Bricchetto
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Articolo Corsera

Segnalo a pag. 14 del Corsera di oggi un articolo sulle fosse comuni di nostri soldati comuni ancora presenti sul fronte del Don, in località  Valujki. PAre che tuttora si afacilissimo trovare resti umani e cimeli.
Ciao
Bricchetto
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axtolf
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Che tristezza....

Ne abbiamo lasciati tantissimi di morti e di fosse comuni penso che ce ne siano ancora centinaia, senza contare tutti i dispersi in realtà  morti in azione, seppellitti poi dai Russi chissà  dove.
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Bricchetto
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Fosse comuni

L'articolo è di un inviato e mi pare piuttosto equlibrato. Le fosse sono conosciute dalle popolazioni del luogo. C'è anceh una battuta del Generale italiano ceh è ilr esponsabile di queasto genere di ricerche. Sarebbe interessante sapere quali risorse vengono destinate ogni anno a queste ricerche.
Bricchetto
Beppe
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Lo stavo per dire io.
Ma è possibile che ancora non si riesca a dare una degna sepoltura a loro?

Bricchetto...non mi sono scordato del tuo cd...è che se non mi porta quello che mi serviva quel tipo non posso fartelo. Abbi pazienza! Ciao
Beppe - http://www.gruppoalpiniprato.it - Riservismo Estremo
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claudio
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Articolo del Corriere

Ecco l'articolo in questione:

Viaggio nei boschi del Don, dove nel dicembre '42 cominciò la tragica ritirata dell'Armir. I contadini: «Carri armati e mitragliatrici fecero una strage»


Valujki, la valle degli alpini perduti

Resti di soldati italiani scoperti in un villaggio russo: «Sono centinaia lì sotto»


