa ABC e l' Esercito mise allo studio una nuova regolamentazione tattica. Questa fu codificata nel 1958-60 nelle 3 pubblicazioni della "SERIE 600", che prevedeva l'impiego di armi nucleari in terreni di pianura e di collina, anche fortificati.... sempre nel 1963 furono spiegate almeno 30 "MINE ATOMICHE DA DEMOLIZIONE (ADM)", per lo sbarramento dei valichi di montagna con la Jugoslavia, in media 1 ogni 2,5 km di fronte. Alcuni dei fornelli previsti (ma non scavati) si trovavano in linea d'aria a 500-1.000 m dalle postazioni presidiate dei "gruppi di sbarramento" italiani".....

P.79 : "La soglia di Gorizia".... le caratteristiche geostrategiche del territorio italiano resero obbligata la scelta di condurre la difesa aeroterrestre al Brennero e fra Isonzo e Tagliamento, a ridosso del confine nord-est. Questo era infatti più difendibile: di ridotta estensione (70 Km) era appoggiato in gran parte all'arco alpino...salvo che nella piana di Gorizia, comunque fortificabile (e fin dagli anni 50 era segretamente pianificata l'occupazione di migliori posizioni difensive avanzate in territorio jugoslavo e austriaco, mediante "cross-border operations”).... perno della difesa era il Monte Fortin nella piana di Gorizia, il Carso e Trieste, la laguna veneta.... La normativa del 1948-50 aboliva la "difesa a fascia" (1940), rinunziava alla continuità  del fuoco e faceva dei capisaldi di battaglione, articolati in 2 ordini, l'elemento portante della posizione di resistenza (profonda 4-5 Km).... ancora la legge 20 ottobre 1949 n. 841 aveva stanziato 100 milioni per opere fortificate.... Negli anni 80 l' esercito manteneva in Alto Adige appena 5 fortificazioni (Colle Isarco; Val Pusteria; Dobbiaco; Anterselva e Versciaco, mentre in Carnia-Friuli c' erano ancora 9 linee fortificate:
- Carso-Basso Isonzo
- Gorizia-M. Calvario
- Confluenza Torre-Natisone
- Tagliamento
- Val Fella-Val Tagliamento
- Val But
- Val Creva-Valle d' Anterselva (forse Valle Drava-Valle d'Anterselva;ma sono in Alto Adige)
con 87 opere tipo A (presidiate) o B (ispezionate). In tutto 6-700 postazioni, ciascuna con un cannone anticarro da 90 mm Mecar e tre mitragliatrici, con una guarnigione di 122 compagnie o distaccamenti "d'arresto" (di cui però solo 1/3 attive)....... Infatti era proprio questa (attacco da nord e nord-est attraverso l'Austria, ndr) la manovra prevista dai piani d'attacco del Patto di Varsavia in vigore nel 1975-1988, come rivelò nel 1990, in una conferenza alla Scuola di Guerra, il Capo dei Servizi Segreti Ungheresi, già  capo di Stato Maggiore della 5^ Armata....

