La nostra patria per noi sono i villaggi, i nostri altari, le nostre tombe. La nostra patria è la nostra Fede, il nostro Re. Ma la loro patria che cos’è per loro? Voi lo capite? Loro l’hanno in testa, noi la sentiamo sotto i nostri piedi.
“Per i lavori aiutavo in casa o nel negozio di generi alimentari che avevamo sulla piazza centrale del paese. Ma c'era anche da preparare la legna per l'inverno, tagliare il fieno…”. Sono i ricordi di ragazzo di Mario Rigoni Stern, ricordi che caratterizzeranno tutta la sua vita, ne plasmeranno l'esistenza conclusa la sera del 16 giugno scorso nella quiete della sua casa di Asiago, a ridosso d'un bosco. È l'autore de Il sergente nella neve, la tragica anabasi degli alpini in Russia, scritto in parte durante la prigionia nei Lager tedeschi in Lituania, Slesia e Stiria. Era nato l'1 settembre 1921.
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Dopo aver frequentato la scuola di avviamento al lavoro, aveva fatto il garzone nel negozio dei genitori che vendevano prodotti delle malghe. A 17 anni si era arruolato volontario negli Alpini ed era stato assegnato alla scuola militare di Aosta. Era il 1938 e la guerra sembrava lontana per la giovanissima recluta. Verrà presto il disincanto: l'anno dopo, mentre trascorre una breve licenza a casa, deve rientrare in tutta fretta. Racconterà che in quel momento capì che la sua vita sarebbe cambiata radicalmente. E infatti, allo scoppio della guerra, viene mandato prima in Francia, poi in Albania e infine in Russia, con il battaglione Vestone.
Il rientro in patria, dopo la tragica ritirata, non gli risparmierà l'internamento in Germania, da dove tornerà , a piedi, nel maggio del 1945. Il sergente nella neve viene pubblicato da Einaudi nel 1953, in anni in cui non era politicamente corretto parlare della tragedia dei nostri soldati al fronte, delle immense responsabilità di chi li aveva mandati - mal equipaggiati e peggio armati - nell'inferno d'una guerra disperata. Il sergente nella neve svelerà tutto questo, con l'efficacia d'un neorealismo che esce dagli schemi della letteratura pretenziosa, con uno stile spoglio ed essenziale. Il libro ha un immediato successo.
Il vantaggio di Rigoni, rispetto ad altri scrittori, è di essere ancora uno sconosciuto, fuori dal giro degli intellettuali borghesi. È un semplice montanaro, cresciuto sull'Altipiano, tornato dalla guerra, come tanti ... Invece Rigoni ha tanto da raccontare, per se stesso e per i suoi compagni che ha visto morire. La sua scrittura è immediata e colpisce la gente, fa capire cos'è la guerra, nella quale, nonostante tutto, la differenza la fà ancora l'uomo. Mai, in quest'opera, la tragedia di tanti si trasforma in racconto di massa, statistico: il dramma collettivo che diventa storia è sempre meno dirompente del grido del singolo. Ed è appunto nelle vicende di singoli uomini - di sacrificio, dolore e riscatto - delle quali il lettore diventa compassionato partecipe la chiave di lettura del libro.
Ecco - fra tanto morire - un episodio che ancor oggi suggerisce, nonostante tutto, una speranza nell'uomo: quello del sergent maggiùr che durante la ritirata, mentre imperversa una bufera di neve entra in un'isba dove, seduti a un tavolo, ci sono dei soldati russi che lo guardano stupiti, in silenzio. Mangiavano la minestra ciascuno affondando il cucchiaio in un'unica zuppiera in mezzo a loro. Rigoni ha il fucile spianato, se lo mette in spalla e dice in russo: ho fame. Una delle donne dell'isba gli allunga una ciotola di minestra fra le mani e lui mangia, sotto gli occhi dei soldati russi che lo guardano sbigottiti e immobili.