DAL NOSTRO INVIATO
VALUJKI (ex fronte del Don) - Il vecchio Ivan Yakovlevich non deve scavare. Gli basta graffiare con un ramoscello di betulla il bordo della buca, scansando le foglie secche, ed ecco che compare un oggetto duro, biancastro. E' un osso, quasi calcinato, ma inconfondibile. Un osso corto, probabilmente di un braccio. Qualche minuto e ne esce un altro, più piccolo. Ivan si stringe nel giaccone di panno grigio e si cala il berretto di pelo per proteggersi dalle raffiche. Un vento gelido, che forse non è nulla in confronto a quello che spazzava questi boschi giusto sessant'anni fa, quando l'Armata Rossa circondò e annientò i resti delle divisioni alpine che facevano parte dell'Armir, l'Armata Italiana in Russia.
La buca che Ivan Yakovlevich Khromov ci mostra contiene i resti di nostri soldati: lo ricorda benissimo lui e lo ricordano gli abitanti anziani del villaggio di Starokozhevo. «Non decine, ma centinaia, rivedo ancora il giorno in cui li seppellimmo. Io avevo sei anni», racconta Ivan.
Tra gli alberi di quercia e nei campi circostanti, di cadaveri ce ne erano a migliaia e per tutto l'inverno rimasero lì, rigidi nella neve e nel ghiaccio. Poi, in primavera, furono i bambini con le donne e i vecchi che ancora abitavano nei villaggi e che avevano dato ospitalità  ai nostri soldati durante la ritirata, a doversi occupare della sepoltura. Ivan ricorda: «Utilizzammo le buche scavate dai colpi di cannone e di mortaio».
Pochi chilometri più a ovest un altro villaggio in mezzo al nulla della sterminata pianura russo-ucraina, Nasonovo. E un altro vecchio che ricorda, Ivan Vasilyevich Aladijn che nel gennaio del 1943 aveva 14 anni: «Ecco, proprio qui, in mezzo a questo campo, c'era un mulino a vento e sul fianco del mulino c'era una grande buca che noi allargammo», dice dopo aver esitato qualche istante a ritrovare il luogo esatto. «Ne seppellimmo a centinaia, di italiani. Li trascinavamo a mano, li caricavamo sulle carriole. Non finivano mai; c'erano corpi dappertutto».
A più di dieci anni dal crollo dell'Urss, il nostro ministero della Difesa ancora cerca i luoghi di sepoltura dei soldati caduti nella tragica spedizione voluta da Mussolini per compiacere Hitler. Ma molte fosse comuni sono ancora sconosciute, molti luoghi dove caddero a centinaia i fanti e gli alpini non sono stati ancora toccati. «Quella di Valujki è certamente una zona che riteniamo interessante, ma ancora non abbiamo potuto compiere ricerche», spiega il generale Bruno Scandone che è a capo del Commissariato Generale per le Onoranze ai Caduti in Guerra (Onorcaduti). «Anche se dal 1992 ogni anno compiamo diverse ricerche in territori dell'ex Unione Sovietica e rimpatriamo resti di nostri soldati».
Così a Starokozhevo, come a Nasonovo, i nostro alpini sono ancora lì, in fosse non marcate, se non per una croce dipinta su un albero da una mano pietosa. Le ossa che Ivan ha ritrovato vengono sotterrate nuovamente nella buca. A Mosca un patologo che esamina le foto che abbiamo scattato non ha dubbi: «Sono certamente umane».
Un personaggio di Valujki, Vladimir Tsibulya che si definisce ex imprenditore caduto in disgrazia, vuole sensibilizzare autorità  italiane e parenti perché anche in questa zona si inizi a riesumare le salme dei caduti. Spera che questo possa aprire una qualche prospettiva di sviluppo economico in un paese dove si campa con una agricoltura che ha pochi sbocchi. Ci porta in giro da una fossa all'altra; ci fa parlare con i vecchi. Ci mostra i «cimeli» ritrovati dai contadini. Pavel, che ha un laboratorio di vernici, ha trovato assieme al padre una piastrina, una di quelle che i militari portano al collo. Si leggono ancora chiaramente i dati: Accomazzo Giacomo, classe 1914, numero di matricola 29581 (86) /C di Antonio e Cerrina Maria. Nato a Calliano (Asti). Dal computer di Onorcaduti a Roma si apprende che l'alpino Accomazzo era nella sanità  della divisione Cuneense e che risulta disperso in Russia dopo essere stato visto per l'ultima volta il 6 gennaio del 1943 presso il 615° ospedale da campo.
Ecco invece dove probabilmente Giacomo ha finito i suoi giorni, in un campo coperto di neve a pochi passi da un villaggio. La piastrina è stata trovata mentre Pavel e il padre scavavano le fondamenta della loro casa di campagna, a pochi chilometri da Valujki. Ulteriori fosse comuni sarebbero vicino ad altri villaggi, secondo il racconto dei contadini: a fianco alle casette di legno di Selivanovo, Krasnaja Gvardya, Alekseyevka. «I luoghi dove si è svolta la tragedia finale delle tre divisioni alpine, la Cuneense, la Julia e la Tridentina», conferma il generale Scandone.
Tutto ha inizio poco prima di Natale del 1942, con la grande controffensiva russa su Stalingrado e sul fronte del Don tenuto da italiani, romeni, ungheresi e tedeschi. Lo sfondamento travolge l'intera Ottava Armata italiana. Per non rimanere accerchiati, i nostri si ritirano, ma ben presto, tra bufere di neve a 40 sotto zero, la ritirata diventa una rotta. Gli alpini rimangono indietro, a cercare di fermare l'avanzata dei carri armati sovietici. Quello che resta del corpo di armata alpino viene circondato il 17 gennaio del '43. Quei giorni e la successiva odissea dei prigionieri sono stati descritti in libri memorabili da Mario Rigoni Stern, Nuto Revelli, Giulio Bedeschi. Si marciava nella neve per tentare di raggiungere le linee dell'Asse e uscire dalla sacca, sotto i continui attacchi russi. I feriti che non riuscivano a camminare rimanevano per strada assieme ai morti. La notte ci si ammucchiava nelle isbe per cercare di recuperare le forze e al mattino si ripartiva. Dei 227 mila partiti per la Russia, centomila non tornarono. Le divisioni alpine subirono perdite durissime. Dei 16 mila componenti la Julia, 12.600 morirono o furono fatti prigionieri. Dei 17 mila uomini della Cuneense, ne tornarono in patria 1300.
Negli ultimi dieci giorni di gennaio del '43 si svolsero le fasi finali dell'accerchiamento, proprio tutt'attorno a Valujki, dove venne catturato anche il generale Ricagno, comandante della Julia. I sovietici premevano da ogni parte, con truppe fresche e ben armate affluite dalla Siberia. «Proprio in questa valle si erano radunati tantissimi italiani, era il 26 gennaio del '43», racconta ancora Ivan Vasilyevich indicando la radura ai piedi della fossa dove abbiamo trovato le ossa. «Lassù era piazzata una mitragliatrice nostra e da quell'altra parte erano spuntati i carri armati. In mezzo c'erano pure una trentina di tedeschi a cavallo, che si erano impantanati nella neve. Noi ragazzi guardammo a lungo le mitragliatrici che sparavano. Poi tutto finì e i nostri se ne andarono». A Nasonovo invece le donne videro passare le colonne dei prigionieri diretti verso Krasnaja Gvardya. «In continuazione ne cadeva qualcuno che non si rialzava più».
In futuro, forse, anche le fosse di Valujki saranno scavate, come è accaduto in altri posti. Più facile ritrovare i luoghi di sepoltura «ufficiali», quelli dei lager o i cimiteri costruiti dagli stessi italiani prima della ritirata. Fino a oggi sono stati riesumati e portati in Italia i resti di quasi diecimila soldati.
Ma in molti luoghi, dove si ricorse a gigantesche fosse comuni, risulta impossibile identificare i singoli. Allora si provvede a sistemare un cippo o un monumento funebre. Un giorno anche gli alpini morti a Valujki verranno ricordati?
Fabrizio Dragosei
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Federico
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Grazie Bric per la segnalazione,