p.144 nel 1962-68 (...) le unità  di posizione furono potenziate come fanteria e guastatori d'arresto.
Da "Le Forze Armate Italiane dal 1945 al 1975 - Struttura e dottrine" di Enea Cerquetti Feltrinelli 1975. Prefazione di Arrigo Boldrini
Pag.189 - Circa l'ostacolo naturale, la memoria ne esaltava l'uso tattico nella situazione atomica, proprio per compensare le diminuite possibilità  di arresto dell'avversario. La fine della cooperazione tra i capisaldi esaltava infine anche il valore della profondità  e della reazione di movimento. A proposito di quest'ultimo fattore, per incrementarlo occorreva rivedere il rapporto tra forze investite sul terreno e forze destinate alle reazioni dinamiche, aumentando queste ultime.
Circa la protezione, questa veniva ricercata con il diradamento, con la corazzatura e con l'interramento - cioè la fortificazione permanente, e campale - e infine col ricorso al combattimento notturno. La concezione della difesa che ne derivava era la seguente: avere uno scaglione avanzato di presa di contatto e di ritardo (formato da unità  di cavalleria blindata) e poi avere una profonda posizione difensiva nella quale logorare, arrestare e se possibile distruggere l'attaccante.
La posizione difensiva doveva prevedere a sua volta: avanstrutture di sicurezza (non precisate); complesso di capisaldi di fanteria (generalmente non cooperanti, ma saldati con la sorveglianza, l'ostacolo e il fuoco a lungo braccio); fuochi convenzionali e atomici (applicati soprattutto negli intervalli fra gli elementi statici, rivolgendo i secondi su obiettivi tatticamente remunerativi); riserve robuste (in prevalenza corazzate, lanciate preferibilmente al contrattacco, al seguito, o non, di esplosioni atomiche, o schierate, in caso di necessità , a scopo di contenimento ); riserve delle grandi unità  di ordine superiore; aviazione tattica. Si aggiungeva che, "qualora imposto dalla situazione, occorreva reiterare il combattimento su una seconda posizione difensiva ubicata a opportuna distanza dalla prima. "
Circa i lineamenti del dispositivo di difesa, dopo la descrizione del settore in avanti, destinato alla presa di contatto, seguiva la descrizione della prima posizione difensiva, che comprendeva una zona di sicurezza ( dove agivano le unità  blindate di presa di contatto) e una posizione di resistenza dove agivano le divisioni di prima schiera con compiti di difesa a oltranza. Nelle posizioni di resistenza, sede di schieramento di quasi tutte le artiglierie, essenziali. s'è visto, erano capisaldi. Questi, in pianura, dovevano essere tenuti, in linea di massima, da battaglioni o da compagnie.
Pag. 195 - A proposito dei terreni fortificati si notava che "a una spiccata capacità  di arresto controcarri fa riscontro nell'opera fortificata una minore idoneità  a sostenere attacchi condotti da pionieri del genio e da fanteria," per cui la fortificazione aveva senso in se, ma solo se inserita entro un caposaldo, e quindi se poteva beneficiare del fuoco contro fanteria e della reazione di movimento dello stesso caposaldo.
Da "Storia dell'Esercito Italiano (1861 - 1990) Oreste Bovio S M E - Uff. Storico 1996
Un cenno, infine, sulla fortificazione permanente del settore di pianura. Nata come ripiego, per conferire una maggiore solidità  alle forze di copertura schierate a sbarramento della soglia di Gorizia, la fortificazione permanente si sviluppò gradatamente fino ad assumere le dimensioni di una grande unità  - sia pure ancorata al terreno ed impossibilitata ad effettuare qualsiasi manovra, ricca però di bocche da fuoco e di armi a tiro teso - ed a costituire l'ossatura della difesa. Per il presidio delle opere fu necessario costituire delle unità  ad hoc, i Reggimenti Fanteria d'Arresto 52° Alpi; 53° Umbria e 73° Lombardia.
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Grazie per le ulteriori informazioni!

Faccio solo una mia piccola considerazione: nel 1983, l'allora Generale di Brigata Oreste Bovio era il comandante della Brigata Mecc. Isonzo! La mia Brigata!
Lo ricordo molto bene: personalmente, ho ricevuto da lui minimo un paio di ispezioni al distaccamento di guardia!

... tuffo al cuore!
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Se qualcuno non ha ancora visitato la pagina, tratta dal sito del 102° corso AUC - SMALP di Aosta: http://members.fortunecity.it/numerouni ... rresto.htm

