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Gio
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Alto Adige anni '60.

Trovato in rete. Ed io che credevo che in quegli anni fosse saltato in aria solo qualche traliccio.
Tratto da un articolo pubblicato dal quotidiano l'Alto Adige il 25.6.1997.
Era il 25 giugno del 1967. Secondo la ricostruzione effettuata tre anni dopo dai giudici del maxiprocesso di Firenze, i terroristi minarono un traliccio della linea elettrica sul versante bellunese del valico italoaustriaco e lo abbatterono, dopo aver collocato diverse mine antiuomo sulla via d'accesso obbligata per raggiungere il traliccio. Dopo l'attentato, sul luogo arrivarono alcuni alpini. A quell'epoca, i rifugi in prossimità  delle zone di confine erano stati requisiti e trasformati in casermette, per impedire le incursioni quasi giornaliere in territorio italiano da parte dei terroristi riparati in Austria, che attuavano la tattica del "mordi e fuggi" sfruttando l'ottima conoscenza di sentieri e le basi logistiche approntate dai loro fiancheggiatori in loco. Uno degli alpini, Armando Piva, morì dilaniato dallo scoppio di una mina. Diverse ore dopo, una seconda pattuglia raggiunse la zona. Il capitano dei carabinieri Francesco Gentile, il sottotenente Mario Di Lecce e il sergente Olivo Dordi - questi ultimi paracadutisti saranno massacrati da un'altra mina mentre un altro militare, Marcello Fagnani, riporterà  gravissime lesioni.
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Luigi
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Re: Alto Adige anni '60.

Gio ha scritto:Trovato in rete. Ed io che credevo che in quegli anni fosse saltato in aria solo qualche traliccio.
Forse questo danno ad intendere i media...
Comunque, ogni anno ANA, ANC e ANPDI organizzano a Cima Vallona una cerimonia a ricordo dell'eccidio.
Mandi.
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jolly46
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Io ho avuto la fortuna di parlare di quegli anni con alcuni protagonisti (Comandanti di settore, eccetera), erano anni duri, ad alta tensione, una guerra non dichiarata, non si scherzava.

Uno dei capi "schuetzen" di una nota località  era proprietario di un albergo e si sospettava fosse coinvolto negli attentati o comunque nell'attività  antitaliana.
Nella località  giunse il nuovo Comandante di settore (incaricato della protezione delle vie di comunicazione ed altri obiettivi sensibili) che per prima cosa si presentò in quell'albergo e chiese di parlare con il titolare.
Si sedettero ad un tavolino, l'Ufficiale (un Alpino) estrasse la pistola dalla fondina, la posò sul tavolo e pressappoco disse:
- Sono il nuovo Comandante del settore, mi hanno detto che Lei è il capo della gente che opera contro di noi, io non lo so, ma se solo uno dei miei uomini avrà  un graffio, io la "suicido" con quest'arma (e la impugnò nuovamente).
- Prenderò alloggio qui per poterla controllare meglio, pagherò tutto quanto le è dovuto, ma si ricordi bene cosa le ho appena detto!
Nel periodo del suo Comando, in quel settore, non si mosse foglia.
Fate voi se è questa è un'invenzione postuma, se è cinema, se è fatto vero.
Io conosco quell'Ufficiale, credo dalla prima all'ultima parola di questo racconto.
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Federico
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Della serie: Patti chiari, amicizia lunga! :wink:

Ciao
Art. Federico
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Ripensandoci c'è un'altra persona qui sul forum che conosce anche meglio di me quell'Ufficiale, chissà  se la pensa come me!
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Federico
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Non è che per caso l'Ufficiale in questione ha nome e congnome germanici, per caso?
Art. Federico
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No per carità , italianissimo!
8) 8)
A ricordare bene però forse la pistola non era una normale 34 9 corto ma una più convincente P38 fuori ordinanza (ottima scelta peraltro). :lol:


Tornando seriamente all'argomento, sarebbe molto interessante uno studio storico sull'impegno delle Forze Armate e dell'Ordine Pubblico su quel "fronte". Speriamo che a qualcuno venga in mente di dare un'occhiata agli archivi!
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Gio
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Cima Vallona si trova proprio a nord di Pso Mte Croce Comelico perciò di competenza del Val Cismon,quindi Br.Cadore.
Ax potrebbe mettere sul sito una sezione dedicata proprio a quegli anni.Vero?!
Anche secondo me sul forum potrebbe esserci qualcuno che ne sa qualcosa: un sottufficiale? Ma non forziamo la mano a nessuno.
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Dal sito dei Carabinieri:


Non sempre la terra delle mele renette, dei picchi innevati, delle case fiorite di vivaci gerani e del turismo di montagna è stata così tranquilla, ordinata e prospera come è attualmente. L'Alto Adige, o S?dtirol secondo la denominazione tedescofona, è stata una zona di grandi inquietudini e di persistente terrorismo etnico per undici anni.