Spaziva! (grazie!), dice alla fine; pasausta! (prego!), risponde la donna che lo accompagna fuori. E prima di lasciarlo gli dà un favo di miele, per i suoi alpini. Scriverà nel “Sergente nella neve” che, a pensarci, non trovava affatto strano quell'episodio, “ma naturale, di quella naturalezza che una volta dev'esserci stata tra gli uomini”, e di non aver provato alcun desiderio di difendersi o di offendere, alla vista dei nemici.
“In quell'isba, si era creata fra me i soldati russi e le donne e i bambini un'armonia che non era un armistizio. Era qualcosa di più… una volta tanto le circostanze avevano portato gli uomini a restare uomini”. Un tassello di quel grande mosaico di dolore e di morte, di eclissi dell'umano che è stata la guerra, ma anche di sublime eroismo e di profonda pietas degli alpini - che hanno riscattato con grande eroismo e profonda umanità la follia di chi li aveva mandati in quella terra lontana. Alpini che torneranno tanti anni dopo, a costruire un bellissimo asilo, il migliore monumento dedicato alla pace e a tutti i Caduti, senza distinzione: perché la morte non ha bandiere e perché l'unica cosa che non si cancella è l'onore di chi ha dato la vita per compiere il proprio dovere.
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Ci vorranno nove anni, dopo la pubblicazione del “Sergente”, per avere un altro libro di Rigoni Stern, seguito da tanti e poi tanti ancora, opere che sanciscono il profondo legame tra memoria e natura, dal Bosco degli urogalli a Storia di Tà¶nle a I sentieri sotto la neve a Stagioni. In tutti l'amore della montagna, l'incanto del bosco con i suoi fruscii e i suoi misteri, la vita semplice dell'Altipiano - la sua anima - nello scorrere del tempo, il senso delle piccole cose. E, insieme, la memoria del vissuto, gli alpini, un turbinìo di sentimenti così lontano dal frastuono di chi prende la vita correndo, come purtroppo impone questa nostra affannosa quotidianità . Rigoni se ne stava nella sua casa sull'Altipiano in compagnia di qualche raro amico e il resto lo teneva lontano.
Le sue ultime apparizioni in pubblico sono state sull'Ortigara, nei giorni dell'adunata ad Asiago, alpino fra gli alpini. È stato una coscienza critica del proprio tempo, indicando con i suoi bellissimi libri, così vicini ai sentimenti e alle emozioni della gente comune, un modello di vita fatto di rispetto per la natura e del passato. Una voce del Novecento, di quel “secolo breve” che va dalla prima alla seconda guerra mondiale, un secolo di grandi speranze e di grandi illusioni. Le sue pagine appartengono alla storia della letteratura moderna, esempio d'un lessico estraneo al formalismo lezioso e saccente, e per questo efficace e diretto. Ma, prima ancora, sono una lezione d'amore.
Averlo incontrato e avergli parlato sull'Ortigara, quel 12 maggio 2006, la considero una fortuna di cui far tesoro.
Ieri per la prima volta ho provato a legger qualcosa di suo.
Mi è venuto in mente Alba e Franco, la storia di due segugi dal pelo fulvo.
L' ho letto, e mi sono commosso ancora.
E siccome aveva un fisico forte, ed era alto e ben fatto, lo assegnarono all'artiglieria alpina... (M. Rigoni Stern)
...il momento culminante della mia vita non è quando ho vinto premi letterari, o ho scritto libri, ma quando la notte dal 15 al 16 sono partito da qui sul Don con 70 alpini e ho camminato verso occidente per arrivare a casa, e sono riuscito a sganciarmi dal mio caposaldo senza perdere un uomo, e riuscire a partire dalla prima linea organizzando lo sganciamento, quello è stato il capolavoro della mia vita....
E siccome aveva un fisico forte, ed era alto e ben fatto, lo assegnarono all'artiglieria alpina... (M. Rigoni Stern)