ne riporto il testo:
ALPINI D'ARRESTO

Quando l'insegnante di arte militare dedicò una lezione su questa specializzazione sì espresse in toni assai cupi. Cominciò con un po' di storia: gli alpini d'arresto erano in origine dei fanti e solo successivamente vennero muniti di penna ed investiti dell'onore di essere alpini.
Continuò con la geografia: gli a/a sono talpe rintanate in caverna ... confinati in Alto Adige e nel Friuli.
Terminò dicendo che gli a/a sono privi di mobilità  e quindi inadatti alle nuove esigenze tattiche.
Dopo tale discorso venimmo bollati dal resto della compagnia come gli "alpinosauri del 2000".
Nonostante ciò noi siamo degni di appartenere a questa specializzazione alla quale i maligni non attribuiscono molta importanza, ma che in realtà  è alpina e degna della penna nera.
"NELLA ROCCIA, COME LA ROCCIA" è il nostro motto che molto concisamente esprime la funzione dell'alpino d'arresto, destinato a presidiare le fortificazioni offrendo il primo baluardo di fronte al nemico.
Riallacciandomi a quanto da me letto su quanto postato qui nel forum, tratto da Filippo Stefani "La storia della dottrina e degli ordinamenti dell'esercito italiano":
L'opera di rivitalizzazione della fortificazione permanente e delle unità  di arresto ... fu uno degli aspetti qualificanti di tutta l'attività  svolta dallo stato maggiore dell'esercito, in particolare negli anni sessanta ...
L'idea base fu che la fortificazione permanente, qualora investita da dispositivi di attacco misti operanti con i procedimenti tipici della tattica d'infiltrazione, non sarebbe stata in grado di svolgere in proprio, dissociata da forze mobili, una durevole ed apprezzabile azione di arresto, e che le forze mobili, a loro volta, avrebbero trovato nella fortificazione permanente l'ossatura della loro sistemazione a difesa, conservando cosi un'alta potenzialità  reattiva da esplicare anche a favore della stessa fortificazione permanente.
Al fine di realizzare il reciproco apporto di potenza tra unità  di arresto e mobili, sarebbe stato indispensabile un pari livello morale e professionale ...
... l'attenzione e la cura costanti per l'efficienza delle unità  di arresto, oltre che far superare alle unità  di arresto quel complesso di inferiorità  fino ad allora avvertito, concorsero a determinare la connessione di base tra unità  mobili e forze di presidio delle opere fortificate ...
Venne cosi meno l'isolamento concettuale fino ad allora esistente.
Mia personale considerazione:
certo, in fondo è tutto vero ... ma la poca stima per le unità  d'arresto in genere (per la fanteria poi ... non ne parliamo), se le cose stavano veramente così, partiva dagli "insegnanti" (a questo punto, per me, solo "se dicenti" tali).
Altro che pari livello morale ... (noi l'avevamo!) ... altro che complesso d'inferiorità  (noi non l'avevamo proprio!) ... ma altri, allora, cosa ne pensavano?

Consentitemi uno sfogo (spero di non essere preso per pazzo o per scoppiato): io mi onoro di aver fatto parte di tale sconosciuto ai più, bistrattato e disciolto Corpo dell'Esercito italiano e sono contento di aver trovato, in questo forum, qualcuno che la pensa come me e che si interessa, ancora, a tale argomento.

Certo, la funzione d'arresto, col tempo, da priorità  dello Stato Maggiore come fu (anni 1690) perse gradatamente importanza e persino la ragione stessa d'esistere (anni 1990), ma BRAVO chi ha scritto che solo dei maligni potevano pensare che fosse di poca importanza: lo era come tante altre specialità  e tanti altri gloriosi Reparti che sono stati, anch'essi, disciolti o fortemente ridimensionati.

Tratto da "Le Forze Armate Italiane dal 1945 al 1975 - Struttura e dottrine" di Enea Cerquetti Feltrinelli:
La posizione difensiva doveva prevedere a sua volta: avanstrutture di sicurezza (non precisate); complesso di capisaldi di fanteria (generalmente non cooperanti, ma saldati con la sorveglianza, l'ostacolo e il fuoco a lungo braccio); fuochi convenzionali e atomici (applicati soprattutto negli intervalli fra gli elementi statici, rivolgendo i secondi su obiettivi tatticamente remunerativi); riserve robuste (in prevalenza corazzate, lanciate preferibilmente al contrattacco, al seguito, o non, di esplosioni atomiche, o schierate, in caso di necessità , a scopo di contenimento ); riserve delle grandi unità  di ordine superiore; aviazione tattica.
Mia personalissima considerazione:
non sono mai venuto personalmente e direttamente a conoscenza (e penso sia così per tanti altri) di posizioni, fornelli o quant'altro predisposto per l'utilizzo di armi atomiche tattiche ... tempo fa, sempre in Internet, mi pare in un forum di "Analisi Difesa", si parlava della stessa cosa.

Se siete arrivati fin qui, grazie (!!!) e chiedo scusa a tutti per la tortura alla quale vi ho sottoposti facendovi leggere sino alla fine questo mio post.
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120Fornovo ha scritto: ...
Se siete arrivati fin qui, grazie (!!!) e chiedo scusa a tutti per la tortura alla quale vi ho sottoposti facendovi leggere sino alla fine questo mio post.
Ma ci mancherebbe pure che uno che posta informazioni e considerazioni di questo tipo dovesse scusarsi!