il Gen. Scandone, che mi pare abbia sostituito il Gen. Gavazza (ex Comandante del 4°CAA) nel presiedere Onorcaduti, ha forse commesso un errore nel dire che quelli sono "I luoghi dove si è svolta la tragedia finale delle tre divisioni alpine, la Cuneense, la Julia e la Tridentina".

La strada verso la rottura dell'accerchiamento seguita dalla colonna della Tridentina passava più a Nord, perchè questa colonna fu avvertita, via radio a da "Cicogne" del pericolo che si sarebbe corso nella zona di Valujki. Fu, invece e sfortunatamente, impossibile avvisare le colonne di Julia, Cuneense e Vicenza (era questa la terza divisione, non la Tridentina) che, come sappiamo, finirono nel macello di Valuijki da dove solo alcuni fortunati riuscirono a uscire.

Concordo con Bricchetto: sarebbe interessante sapere a quanto ammontano le risorse destinate all'attività  di ricerca delle tombe dell'Armir.

Saluti
Art. Federico
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Gr.A.Mon. "Pinerolo"
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axtolf
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Si potrebbe scrivere o telefonare:

Onorcaduti oppure all'U.N.I.R.R. via Vincenzo Monti, 59 - 20145 Milano

tel. 02.4816447 fax 02.4817371

Ma non so quali informazioni si potrebbero ottenere.

Sinceramente penso che il rimpatrio dei caduti sia sbagliato. Penso che se uno ha dei famigliari in vita e questi desiderano il rimpatrio della salma, sia dovere dello Stato provvedere a tutto, mentre in assenza di famigliari o del loro interesse, la cosa giusta sia creare dei cimiteri di guerra dopo l'identificazione, dove i nostri soldati sono caduti. Preferisco una distesa di piccole croci bianche nella neve o in mezzo a un bosco, che delle piccole tombe o loculi dimeticati nei cimiteri di paese e puliti solo (forse) il 25 aprile.
Le foglie morte degli alberi russi sono di certo preferibili all'indifferenza di un cimitero nostro.

Questo il mio pensiero.
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axtolf ha scritto: Sinceramente penso che il rimpatrio dei caduti sia sbagliato. Penso che se uno ha dei famigliari in vita e questi desiderano il rimpatrio della salma, sia dovere dello Stato provvedere a tutto, mentre in assenza di famigliari o del loro interesse, la cosa giusta sia creare dei cimiteri di guerra dopo l'identificazione, dove i nostri soldati sono caduti. Preferisco una distesa di piccole croci bianche nella neve o in mezzo a un bosco, che delle piccole tombe o loculi dimeticati nei cimiteri di paese e puliti solo (forse) il 25 aprile.
Le foglie morte degli alberi russi sono di certo preferibili all'indifferenza di un cimitero nostro.
Questo il mio pensiero.
Concordo sui cimiteri di guerra ma anche sul non rimpatrio delle salme in quanto alla fine finirebbero per fare la fine di quello che ha descritto Ax.
Il problema pero' penso che sia un problema riconosce le salme in quanto penso non abbiamo nemmeno la medaglia di riconoscimento.
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Penso anch'io che abbia ragione Ax.
Qui da noi abbiamo parecchie testimonianze in proposito: i cimiteri militari di Anzio e Firenze (USA), Bolsena (GB), Futa (GER), Bologna (POL), e ne dimentico altri, veri e propri Monumenti del Ricordo e, perchè no, ammonimento a noi sulla tragedia della guerra.
Avrebbero una tale potenzialità  evocativa le singole tombe dei Caduti pur nel loro paese natio?
..... E PER RINCALZO IL CUORE!

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