La terra tirolese era stata annessa all'Italia all'indomani della vittoria nella Grande Guerra. Si era accettato un confine strategico al prezzo di includere una popolazione che era legata da molti secoli agli Asburgo e senza tener conto del diritto all'autodeterminazione proclamato solennemente dopo il crollo dell'impero austroungarico.

La relativa quiete tra le due guerre fu turbata dalla politica di italianizzazione forzata voluta dal fascismo. Proibiti lingua e nomi tedeschi, favorita l'immigrazione di funzionari di provata fede italiana. Questa politica venne rovesciata dopo l’ settembre quando tutto il Trentino-Alto Adige e buona parte del Triveneto vennero inglobati nel protettorato nazista del Territorio Costiero Adriatico. L'elemento italiano pagò duramente le conseguenze della nuova situazione politica e il dopoguerra fu avvelenato dalle divisioni e dagli odi recenti.

A tutela degli interessi della minoranza tedesca si costituì VSVP (S?dtiroler Volkspartei), nel cui interno quale allignavano frange estremiste che approfittavano della polarizzazione tra italiani e tedeschi e della mancata applicazione dell'accordo italo-austriaco De Casperi-Gr?ber (settembre 1946) sulla questione altoatesina. Posti sotto pressione, gli italiani reagirono appoggiando spesso le formazioni politiche più nazionaliste e conservatrici dell'arco parlamentare. In Austria gruppi di ultranazionalisti, tacitamente tollerati dalle autorità  locali, fornirono santuari ed appoggi logistici ai movimenti terroristici altoatesini.

Il primo attentato fu compiuto il 6 ottobre 1956 a Bolzano. Una carica esplosiva venne piazzata presso una porta dell'oratorio Don Bosco, un ritrovo abituale dei giovani italiani che il giorno successivo avrebbe dovuto ospitare il congresso provinciale della DC. Da allora fu uno stillicidio di bombe contro caserme (attaccate come le basi di un esercito d'occupazione), tralicci e rotaie. La regione si avvitò in una tragica spirale terroristica ed una densa cappa di paura avvolse le vallate.

Il culmine della campagna terroristica si ebbe nella cosiddetta notte dei fuochi. Nella notte fra l’11 e il 12 giugno è tradizione che si svolga una processione conclusa da un falò in onore del Sacro Cuore di Gesù: nel 1961 questa festa si trasformò nella celebrazione dell'odio.

La prima esplosione si ebbe al centro di Bolzano dieci minuti dopo l'una di notte, seguita da una serie ininterrotta di altre deflagrazioni in periferia e nelle vallate vicine. L'obbiettivo principale della dimostrazione di forza del movimento terrorista furono i tralicci della luce: in due ore ne vennero abbattuti a decine. Le cariche (di due chili di plastico ciascuna) danneggiarono anche ponti, binari e condotte forzate, costringendo al blocco delle attività  gli stabilimenti del capoluogo e interrompendo rotabili di importanza nazionale.

Nel corso della mattinata venne trovata nella zona di Merano una carica di dinamite destinata a distruggere un cavalcavia. Anche la diga di Selva dei Molini avrebbe dovuto saltare in aria con il brillamento di mezzo quintale di dinamite e di una grossa mina. I militari dell'Arma fecero a tempo a disinnescarla, mentre un loro collega con grande coraggio staccò un pacchetto di plastico da un traliccio e lo lanciò lontano prima che esplodesse.

La notte dei fuochi non fu uno scoppio di violenza improvvisa: fu un'operazione scientifica che impiegò almeno 200 elementi. L'esplosivo non era normale polvere da mina. Era plastico, un mezzo impiegato da professionisti, di difficile reperibilità . La sua consistenza è quella della plastilina, può essere tagliato, pressato, manipolato senza problemi, è resistente all'acqua ed al caldo e aderisce perfettamente all'oggetto da distruggere. Solo con un detonatore il plastico diventa mortale.