Grazie a te, e a chi ti ha preceduto nel thread, per la fatica che avete fatto.

Davvero molto interessante.

Ciao
Art. Federico
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Per esperienza e conoscenza posso dire che talvolta (o spesso?)gli "insegnanti di arte militare" non sono propriamente padroni della materia. Gli era stato dato quell'incarico e magari si erano sempre occupati d'altro ................ tanto insegnare agli AUC era considerato spesso tempo perso!

Comunque se quell'insegnante avesse a sua volta studiato, avrebbe scoperto che le prime unità  di frontiera costituite agli inizi degli anni 50 non erano ancora "alpine" (sarebbe accaduto qualche anno dopo con gli alpini da posizione poi diventati d'arresto), ma portavano il cappello alpino con il fregio della fanteria di linea, fiamma diritta fra fucili incrociati e per questo i "veri" alpini li chiamavano "pibigas" da una nota marca di gas in bombole dell'epoca.
Avevano poi mostrine rettangolari verdi bordate di rosso.

Per quanto riguarda l'utilità  delle unità  d'arresto, più di tante spiegazioni basterebbe una visita alle zone dove erano i loro presidi per capire in un attimo la loro vitale funzione.
Ad esempio basterebbe salire sul Monte Fortin, a sud/ovest di Gorizia, un modesto rilievo in mezzo al piano, a sinistra ed a destra i rilievi del Collio e del Carso, le alture dominanti tutte oltre confine, quello era il punto di vulnerabile di tutti i nostri confini (la famosa "soglia di Gorizia") e noi eravamo in posizione completamente "esposta"!!
..... E PER RINCALZO IL CUORE!
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Sulle considerazioni di utilità  dei reparti di arresto si possono scrivere
tonnelate di carta, con opinioni favorevoli o non favorevoli. La realtà 
della cosa penso che stia in mezzo.

Alla fine lo scopo di tutto l'apparato difensivo fisso era quello di ritardare il piu' possibile l'invasore, infliggendo perdite pesanti ai reparti di prima linea e sfondamento, inchiodandoli per un tempo abbastanza lungo da permettere il raggruppamento dei reparti "normali" alle spalle dell'apparato difensivo. Questo si doveva fare sia con le opere fisse, sia con postazioni campali in punti predeterminati, sia attraverso interruzioni in punti strategici. Sui passi e sui ponti erano in alcuni casi stati costruiti degli appositi fornelli da mina, dove inserire la quantità  giusta di esplosivo secondo una tabella, per far saltare il ponte o provocare nel caso del passo, una frana o la distruzione dell'unica strada presente. Il discorso dei fornelli in cui andasse inserita una piccola carica nucleare tattica era apparsa su RID anche in un articolo sulle cariche nucleari da demolizione. Andrea Cavalli che negli alpini d'arresto si è fatto una mezza vita, quando gli ho parlato di questa cosa, si è fatto una grassa risata. A parte non averne mai sentito parlare, non credeva che l'utilizzo di un'arma nucleare su un passo fosse una opzione, soprattutto dovendo far esplodere un'arma nucleare in suolo italiano con tutto quello che ne derivava.
Parlando di questo argomento abbiamo osservato che c'erano tempi in cui le armi nucleari andavano "di moda" e si montavano anche sui missili AA, per un possibile utilizzo contro grandi formazioni di bombardieri in quota. Piu' che altro in quel periodo forse non si consideravano ancora gli effetti
reali delle armi di quel genere ed erano in pochi a saperne realmente le
caratteristiche. Quindi può anche essere che qualcuno abbia pensato di usare armi nucleari per l'interdizine di passi e punti di passaggio ma forse non aveva la conoscenza completa della materia.
Come giustamente ha fatto notare Carlo, ci sono dei punti in cui l'importanza di avere un presidio fisso armato di armi adeguato era importante. Forse i reparti d'arresto non avrebbero stroncato una invasione, ma avrebbero dato il tempo necessario per permettere ad altri reparti di farlo. Questo si attuava purtroppo calcolando grandissime perdite tra i reparti di arresto, si calcolava fino al 90%.

