Una simpatica variazione sul tema.
Il Soviet locale ha appena cambiato - per la ventiquattresima volta negli ultimi dieci anni - le modalità di raccolta dei rifiuti. Poichè qualche tempo fa scrivevo di ricordare come fosse l'Italia prima del '92, e come la reputassi migliore di quella attuale, a partire da questo fatto offro un modesto sostegno a tale tesi.
Prima del 1992 accadeva di solito che i liquidi alimentari - acqua, vino, birra e perfino le bevande analcoliche e gassate arrivate al seguito delle truppe d'occupazione - fossero contenuti in bottiglie di vetro. All'acquisto di ognuna di queste, si conferiva oltre al prezzo del contenuto anche una modesta somma a titolo di cauzione per il contenitore.
Una volta consumato il liquido, i casi possibili erano tre:
- si riconsegnava la bottiglia, ricevendo indietro la cauzione;
- si acquistava una nuova confezione, pareggiando in automatico il prezzo del vuoto;
- si tratteneva la bottiglia per i più diversi impieghi, quali l'imbottigliamento del vino in damigiana o la preparazione di simpatici ritrovati da utilizzare al momento dell'immancabile quanto gloriosa rivoluzione proletaria (questi manufatti prendevano il nome da un ex ministro degli esteri del luminoso paese del socialismo); in tal caso la somma andava persa, ma si aveva un contenitore robusto, igienico e riutilizzabile a piacere in cambio (beh, forse nel caso di uso rivoluzionario la riutilizzazione era un po' difficile).
Alla fine, comunque, si pagava la bottiglia una volta.
Cosa accade ora, almeno nel Soviet in cui risiedo?
I liquidi alimentari - perfino il vino, segno inequivocabile dell'abisso in cui siamo caduti - sono spesso raccolti in contenitori di plastica o assimilabili.
Al momento dell'acquisto, essi vengono pagati sotto forma di una quota del prezzo del prodotto (giustamente). E uno.
Poi però, essendo il materiale intrinsecamente scadente, non si possono riutilizzare se non una o due volte al massimo (e non sempre: provate voi a fare la Rivoluzione con le molotov di PET o Tetrapak. Non riesce, inutile impegnarsi); per non contare il fatto che chi compera il vino in cartone o plastica solitamente ignora perfino l'esistenza delle damigiane, e che tanto la rivoluzione proletaria ormai è irrimediabilmente passata di moda. Motivi per cui questi contenitori vanno smaltiti adeguatamente, pagando corrispondente tassa. E due.
Solo che lo smaltimento non è effettuato tramite raccolta porta a porta, ma conferendo i rifiuti presso apposite "campane" (evito qualsiasi commento su una civiltà che dà lo stesso nome allo strumento per raccogliere la "rumenta" e a quello per chiamare gli uomini a Dio). Il che significa riempimento del baule dell'auto e tragitto fino alla piazzola pìù vicina, con evidente impegno di tempo e danaro. E tre.
Qui però non è che i rifiuti scompaiano per magia, anche se probabilmente non pochi pensano così, visto che continuano a deporre la loro mercanzia per terra se i contenitori sono pieni. Qualcuno passa, e si prende i rifiuti perchè ne ricava energia, o nuove merci, che noi paghiamo quando acquistiamo. E quattro.
Morale della favola: sono sicuro che da qualche parte il mio ragionamento abbia delle pecche logiche.
E però non riesco a togliermi di mente che pagare quattro volte la stessa bottiglia sia qualcosa di deliziosamente insensato.
Far passare ciò per un comportamento etico altamente civile, noto come "raccolta differenziata", rasenta però il sublime.
Solo uomini innalzati prima al livello di "cittadini", poi a quello di "compagni" e infine al vertice di "consumatori" possono raggiungerlo.
Io, molto più modestamente, confesso la mia pochezza e continuo a mettere il vino delle damigiane nelle bottiglie che forse già usavano i miei nonni sessant'anni or sono.
E magari non solo questo.
No pasà ran
Mandi.
Luigi