La reazione delle forze dell'ordine, passate le incertezze e le sottovalutazioni iniziali, fu dura. Carabinieri e Polizia furono impegnati in costanti pattugliamenti, mentre l'Esercito veniva utilizzato per tentare di sigillare i passi montani attraverso i quali si infiltravano armi e terroristi.

Nel 1962-63 gli estremisti altoatesini compirono incursioni anche nel resto dell'Italia, con attentati a Corno, Domodossola, Rimini, Rovereto, Roma, Verona e altre località .

Dal 1960 il governo aveva deciso di gettare nella mischia anche la sezione controspionaggio del SIFAR (Servizio Informazioni Forze Armate) con risultati iniziali non molto incoraggianti a causa dello scarso coordinamento con gli altri organi informativi delle forze di polizia e militari. I Carabinieri distaccati presso quel servizio condivisero tutte le frustrazioni di una concorrenza inutile e dannosa.

Nel frattempo la lotta si incrudeliva, provocando le prime vittime. Il 3 settembre 1964 cadde in un'imboscata a Selva dei Molini un carabiniere, Vittorio Tiralongo. Sei giorni dopo un sottufficiale e quattro militi furono feriti gravemente sulla strada Rasun-Anterselva. Solo ventiquattr'ore più tardi la stessa sorte toccò a un altro milite.

Al fianco dei commilitoni in divisa operavano dietro le quinte i colleghi dei SIFAR. Silenziosamente venne istituito un centro di controspionaggio a Bolzano, guidato dal maggiore Pignatelli, dipendente dal colonnello Monico responsabile per tutto l'Alto Adige.

A una guerriglia che operava con sistemi non convenzionali, si rispose con mezzi altrettanto spicciativi. Durante tutto il 1963 divamparono le polemiche, talvolta scatenate da fiancheggiatori dei terroristi, sui presunti metodi sbrigativi delle forze dell'ordine, sull'uso di agenti provocatori in Italia ed all'estero, sulla presunta responsabilità  per una serie di attentati di ritorsione avvenuti in Austria. Una delle mosse vincenti compiuta in quel periodo fu rappresentata da un accordo stipulato nel 1964 con i servizi austriaci per sollevare le coperture di cui godevano i fuoriusciti tirolesi.

GLI ULTIMI COLPI Di CODA. Gli estremisti (che probabilmente miravano a ripetere le gesta del patriota Andreas Hofer contro gli occupanti napoleonici) replicarono brutalmente alzando il livello dello scontro.

Il 26 agosto 1965 attaccarono la caserma dei CC a Sesto Pusteria. Non si trattò di un attacco in piena regola, ma di una scorribanda rapidissima: dalla finestra della cucina arrivò una gragnola di piombo. Il carabiniere Palmicri Ariu venne fulminato sulla porta della cucina ed il carabiniere Luigi De Gennaro spirò all'ospedale di San Candido-Innichen. Due mitra avevano sparato 33 colpi a una distanza di 3 metri dalla fatale finestra.

Dalle indagini condotte dalla legione di Bolzano emersero pesanti sospetti a carico di quattro fuoriusciti, già  ritenuti responsabili della morte di un altro carabiniere. L'allora presidente del consiglio, Aldo Moro, rese omaggio ai due caduti.

Fu probabilmente questo tragico episodio a decidere le sorti della campagna antiterroristica. Un anno dopo venne stabilito uno stretto coordinamento tra il SIFAR e gli analoghi servizi informativi e di polizia. I frutti non si fecero attendere: la rete di sorveglianza divenne sempre più stretta e le complicità  intorno ai terroristi si smagliarono gradualmente.

A livello politico si cominciò a mettere insieme quel pacchetto di provvedimenti a tutela della minoranza tedesca (pacchetto Moro) che avrebbe privato il movimento separatista di qualunque sostegno politico (anche da Vienna), aprendo un periodo di tranquillità  e di pace nella regione sconvolta.

Ma prima di arrivare a questo esito altri carabinieri caddero vittime della guerriglia. La notte del 25 giugno 1967 saltò l'ennesimo traliccio, provocando la morte dell'alpino Armando Piva. Una squadra fu chiamata sul posto per la necessaria opera di bonifica della zona circostante.