Tornando al discorso fornelli da mina, ne potete vedere andando a Dignano. Ecco una foto:
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e un particolare:
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Mine Atomiche

Non che io sia un esperto in materia, tutt'altro, di mine o armi atomiche in genere.

Ma sull'argomento ho sempre avuto un approccio di tipo economico.

Mi spiego: confrontiamo ad esempio i bombardamenti effettuati su Dresda, in Germania, e su Hirosima, in Giappone.

Entrambe le città  furono praticamente rase al suolo, con perdite di vite umane impressionanti (parecchie centinaia di migliaia).

Se si tralascia il discorso delle radiazioni nocive presenti nell'area per anni e anni dopo al bombardamento (considerazioni che divennero preponderanti su tutto il resto almeno venti anni dopo l'uso bellico di dette armi) la differenza tra le due tragedie sta unicamente nel fatto che Dresda venne bombardata da svariate centinaia di aerei per più di 24 ore, coinvolgendo migliaia di Militari, esposti a tutti i rischi di una missione su territorio nemico.

Ad Hiroshima, invece, fu utilizzato un solo aereo e il tutto durò pochi minuti. Si rischia un solo aereo ed un solo equipaggio e si porta a termine la missione in poco tempo.

La differenza è lampante. Immagino che gli alti papaveri si siano detti: cavoli, ma se io metto una bomba atomica su ogni aereo che ho utilizzato a Dresda, avrei potuto ridurre tutta la Germania, anzi un bel po' di Europa in un cratere fumante nel giro di ore, non di anni! Meglio ancora: per fare quello che prevedo mi possa servire in futuro, non mi serviranno tutti quegli aerei e tutti quegli equipaggi. Me ne basterà  una frazione! E quello che risparmio lo posso utilizzare altrove.

Lo stesso penso si possa applicare alle mine atomiche. Trenta ordigni (quindi trenta nuclei addetti al loro posizionamento) con magari un solo centro dove sta il detonatore poteva rendere inagibile al nemico tutto il fianco nord-est del nostro Paese. Ritengo che (forse! ma non ne sarei sicuro al 100%: penso proprio che il controllo di esse non sarebbe stato in mani nostre) le mine sarebbero state utilizzate in caso di troppo veloce avanzata nemica in relazione all'approntamento della seconda linea Italiana. Una cosa molto più veloce, dai risultati molto più sicuri che il dover far saltare centinaia di ponti, tratti di passi, canali e quant'altro in un area così vasta.

Ripeto: in quegli anni, le alte sfere all'est e all'ovest non è che si preoccupassero (non lo mostravano di certo) poi più di tanto delle radiazioni. La priorità  era il dimostrare di poter infliggere danni spaventosi con pochi mezzi ed in pochissimo tempo.

Saluti
Art. Federico
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In primis, avete visto chi si è iscritto?

caporale istruttore (del 52° btg. f. arr. Alpi) >>>> BENVENUTO DA PARTE MIA!
_____________________________________________________________
Tratto dall'articolo "FRONTE AD EST" di F. Cappellano, apparso su "STORIA MILITARE" (numero di Marzo 2003)

(...)

Dopo il peggioramento delle relazioni diplomatiche tra URSS e Iugoslavia ed il riavvicinamento di Tito ad USA e Gran Bretagna, la NATO prese in considerazione la collaborazione militare iugoslava alla difesa del teatro operativo sud-europeo.

(...)

La collaborazione iugoslava in funzione antisovietica consentì di rafforzare la linea dell'Isonzo, detta azzurra, che correva in parte anche in territorio slavo con andamento dato dagli allineamenti monte Osternig, monte Guarda, monte Iessa, Sabotino, costa adriatica. Lo Stato Maggiore poté, quindi, avviare la progettazione di opere di fortificazione permanente sulle posizioni entro i confini nazionali ed attuare predisposizioni per l'accantonamento di materiali e mezzi in modo da organizzare a difesa i capisaldi in territorio iugoslavo al momento dell'emergenza. Uno studio di massima del settembre 1951, <i>Organizzazione difensiva della fascia di frontiera</i>, prevedeva, per le posizioni entro la linea di confine, l'impiego di postazioni in calcestruzzo tipo "Tobruk" con semicalotta d'acciaio e di blindamenti per pezzo con settore orizzontale di tiro a 60°, mentre, per le postazioni oltre la linea di frontiera, il ricorso a blindamenti per mitragliatrici e per cannoni.