La bonifica è, nel gergo degli artificieri, l'ispezione sistematica e accurata alla ricerca di un qualunque ordigno esplosivo (proietto d'artiglieria inesploso, mina, eccetera). Quando si ha a che fare con trappole esplosive le precauzioni vanno raddoppiate: sono aggeggi infernali, escogitati con tutta la raffinatezza di cui una mente umana è capace.

La squadra era composta dal capitano Francesco Gentile, dal sottotenente Mario Di Lecce e dai sergenti dei paracadutisti Olivo Dordi e Marcello Fagnani.

Con il passare delle ore, ogni anfratto venne setacciato, ogni pendio controllato meticolosamente dai quattro uomini che si muovevano con perfetto coordinamento. Due avanti, due dietro a spazzare il terreno con lo sguardo.

Verso le due del pomeriggio l'ispezione sembrava conclusa. I quattro imboccarono la strada carrabile che conduceva al fondo. Una vampata accecante maciullò tre uomini: soltanto il sergente Dordi si salvò per miracolo.

Fu una triste medaglia d'oro quella conferita il 14 agosto del 1967 alla memoria di Gentile. Per fortuna, da allora, di terrore in Alto Adige non si è più parlato.
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wintergreen
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Io ho fatto il militare nel 68/69 in Alto Adige e posso dire che, a livello dei soldati, non si viveva un’aria di pericolo, ma solo di disagio.
Quando uscivi, a quei tempi sempre in divisa, ti sentivi all’estero e se cercavi di parlare con n locale ti rispondeva in tedesco!
Dal punto di vista operativo, dopo il periodo di addestramento, abbiamo cominciato a fare servizio in primavera lungo la ferrovia del Brennero (i mitici “caselli”), poi in giugno siamo passati ad aprire i rifugi cioè a ricostruire le carrarecce ed a controllare che i rifugi (l’Edolo si occupava dei Rifugi Petrarca e Plan in Val di Pla sopra Moso ) non fossero stati trappolati.
Ci accompagnavano dei sottufficiali del genio, come sminatori.
Tutta l’estate di guardia ai rifugi, dall’autunno inverno ritorno ai caselli (per poco perché il mio scaglione si è congedato)
Addestramento antiterrorismo zero, virgola zero.
Regole di ingaggio: non si conosceva neppure la definizione
Preparazione psicologica ad una possibile attentato: inesisitente
Illustrazione di quanto accaduto pochi mesi prima: come se non fosse successo alcunchè.
Quello che posso dire che in quel periodo si montava, anche se proibito col caricatore del Fal pieno ed inserito (qualcuno aveva addirittura il colpo in canna)
Per dire l’ambiente
Un mio collega ha ammazzato con una raffica di Fal il cane di un carabiniere che, di notte, si stava avvinando al rifuico
Un cavalleggero del Savoia ha sparato un’altra raffica di Fal a pochi metri da un mio Sten che, di pattuglia, si era avvicinato ad una polveriera senza fermarsi al “chi va la”
Entrambe le questioni sono state “dimenticate”, anche se irregolari, proprio per il periodo in cui ci trovavamo il clima della zona.
Un ultimo ricordo (a favore degli Alpini con la A maiuscola) noi d’estate facevamo le guardie ai rifugi e(tra i 2.800 e di 3.000 m) d’inverno ai caselli ferroviari.
La cavalleria faceva la guardia d’estate e solo ai caselli: forse perché la quota rovinava la pelle:
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Gio
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Cercando in rete per saperne di più sull'eccidio di Cima Vallona:
http://www.google.it/search?q=vallona+a ... &hl=it&lr=
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http://www.anfilugo.it/ricordi1.htm

Interessanti le pagg. 1 a 3, per questo thread nonchè la n.ro 8 per un thread (credo) di ferreamole aperto da jolly46 ("difesa ad est" ?).

Beninteso il resto non è da buttare via !
"Cosa facciamo noi dell'esercito ? Noi sforniamo efficenza"

(Da una allocuzione del vice comandante la compagnia reclute in un soleggiato primo pomeriggio di uno dei primi giorni da spina nel novembre 1978)
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"Cosa facciamo noi dell'esercito ? Noi sforniamo efficenza"

(Da una allocuzione del vice comandante la compagnia reclute in un soleggiato primo pomeriggio di uno dei primi giorni da spina nel novembre 1978)

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