(...)

Sebbene la questione ancora aperta della sovranità  su Trieste avvelenasse i rapporti tra Italia e lugoslavia, nell'ottobre 1953 il Comando NATO del Sud Europa rimaneva dell'opinione che la difesa ad oltranza della linea azzurra andasse organizzata e condotta sulle posizioni di riva sinistra dell'Isonzo, vale a dire in territorio iugoslavo.

(...)

Con la restituzione di Trieste all'Italia, a seguito degli accordi di Londra del 5 ottobre 1954, ed il ritiro di tutte le forze alleate dall'Austria previsto entro breve termine, la NATO abbandonò ogni ipotesi di collaborazione con l'Esercito iugoslavo e di battaglia di retroguardia da condursi in territorio austriaco.

(...)

Nel 1955, la pianificazione operativa di FTASE era orientata verso una difesa avanzata che prevedeva, all'atto dell'emergenza, azioni a corto raggio tendenti a ritardare l'avanzata del nemico oltre confine e lo schieramento di copertura sulle posizioni della linea azzurra, sulle quali cercare poi di consolidare la difesa una volta completata la mobilitazione. In caso di irruzione nemica rapida e violenta, era prevista, in alternativa, una manovra ritardatrice e l'irrigidimento della difesa sulla linea viola appoggiata al corso del fiume Livenza. Lo stato embrionale della sistemazione difensiva permanente sull'Isonzo non dava ancora sufficienti garanzie di tenuta di fronte ad un attacco di sorpresa portato con decisione e dovizia di mezzi.

(...)
Durante il mio servizio militare si "parlava" di postazioni rimaste in territorio iugoslavo (voci dicevano che erano state costruite dagli italiani e che tante in territorio italiano erano state costruite con l'aiuto di manovalanza slava). Finalmente, ne ho avuto prova: dall'articolo mi sembra di capire, però, che in territorio iugoslavo siano state realizzate solo postazioni "pronte" per un eventuale uso, mai rese operative.

Ovviamente, senza confondere tali postazioni con quelle del Vallo del Littorio e della Rupnik Line, se non lo conoscete già , provate a leggere quanto scritto in questo sito:

http://www.valloalpino.com/index.htm

solo la presentazione è in italiano, il resto è in inglese ...

Andando per monti e valli della Slovenia, mi sono spesso imbattuto in opere di fortificazione più o meno evidenti e complesse. Esistono opere risalenti alle campagne napoleoniche, fortificazioni di ogni tipo risalenti alla prima guerra mondiale rimaste testimoni dei ben noti accadimenti bellici del Carso e dell'Isonzo e altre fortificazioni più recenti. Tante, tra queste più recenti, sono ricollegabili al periodo tra le due guerre e alcune sono state costruite dall'esercito jugoslavo tra il 1947 e il 1991.

(...)

Le opere murarie delle fortificazioni non demolite sono comunque in ottimo stato di conservazione: per esempio, in alcuni casi, gli intonaci e la pittura nelle gallerie sono in condizioni talmente buone da sembrare oggetto di periodica manutenzione (!).

(...)
... postazioni che sembrano manutenzionate di recente?
Forse alcune, nel tempo, sono state riutilizzate veramente dall'altra parte.

Per quanto concerne il minamento di ponti o altre costruzioni civili, ricordo molto bene, per averlo visto più volte, passando per andare a Udine, le operazioni di minamento del ponte sul Natisone fra Premariacco e Ipplis, ponte tra l'altro in curva e che dà  un bellissimo scorcio sulla valle del Natisone (a cura del Genio, da info del mio allora Com. di Cp.): non so se vi erano predisposti appositi fornelli analoghi a quello in foto, ma penso sia ragionevole pensare che molti ponti in zona, in caso di attacco, ovviamente sarebbero stati fatti saltare.

La linea viola sul Livenza, ad ovest del Tagliamento, linea di irrigidimento in caso di attacco fulmineo, considerava, come penso, solo una difesa manovrata? Chi ne sa qualcosa in più?
Maurizio, fante d'arresto ("rottamato" NATO)
"Più forte del destino"
motto del 120° btg. f.arr. Fornovo
http://fanteriadarresto.altervista.org/

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